Sono spassati vent’anni dalla prima quarantena nazionale, e a quei tempi essere essere sé stessi e solari era ancora l’unico curriculum richiesto per ambire a qualunque carriera. Conduceva Daria Bigardi: oggi sarebbe come vedere Michela Murgia dj al Billionaire.
Il primo lockdown, come la Prima repubblica, non si scorda mai. Vent’anni fa il paese è entrato in quarantena a cinecittà con l’inizio del Grande fratello, che chiamavamo «esperimento sociale» per dargli una parvenza di rispettabilità.
C’era la Lira, Internet gattonava e costava troppo, i social non esistevano, dovevi guardare tutto live o abbonarti alla pay tv per sapere e commentare: insomma era il paradiso ma non lo sapevamo.
Rocco Casalino sa bene che Karl Marx si è sbagliato. La storia non si ripete sempre in due fasi, ma in tre: prima tragedia, poi farsa, poi stagione del Grande fratello.
Il primo lockdown, come la Prima repubblica, non si scorda mai: segregati in casa con persone che avremmo eliminato volentieri, cercando un modo per passare il tempo, chiedendoci cosa starà mai accadendo là fuori, meditando su errori passati e strategie future, attenti a non farci fregare l’ultima sigaretta o fetta di pizza.
Sembra ieri ma sono passati due decenni. No, non ho un disturbo post traumatico da quarantena: il primo lockdown della nostra vita è iniziato il 14 settembre del 2000 su Canale 5. Quella sera incominciava il Grande Fratello, un «esperimento sociale» (ai tempi si teneva molto a una parvenza di rispettabilità, la parola trash non era ancora divenuta sinonimo di qualunque cosa non capissimo). Esperimento sociale che come un virus sfuggito agli scienziati – olandesi, la Cina non era vicina, persino i cappuccini erano ancora schiumati da italiani – avrebbe poi contaminato ogni forma di assembramento: privato, sociale, televisivo, politico. Il vaccino non è mai stato sviluppato.
Come ogni esperimento degno di questo nome, il primo lockdown della nostra vita si è svolto in provetta, cioè nello schermo non ancora piatto delle tv: noi, le future cavie che tempo pochi giorni avremmo cominciato a definirci «solari» come le cavie dentro il Panasonic, partecipavamo a quella prova generale murandoci in casa ogni giovedì per quindici settimane: c’era la Lira, Internet gattonava e costava troppo, i social non esistevano, dovevi guardare tutto live o abbonarti alla pay tv per sapere e commentare: insomma era il paradiso ma non lo sapevamo. L’ultima puntata, col trionfo di Cristina-la-Bagnina, registra il 60 per cento di share: la prima immunità di gregge del nuovo millennio. Perché, sì, abbiamo pur continuato a guardare il Gf per molti anni, ma con sintomi sempre più lievi e vittime solo tra le fasce fragili della popolazione.
Cosa dire di quel primo Grande fratello per chi l’ha visto e per chi non c’era: che nel frattempo è cambiato tutto. Che lo conduceva Daria Bignardi, e oggi sarebbe come vedere Michela Murgia dj al Billionaire. Che Fabrizio Rondolino, il portavoce dell’appena dimesso presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, curava la comunicazione del programma. Che i concorrenti erano davvero sconosciuti e non gente il cui culo nudo appariva già da tempo sui nostri telefoni. Che ci sgomentava la loro disinvolta rinunzia alla privacy. Che all’uscita dalla casa Cristina-la-Bagnina e gli altri rimasero sgomenti di fronte a una fama spaventosa conquistata senza aver fatto nulla di speciale, di artistico, a parte essere sé stessi e solari. Che essere sé stessi e solari non era ancora l’unico curriculum richiesto per ambire a qualunque carriera. Il Grande Fratello 2000 rivisto oggi è così un filmato d'epoca che sembra dell'Istituto Luce.
Cosa dire di quel primo lockdown virtuale per chi l’ha visto e per chi non c’era: che nel frattempo non è cambiato niente. Che nella casa di Cinecittà c’era già tutto: c’era l’Eterno Riposo recitato dai concorrenti in onore di un italoamericano condannato a morte in quei giorni ma forse innocente: non se lo ricorda nessuno. Mezz’ora fa il rosario live di Salvini e Barbara D’Urso per i morti di Covid ha indignato per giorni chiunque fosse ancora vivo. Salvini è un grande fan del Gf – o finge di esserlo perché conosce i suoi elettori e posta le foto della tv accesa su Canale 5 come i suoi elettori – e «scambia molti messaggi» con Alfonso Signorini che lo vorrebbe nella casa perché è «divisivo e particolare» («solare» non basta più). C’era Pietro Taricone, un tipo belloccio e vanitoso e con l'accento del sud, uno sconosciuto che eravamo tutti pronti a deridere: dopo due giorni il paese pendeva dalle sue labbra e lo acclamava leader indiscusso anche se non si capiva se di destra o di sinistra. Praticamente la carriera di Giuseppe Conte pre e post pandemia. («Sta Scorsese qua affianco: è l’occasione della mia vita!». RIP, Pietro.)
C’era Marina La Rosa, la gatta morta (sessismo! gatticidio!): bella e impassibile, languida e algida, acciambellata e corrucciata, giudicava gli altri da dietro gli occhiali da sole senza mai dire o fare niente: come Monica Vitti ne L’Avventura di Antonioni, come Virginia Raggi nell’avventura di Casaleggio. («Nessuno mi vuole bene, è questa la verità», si compativa Marina devastando ormoni e equilibri pur restando immobile).
C’era Salvo il pizzaiolo, quando ancora non sospettavamo della centralità del lievito nelle nostre vite. C’era Roberta Beta, la borghese che millantava conoscenze importanti e si percepiva Femmina Alfa (crudeltà della genealogia, ci vorrebbe un hashtag di protesta), come quelle che intasano le nostre bacheche con le favole per bambine ribelli, gli spavento-gli-uomini e altre mitomanie che infatti le valsero subito la nomination di tutti i concorrenti («Mi avete voluta distruggere e avete creato un mito!»: Roberta anticipando le frasette motivazionali che le sue eredi oggi attribuiscono a Audrey o Marilyn o Levi Montalcini sui social).
C’era Sergio l’ottusangolo (abilismo!), prototipo di ogni giovane e spontaneo politico del 2020 che non sappia pronunciare impeachment o smartworking.
E naturalmente c’era Rocco Casalino, l’ambiguo (omofobia!): uno che ci provava con Marina e con Pietro, che ci teneva a passare per l'intellettuale della casa (temibile concorrenza, in effetti), che forse già controllava scrupolosamente gli scontrini della spesa settimanale come avrebbe fatto nel 2020 con quelli del suo compagno cubano trader online. Compagno cubano che stava per inguaiargli la carriera, quella che nel 2000 Rondolino aveva abbandonato per provare l'ebbrezza del pop, e che nel 2020 è del tutto normale abbia intrapreso uno che abbiamo conosciuto in mutande mentre spalmava di olio solare Pietro e Marina: il portavoce del Presidente del Consiglio.
Compagno cubano che Signorini vuole disperatamente nel prossimo Grande Fratello VIP, ma su cui Rocco per ora ha forse posto il veto anche se non è detta l'ultima parola. Perché Rocco sicuramente sa bene che Karl Marx si è sbagliato. La storia non si ripete sempre in due fasi, ma in tre: prima tragedia, poi farsa, poi stagione del Grande Fratello.
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