Bisogna dire di più del creatore di Mafalda, amato dai grandi della letteratura. Per decenni ha denunciato gli abusi e le ingiustizie della società, ricordando che i bambini sono i veri depositari della saggezza
Ho visto Quino per l’ultima volta nella bella casa milanese di Umberto Eco. La sua fantastica biblioteca, stipata di migliaia di libri antichi meravigliosi, di libri di letteratura, di filosofia, di semiotica e di ogni disciplina dello scibile, era piena anche di fumetti. C’era una festa in onore del grande disegnatore argentino dopo la presentazione di un suo libro a Milano. Era famoso in tutto il mondo per il successo della sua curiosa e scorbutica Mafalda, ma di Quino e della sua arte occorre dire di più. Per decenni ha denunciato la superficialità, gli abusi e le ingiustizie della società. In vignette molto disegnate, dal segno complesso, elegante e calibratissimo, spesso mute o accompagnate da pochissime parole, in cui sapeva miscelare critica sociale, ironia, tenerezza e tanto, tanto umorismo.
Suoi bersagli la dittatura, la corruzione, la perdita d’innocenza, ma anche le questioni legate alla crescita, all’infanzia e all’amore. Queste sono le tavole che mi mandava col fax, eravamo in epoca analogica, per COMIX, il giornale dei fumetti e dei comici che dirigevo negli anni Novanta e che facevo con Guido De Maria, quello di Gulp, i fumetti in tv, per Franco Cosimo Panini, uno dei fratelli che a Modena avevano inventato le figurine e la loro gloriosa epopea. Quino, assieme a Mordillo e Altan, era gestito da Marcelo Ravoni e da sua moglie Coleta, anche loro argentini che avevano inventato a Milano Quipos, la prima agenzia di fumetti in Italia. Rappresentavano anche Franco Crepax, José Munoz e Lorenzo Mattotti, il meglio del disegno mondiale. Quando stava in Italia, a Milano, Quino veniva spesso a Modena con sua moglie Alicia e adorava l’ospitalità autentica e generosa che i Panini mettevano in scena nella fattoria Hombre, che Quino apprezzava perché ne riconosceva il sapore inaspettatamente sudamericano, che veniva dall’emigrazione di Umberto Panini in Venezuela, sapientemente mischiato ai sapori e gli odori emiliani: le mucche, il parmigiano-reggiano e un lì anche un museo di auto storiche, dal sidecar dei nazisti alle Maserati autoctone. Poi tortellini, gnocco fritto, prosciutto, salame e lambrusco a fiumi. Un mondo incredibile e paradossale che sembrava disegnato da Quino. Disse: mi sembra di essere in un film di Fellini.
Quino ero un uomo minuto, schivo, con gli occhiali quadrati da cui fiammeggiavano occhi profondi, uno sguardo ironico, intelligentissimo. Era stato proprio Ravoni, nel 1968, a pubblicare assieme a Valerio Riva, Mafalda per la prima volta in Italia, sulla copertina di un libro come non s’era mai visto, edito da Feltrinelli, Il libro dei bambini terribili per adulti masochisti, una trentina di strisce appaiono in un’antologia di narrativa e di vignette.
L’introduzione di Eco
Un libro d’avanguardia dove Mafalda viene tradotta per la prima volta in un’altra lingua: l’italiano. Mafalda è infatti mischiata a testi e disegni di Truman Capote, Anton Cechov, Colette, Edmondo De Amicis, Umberto Eco, Folon, Goscinny, Thomas Mann, Mark Twain, addirittura Philip Roth.
Nel 1969 l’editore Bompiani pubblica Mafalda la contestataria, primo libro del personaggio e di Quino ad apparire in Europa.
Le strisce sono precedute da un'introduzione non firmata, dal titolo Mafalda, o del rifiuto, scritta in realtà da Umberto Eco: «Mafalda non è soltanto un nuovo personaggio del fumetto: è forse il personaggio degli anni Settanta. Se si è usato, per definirlo, l’aggettivo di “contestataria”, non è per uniformarsi alla moda dell’anticonformismo a tutti i costi: Mafalda è veramente una eroina “arrabbiata” che rifiuta il mondo così com’è. Una sola cosa sa con chiarezza: non è contenta. Mafalda è in ogni caso un “eroe del nostro tempo”, e non sembri questa una qualifica esagerata. In Mafalda si riflettono le tendenze di una gioventù irrequieta, che qui assumono l’aspetto paradossale di un dissenso infantile, di un eczema psicologico da reazione ai mass media, di un’orticaria morale da logica dei blocchi, di un’asma intellettuale da fungo atomico». Gabriel García Márquez invece scrive: «Quino, in ogni suo libro, da anni ci sta dimostrando che i bambini sono depositari della saggezza. Quello che è triste per il mondo è che man mano che crescono perdono l’uso della ragione, a scuola dimenticano quello che sapevano alla nascita, si puliscono i denti, si tagliano le unghie e alla fine, diventati adulti miserevoli, non affogano in un bicchiere d’acqua ma in un piatto di minestra. Verificare questo in ogni suo libro è la cosa che assomiglia di più alla felicità: la Quinoterapia».
L’inizio della vita libera
Disegnata nel 1963 per la pubblicità di una fabbrica di elettrodomestici che fortunatamente rifiutò il progetto, Mafalda iniziò la sua libera vita fumettistica nel 1964 quando la sua prima striscia uscì sul settimanale Primera Plana di Buenos Aires. Da Buenos Aires ebbe inizio un successo editoriale che si diffuse, dapprima in tutti i paesi di lingua spagnola, e poi nel mondo accumulando negli anni milioni di copie vendute.
È stata tradotta in 26 lingue ed eletta tra gli argentini più influenti del Ventesimo secolo. Mafalda è una bambina di sei anni, intelligente, acuta, scorbutica e interessata ai problemi del mondo. Non ha remore nell’interrogare gli adulti sulle questioni più spinose, tantomeno a dispensare giudizi. Odia particolarmente la minestra che, per Quino, «è una metafora di tutto ciò che si vuole imporre con la forza, delle cose alle quali vuole costringerti il potere, di ciò che viene imposto a un bambino, a un cittadino, a un popolo». Credo che l’ultima vignetta disegnata da Quino con Mafalda sia quella del 2006, pubblicata da Repubblica durante il governo Berlusconi, in cui Mafalda grida: «Non sono una donna a sua disposizione». Quino era nato a Mendoza nel 1932, è morto mercoledì a Buenos Aires.
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