Se a qualcuno, un giorno, venisse in mente di stilare una classifica dei personaggi della narrativa italiana più amati dai lettori, al primo posto ci metterebbe senz’altro lui: l’immortale Sandokan, la tigre di Mompracem.

A colpi di scimitarra sguainata contro gli invasori inglesi o lampeggiando il fedele kriss contro la setta dei Thug nelle foreste indiane come nei mari tempestosi della Malesia, il pirata bornese di stirpe regale che combatte per riconquistare il suo regno ha fatto sognare parecchie generazioni di appassionati (e appassionate) d’avventura con quel suo irresistibile mix di coraggio e di lealtà, di eroismo e sete di vendetta concepito due secoli fa dal genio delirante, ma documentatissimo, di Emilio Salgari.

È una fascinazione che ha superato la prova del tempo e che continua ancora oggi, come ci dimostrano la nuova serie televisiva in arrivo nell’autunno 2025 e la grande mostra intitolata “Sandokan, il ritorno della tigre. Mompracem vivrà” che aprirà i battenti il dicembre prossimo a Torino.

Lo sceneggiato

Alto, slanciato, dalla muscolatura potente, il suo volto è «incorniciato da una barba nerissima», gli occhi «di un fulgore che (…) fa chinare qualsiasi altro sguardo», i capelli lunghi fuoriescono da un turbante «adorno di uno splendido diamante grosso quanto una noce»; veste sontuose casacche di velluto con fregi d’oro, ricami, frange, e porta al collo una fila di diamanti «del valore di tre o quattrocentomila lire». Era questo l’aspetto che l’autore veronese aveva dato al suo Sandokan fin dal romanzo Le tigri di Mompracem, ambientato nella metà dell’Ottocento in un’isola poco distante dal Borneo. Il libro era stato pubblicato nel 1900 dall’editore genovese Donath parecchio tempo dopo la sua uscita a puntate su La Nuova Arena, quotidiano dove l’allora ventenne Salgari lavorava come cronista e a tutti raccontava di essere un capitano che aveva viaggiato in lungo e in largo per il mondo.

Nelle Tigri di Mompracem e negli altri volumi del ciclo indo-malese, il capo dei pirati è descritto come un atletico principe abbondantemente ingioiellato, e proprio così, fino a cinquant’anni fa, ha vissuto le sue tante vite sul grande schermo. Se per alcuni cultori italiani le interpretazioni più fedeli alle descrizioni salgariane e alle illustrazioni di Pipein Gamba, Gennaro D’Amato e Alberto Della Valle sono quelle di Luigi Pavese (1941) e Steve Reeves (1963 e 1964), il Sandokan televisivo del 1976, con la sua scarsa aderenza a tali vezzi stilistici, è però il Sandokan più pop, il più iconico, quello che ha segnato la storia della tv e del costume nazionale: insomma, il “più Sandokan” di tutti.

Nello sceneggiato a puntate diretto da Sergio Sollima e girato tra l’India e la Malesia, non indossava, infatti, abiti lussuosi, ma semplici casacche a righe e, a ben pensarci, non era nemmeno così atletico come lo immaginava il suo creatore: eppure il volto, gli occhi profondissimi di Kabir Bedi, allora uno sconosciuto attore indiano, sono (e forse resteranno per sempre) quelli di Sandokan.

Noi della Generazione X lo abbiamo amato tanto; ci siamo compiaciuti per le astuzie di Yanez de Gomera, abbiamo sofferto per la morte della “perla di Labuan” e detestato l’acerrimo nemico James Brooke, il potente rajah di Sarawak, un personaggio realmente esistito e celebrato nell’Inghilterra vittoriana.

Vivere di più

Nelle fantastiche imprese della “Tigre” e in tutti i grandi romanzi d’avventura che accendono le passioni c’è un qualcosa di unico, che lo scrittore bolognese Valerio Evangelisti aveva colto: c’è la meravigliosa capacità di «prolungare» le nostre vite. Questo qualcosa è ciò che ci permette, attraverso la lettura, di immedesimarci nei personaggi, di viaggiare in luoghi esotici, scoprire epoche lontane e, in questo modo, di “vivere di più”.

È fuor di dubbio che Sandokan, lady Marianna Guillok, gli stessi Brooke e Yanez sono personaggi ben presenti nel nostro immaginario collettivo: sono caratteri simbolici, archetipi. Il nobile e, all’occorrenza, sanguinario guerriero-pirata dagli occhi fiammeggianti che solca mari dai misteri insondabili e combatte il colonialismo britannico è entrato nel nostro “parterre” di eroi nazionali, accomunato al combattente-patriota per eccellenza, Giuseppe Garibaldi. Allo stesso tempo è diventato lo pseudonimo di battaglia di diversi partigiani, il nome di tantissimi neonati venuti alla luce tra il 1976 e il 1980 e, persino, il soprannome di un noto camorrista ora al 41 bis.

Il ritorno

Se è vero che Sandokan non muore mai (in uno dei suoi romanzi apocrifi, Fabrizio Frosali, studioso del personaggio, lo ha fatto ringiovanire grazie a un anello donatogli da Morgana), prepariamoci dunque a ritrovarlo nell’autunno 2025 in una serie televisiva prodotta da Lux Vide e Rai Fiction che ambisce a bissare, o addirittura a superare, il leggendario successo della precedente.

Nel nuovo Sandokan diretto da Nicola Abbatangelo e Jan Michelini, il principe-pirata avrà le sembianze del turco Can Mayan, Yanez quelle di Alessandro Preziosi e lady Marianna della britannica Alanah Bloor; le riprese, da poco concluse, si sono svolte quasi interamente tra Roma, la Toscana e la Calabria, dove è stata ricostruita la Colonia della Corona di Labuan. Quello che potrebbe sembrare un handicap – una location finta – risulta invece un valore, un’espressione compiutamente salgariana, poiché anche lui, come sappiamo, ha scritto le sue opere senza muoversi da casa, o al massimo viaggiando con il tram fino alla biblioteca civica di Torino. Prima della fiction, però, a celebrare le avventure di Sandokan ci penserà il Mufant, il Museo della Fantascienza e del Fantastico di Torino, con una grande mostra crossmediale che si inaugurerà il 27 dicembre e che entrerà nel suo vivo a marzo negli spazi del nuovissimo Rooftop Mufant.

Al centro del concept ci saranno il complesso universo di Sandokan ma anche il mondo sfaccettato e colmo di intersezioni del suo creatore, sempre in bilico tra la realtà e l’immaginazione, forse anche della follia. È un universo che puntualmente ritorna, quello del pirata della Malesia, che Davide Monopoli e Silvia Casolari, i curatori della mostra organizzata con il supporto della Città di Torino-bando Youtoo, la Fondazione CRT e la Regione Piemonte, proveranno a spiegare attraverso il ricco materiale in esposizione (molto del quale ancora in fase di raccolta), che comprende testi e illustrazioni originali, oggetti di merchandising, reperti museali, filmati, video, e grazie a conferenze con esperti internazionali.

Il percorso espositivo, basato anche sulle ricerche dello studioso Paolo Ciampi, si concentrerà inoltre sul confronto tra il mondo di Salgari e quello di Odoardo Beccari, il naturalista fiorentino amico di James Brooke che per anni ha vissuto nella regione del Sarawak e dai cui testi scientifici lo scrittore d’avventura ha tratto ispirazione per i suoi romanzi.

Tra i tanti approfondimenti, uno verrà dedicato all’arte di Alberto Della Valle, il disegnatore napoletano che del “capitano” illustrò più di venti volumi dando ai personaggi i volti di amici e parenti. Della Valle usava fotografarli nel salotto di casa sua, abbigliati nelle fogge più curiose (con asciugamani in testa acconciati come turbanti orientali o con lenzuola drappeggiate nello stile dei sari), in pose teatrali e con, in pugno, le armi della sua vasta collezione. Da quegli originalissimi scatti ricavava poi le magnifiche immagini cariche di esotismo che conosciamo. La mostra rimarrà aperta fino all’autunno 2025.

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