Nel mercato editoriale, pare oggi riscontrino grande successo l’intelligenza del polpo, la mente dei corvi, le strategie riproduttive dei pollini infestanti. E certo fa forse più paura, ma non è meno accattivante, la spregiudicatezza dei tanti virus che mutano la loro struttura genomica per assicurarsi la diffusione su più larga scala. Sarà forse per il recente invaghimento “postumano” che lettrici e lettori vogliono saperne di più su tutte le entità che cercano di minare il dominio della nostra specie.

Ma è più probabile che la ragione sia un’altra. Una simile smania per forme di vita che non sono la nostra potrebbe essere dovuta alle vele ripiegate di quella che poco tempo fa su questo giornale Walter Siti definiva una letteratura che rinuncia al condizionale. Rinuncia, cioè, a quella capacità di elaborare un immaginario tanto vasto da concedere a chi legge di reinventarsi una vita nella vita (inventata) degli altri.

L’immaginario, si sa, non è questione semplice, né si può gravare un romanzo del compito di produrselo da sé. S’innesta in tutto un brulichio di idee e concetti, provenienti dall’intreccio di saperi diversissimi, in ciascuno dei quali protocolli e canoni si fanno più o meno larghi e quindi più o meno capaci di accogliere e raccogliere quanto si produce negli altri. Non stupisce allora che molto dell’ingegno letterario di Carlo Emilio Gadda fosse dovuto a un’ineguagliata capacità di mutuare immaginari di cui per formazione gli umanisti sanno poco.

E non tanto perché, si sa, era ingegnere, ma perché le sue letture, per certo molto vaste, volentieri indugiavano nelle stanze più segrete delle scienze cosiddette dure. Del resto, questo valeva anche per Robert Musil, Hermann Broch e molti altri, che dalle complicatezze delle scienze sapevano trarre ispirazione per libri capaci di imbastire rivoluzioni esistenziali. E non serve sfogliare la biografia di Mary Shelley o essere devoti del Bloomsbury Group per rendersi conto di come e quanto, almeno fino a tutto il primo Novecento, le scienze naturali fossero per i romanzieri un serbatoio di idee sempre nuove.

Verrebbe così da pensare che, rispetto all’odierno ripiegamento della letteratura sulla vita ordinaria, di cui su questo giornale molto si va parlando (Siti, per l’appunto, ma anche Simonetti e Croce), sia a disposizione una mirabile sorgente di idee, che potrebbe fornire un’inattesa via di fuga.

Nulla che chi scrive possa intitolarsi di scoprire, perché in questo campo si conoscono autentiche celebrità editoriali, come Albert Einstein o Richard Feynman, i cui libri a decenni di distanza rimangono di grido, o fenomeni assai più recenti, come Carlo Rovelli e Giorgio Parisi, che ai più noti romanzieri contendono i luccicanti primi posti nelle classifiche. E si potrebbe menzionarne molti altri, tra cui Roger Penrose, Lee Smolin e Franck Wilczek. Ma qui non è tanto il caso di fornire liste dettagliate, quanto di capire le ragioni che stanno al fondo di una passione così diffusa per la fisica.

Sapere abbacinante

Due considerazioni preliminari. La prima è che, con più o meno amore per il dettaglio, questi autori non si sforzano di «imitare la vita», sicché non fanno della fisica il riflesso dell’esistenza umana e delle sue esigenze (come troppo spesso capita invece in certi libri che trattano delle macchine e delle loro pericolose intelligenze). Esplorano piuttosto le idee stupefacenti e strane che stanno dietro formule del tutto mute a chi non padroneggia gli appropriati formalismi.

La seconda considerazione è che, chi più chi meno, questi fisici perseguono una divulgazione senza alcun proposito di self-help (come troppo spesso capita invece in certi libri che traducono le innovazioni della psicologia o delle scienze cognitive in attrezzi pronti all’uso nella vita quotidiana). I testi di questi autori sono un omaggio alla fisica come sapere abbacinante, al cui cospetto il lettore è invitato a immaginare scenari inusuali e un po’ spiazzanti.

Cosa ne sarebbe di noi se entrassimo in un buco nero per riuscirne dal suo “doppio”, il buco bianco? Cosa significa che lo spazio tra la mia testa e i miei piedi è questione di prospettiva, perché in effetti lo spazio non esiste come entità fondamentale della struttura dell’universo?

O ancora, cosa fare dell’idea per cui un’immagine tanto familiare quale quella di un gatto che salta all’inseguimento di una mosca è la più fraudolenta delle illusioni, dacché il gatto che salta e quello che atterra sono composti da particelle per larga parte differenti, che pure si intrecciano tra loro a formare configurazioni ai nostri occhi del tutto simili? Tali proposte, e molte altre, spesso tra loro in competizione, sfidano così la nostra immagine del mondo, sino a decomporla.

Il reale spezzato

Tutto questo appare tanto più interessante quanto più ci si avvede del fatto che la fisica non ha misericordia, né pazienza, per il lettore comodo. Benché quei libri non chiedano ad alcuno di ripescare i manuali delle superiori e rispolverare conoscenze forse mai acquisite, pure chiamano a esercizi immaginativi e di pensiero che non ammettono lunghe distrazioni, né potrebbero adottare l’espediente narrativo dell’identificazione col lettore.

Per esempio, non è agevole capire perché in meccanica quantistica non sia possibile determinare al contempo la velocità e la posizione di una particella. Questa idea, che circa un secolo fa cambiò per sempre lo studio della realtà naturale, implica infatti la correlata idea per cui dell’esperimento fa parte anche e sempre lo sperimentatore, mentre questi va ripensato non come qualcuno che osserva e appunta sul taccuino, ma come un sistema fisico che incide sul sistema fisico osservato.

E di idee correlate parimenti singolari non ne mancano, come ad esempio il fatto che, se quanto detto è vero, la fisica non descrive affatto il mondo, ma solo descrive sé stessa e il suo modo di operare su di esso. Insomma, altro che scienza come specchio del reale.

La fisica questo reale lo spezza e lo moltiplica, lo eviscera fino all’inesistente midollo, mette in mora l’idea confortante che il mondo sia uno, oggettivo e in docile attesa di una piena descrizione. Nell’immaginario della fisica contemporanea, gli oggetti individuali cui siamo tanto abituati perdono di credibilità, scomposti come sono in relazioni matematiche, processi che legano entità a dispetto di ogni distanza, relazioni che valgono in certi mondi ma non in altri.

Acrobazie

Davanti a questa messe di ipotesi tanto stravaganti, la domanda più curiosa è la seguente: come mai il lettore che dal romanzo si aspetta sostegno e rassicurazioni, e nei suoi personaggi vuole riconoscersi per piangere sulle sue stesse disgrazie, è pronto ad ogni tipo di acrobazia intellettuale e coraggiosi salti immaginifici quando si addentra nei meandri della fisica? Qualche addetto al settore commerciale potrebbe facilmente dire che si tratta di pubblici solo in parte sovrapposti.

Qui di questo si sa poco, ma preferisco la mia ipotesi sprovveduta e ottimista: c’è un pubblico, e nemmeno troppo esiguo, che sarebbe pronto a contorsioni e slanci se solo chi fa letteratura avesse più coraggio e se il romanzo, come la fisica, reclamasse la propria autonomia dalla vita, benché sempre parziale. Un pubblico che forse comprerà quei libri pieni di dati, esperimenti e congetture per credersi o per dirsi più intelligente e colto, ma che poi vi troverà le stesse peripezie della Comédie humaine o di Guerra e pace, benché con quanto meno stile (o forse con uno stile semplicemente altro).

Insomma, la fisica è davvero il regno del condizionale, dove la tesi più estrema e oscura si è rivelata spesso la più robusta ed efficace e in cui la battaglia più accesa è quella su chi per primo sposti il confine sempre troppo angusto dell’immaginazione umana. Ma siccome è chiaro a tutti che la fisica non potrà mai fare da sé, né inventarsi nuovo genere letterario, l’urgenza più immediata è che l’improvvisata auto-elezione del fisico a scrittore serva piuttosto come occasione per una corsa al rialzo: la competizione felice e un po’ arrischiata su chi, tra fisica e letteratura, meglio ci saprà ingannare sulla plausibilità dei loro mondi ipotetici.

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