Chi finirà a dormire sotto i ponti sostituito dalla IA? Questo interrogativo s’aggira tra studi d’avvocati e redazioni di giornali e in genere presso chiunque rivenda ai clienti un’erudizione specifica sedimentata con lo studio e con la pratica.

A occhio e croce tuttavia la morte dell’esperienza professionale è una notizia alquanto esagerata. Almeno quanto l’altra grande preoccupazione – subito esplosa all’apparire di ChatGpt – per cui sarebbe ormai tempo perso assegnare compiti scritti nelle scuole perché gli studenti, scansafatiche per natura, li copia-incolleranno dopo avere girato la pratica alla AI col proprio smartphone.

Le angosce, in entrambe le situazioni, trascurano il dato strutturale che le AI possono sbagliare e non di poco, anche se la cosa sbagliata la scrivono a puntino.

Per cui il problema si presenta esattamente al rovescio del timore dominante. L’IA fornirà montagne di documentazione, ma guai a fidarsene! Serviranno  occhi sapienti ed allenati a individuare gli svarioni, eliminarli e mettere comunque a frutto il resto dell’automatico lavoro.

Quanto ai compiti di scuola basterà che l’insegnante sospettoso, presentato il compitino chieda all’allievo: «Me lo spieghi?».

Per cui non ci sarà la disoccupazione del ceto medio intellettuale a differenza del destino amaro di tanti operai di fabbrica, sostituiti dai robot. Semmai esploderà la necessita di educarci in massa a interrogare le IA e a fare le pulci alle risposte.

Né più né meno di quanto accade da vent’anni con Wikipedia, che è certo una creatura indispensabile, ma non scevra da svarioni.

Se la interroghi su un tema di cui tutto ignori sai di correre dei rischi se ti fidi. Se invece l’adoperi per rinfrescare quel che sai, ti basta un’occhiata per capire se se è il caso di gettarsi alla ricerca di altre fonti.

Il che grazie alla rapidità, vera e intrinseca virtù dell’informatica, succede in un baleno e ha cambiato le carte in tavola rispetto alle ricerche d’una volta.

Oggi puoi andare per tentativi, sbagliare riprovare finché la cosa non convince. Il consumo di tempo è minimo e, per così dire, la macchina, fallibile ma rapida, contiene il rimedio ai colpi a vuoto che registra.

Servirà più cultura, non di meno

Una cosa è arcisicura: la generazione Z, i nipoti dei boomer cresciuti senza né la risorsa né le tentazioni delle IA, dovranno leggere, riflettere, studiare molto più dei loro nonni e genitori.

Questi sapevano che la cultura era rinchiusa in qualche libro e una buona frequentazione della scuola bastava a fornirgli i filtri indispensabili. I giovani della generazione Z e i loro fratellini sono sommersi da uno tsunami di testi scritti e audiovisivi di cui nessun algoritmo gli garantirà la qualità a priori. Quindi il lavoro duro tocca a loro.

Faccia pure la macchina quel che di biunivoco e ripetitivo c’è da fare. Scovi testi e precedenti, s’inventi quel che vuole oppure raduni cose vere. Potrà in parte sollevarci dalla fatica dello scrivere. Ma non da quella di leggere e capire.   

A consolazione degli animi sconvolti, dalle attese e dai timori, riportiamo pari pari la nota (sornionamente segnalata da Erik Lambert) che Ada Lovelace, nobildonna e matematica, scrisse nel 1843 riguardo alla Analytical Engine, una meraviglia di quell’epoca messa insieme da Babbage, il pioniere dei computer: «Nel considerare qualsiasi nuovo argomento, c’è dapprima la tendenza, a sopravvalutare ciò che di per sé stesso è comunque interessante. Seguita da un rinculo a sottovalutare la vera portata delle cose, quando scopriamo che le nostre ipervalutazioni non erano affatto sostenibili».

Insomma, ora siamo nella fase della sopravalutazione degli effetti. Ma in breve ci rovesceremo nel contrario, e allora sì che l’IA e chi saprà servirsene ce la faranno sotto il naso.

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