Nel 2009 due studiosi tedeschi, Gerhard Fichtner e Albrecht Hirschmüller, trovarono nella sezione dei manoscritti della Libreria del Congresso di Washington, in cui sono conservati i Sigmund Freud Papers, i taccuini in cui Freud, dal 1901 al 1915, aveva annotato impressioni, progetti, ricordi.

Si tratta di materiali di grande rilievo, se si considera l’avversione di Freud verso le “reliquie personali”, la sua decisione di distruggere gli appunti e la scelta di conservare solo le lettere ai familiari.

Il viaggio nell’arte

Nei testi esaminati predomina il tema del viaggio, che costituisce il nucleo del denso e documentato libro di Marina D’Angelo, I viaggi di Freud in Italia. Lettere e manoscritti inediti, recentemente pubblicato da Bollati Boringhieri. Nel solco della ricerca degli studiosi tedeschi, Marina D’Angelo indaga sul rapporto di Freud con l’Italia e con l’arte e l’ archeologia in particolare.

Nella sua celebre Vita e opere di Freud, Ernest Jones scriveva che Ernst Kris ed Ernst Freud gli avevano sconsigliato di inserire nell’opera una sezione dedicata all’arte, considerato lo «scarso gusto estetico» del fondatore della psicoanalisi.

Questa riserva poteva trovare una giustificazione nel fatto che Freud era poco attratto dall’arte del suo tempo, alla quale facevano sicuramente riferimento il figlio Ernst e Kris.

Ernst Gombrich racconta infatti che Freud, confrontandosi con Oskar Pfister e con Karl Abraham, manifestò diverse volte una vera e propria avversione nei confronti dell’espressionismo. All’ ostilità verso l’arte contemporanea, faceva però riscontro un grande interesse per l’archeologia e la cultura classica.

Le lettere dei primi mesi del 1899, scrive D’angelo, ci mostrano un Freud che, nonostante gli impegni professionali e le dodici ore di lavoro quotidiano, trova il tempo per dedicarsi alla lettura, «per svago», della Storia della civiltà greca di Jacob Burckhardt, in cui coglie «l’elemento preistorico in tutte le forme che riguardano l’uomo».

Il suo ricorso a termini come Fund (reperto) o Gebiet (settore), sottolinea D’Angelo, rinviano al lessico della tecnica di scavo, rivelando come la psicoanalisi possa tradursi in una «archeologia dell’anima».

L’amore per Roma

Nel 1902, ricordando una sua visita alla Basilica di San Clemente a Roma, Freud scriveva, su uno dei taccuini, che i tre strati della chiesa potevano rappresentare simbolicamente la tripartizione della psiche.

Questa intuizione verrà più volte elaborata in seguito, come dimostrano le pagine de Il disagio della civiltà, in cui viene presa in esame l’evoluzione storica di Roma.

Il visitatore contemporaneo, commentava Freud, poteva tracciare il perimetro della prima città quadrata e delle mura successive, ma non era in grado di trovare se non pochi resti. Se per un’ipotesi fantastica, proseguiva, Roma fosse un’entità psichica, dove ora sorge il Colosseo si potrebbe ammirare contemporaneamente la Domus aurea e su Castel Sant’Angelo svetterebbero le statue che furono poi distrutte durante l’assedio dei Goti.

Alla luce di queste riflessioni, negli Studi sull’isteria considerava se stesso come quei cercatori che portano alla luce i frammenti del passato, seguendo un metodo paragonabile «alla tecnica del dissotterramento di una civiltà sepolta». Nella descrizione dei primi casi di isteria sembra che il lavoro dello psicoanalista e quello dell’archeologo si sovrappongano.

Psicoanalisi e archeologia

In Costruzioni nell’analisi, del 1937, tornando sull’argomento, Freud poneva però in evidenza come nella psicoanalisi si verifichi ciò che in ambito archeologico è accaduto solo eccezionalmente, a Pompei o nelle Piramidi, ad esempio. Nella vita psichica tutto è infatti preservato e «se si riuscirà a portare o meno alla luce il materiale nascosto è solo questione di tecnica analitica». L’archeologo si propone di ricostruire il passato, lo psicoanalista vede invece, nella ricostruzione del passato, la premessa che può dare avvio alla terapia.

Ecco perché, dialogando con il suo medico, Max Schur, evocava la propria «debolezza per ciò che è preistorico». Riteneva infatti che l’indagine analitica può giungere alla verità solo andando a ritroso, alla ricerca di segni che, per quanto remoti, esercitano il loro influsso manifestandosi nei sintomi delle nevrosi.

Il fascino che su di lui esercitava il lavoro dell’archeologo rimase costante durante tutta la sua vita. Disse una volta a Stefan Zweig, con un tratto di ironia, che, con l’andare avanti negli anni, leggeva più libri di archeologia, molto presenti in realtà nella sua biblioteca, che di psicologia.

In una lettera a Wilhelm Fliess del maggio del 1899, scriveva di avere acquistato Ilios di Heinrich Schliemann, di cui ammirava la scelta di essersi dedicato totalmente alla scoperta dei luoghi omerici. La felicità , proseguiva, deriva «dalla realizzazione di un sogno infantile» e Schliemann aveva realizzato, a suo avviso, un sogno coltivato sin da bambino, quando si era accostato all’Iliade e all’Odissea.

Il viaggio in Italia, come l’archeologia, sottolinea D’Angelo, assunse un ruolo simbolico fondamentale nella nascita della psicoanalisi, se si considera che Freud visitò il nostro Paese sette volte dal 1895 al 1900. Il riferimento a un verso («punch con Lehte») della poesia Sotterra, di Heinrich Heine, insieme a Wolfgang Goethe il poeta da più amato da Freud, esprime questa esigenza di esplorazione dell’inconscio, che poteva prendere corpo nell’incontro col paesaggio e con l’arte italiana, come accadde ad Orvieto dinnanzi agli affreschi di Luca Signorelli.

Il sud e il Mediterraneo

Il confronto con i mostri degli inferi portava con sé un desiderio di oblio e di serenità, di «un punch con Lethe»  appunto, che Freud inseguiva nei suoi viaggi verso il sud e il Mediterraneo. Il mondo sotterraneo, scrive D’Angelo, richiamava infatti il suo opposto, e più Freud si inoltrava nell’autoanalisi, più aspirava alla bellezza.

Il sud, commentava Ernest Jones, aveva dalla sua parte il piacere, e soprattutto la ricchezza di quei «resti visibili degli stati primitivi dello sviluppo dell’uomo» che Freud ricercava. I primi viaggi, come dimostrano i “sogni italiani” descritti nell’ Interpretazione dei sogni, furono quindi fondamentali per dar forma alla teoria, che, negli anni successivi, dopo la “scoperta” di Roma e l’incontro con la Magna Grecia, si strutturò in modo più solido.

Nel febbraio del 1936, in una lettera a Georg Hermann, Freud scriveva: «Per me la bellezza dimora nell’Italia e nel Mediterraneo». Testimone della tradizione umanistica, in un momento in cui la miseria spirituale invadeva l’Europa e la guerra era alle porte, Freud era consapevole, come scrisse in Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, che ogni cittadino del mondo civile si era creato «un suo particolare Parnaso, una sua Scuola d’Atene».

Quando le sofferenze della malattia divennero più intense, durante gli incontri con il suo medico, rivedeva le fotografie di Creta e di Rodi e diceva di sognare «a occhi aperti il sole del Mediterraneo e i templi greci della Sicilia».

La sua collezione di antichità fu un elemento essenziale per l’autoanalisi e, al tempo stesso, un meccanismo di difesa. Della collezione, che lo seguì nell’esilio londinese nel 1938, faceva parte un cratere a campana a figure rosse del IV secolo, proveniente dalla Magna Grecia, che gli era stato donato il 6 maggio del 1931, in occasione del suo settacinquesimo compleanno, da Marie Bonaparte.

La decisione di raccogliere le sue ceneri e quelle della moglie Martha proprio in quel cratere, testimonia quanto l’amore per l’Antichità e per il Mediterraneo abbia inciso nel percorso esistenziale e scientifico del fondatore della psicoanalisi.

© Riproduzione riservata