Gigio Bellandi è un ragazzo di 12 anni, toscano, papà avvocato e appassionato di vela, mamma irlandese, una sorella. Va tutto bene (come dicono nei film americani quando le cose volgono al peggio): i suoi si amano (il padre con slancio poetico loda i capelli rossi della moglie paragonandoli «al colore di un’alba di maggio in Cornovaglia»); la sorella Gilda è adorabile; lo zio Giotti, che poi non è davvero uno zio, è una sagoma; il Capecchi, il giocattolaio di Vinci, il paese dove abitano i Bellandi, ha un bell’assortimento («macchinine, lego, autopiste, trenini, quel negozio per me era una leggenda e i pomeriggi passati lì dentro erano stati i più belli della mia vita»).

Una famiglia felice, ma si sa che con le famiglie felici non si scrivono i romanzi e Settembre nero di Sandro Veronesi (La nave di Teseo), il libro di cui Gigio è protagonista, è un super romanzo (capita spesso di scriverne all’autore). Intanto che, in maniera subdola ed eclatante assieme, l’infelicità piombi a ghermire Gigio, ci sono un sacco di cose divertenti da fare.

Ascoltare i dischi sul mangiadischi, leggere i fumetti dei Peanuts, di B.C., di Beetle Bailey, di Valentina e di Paulette su Linus (Oreste Del Buono, ovunque tu sia, grazie a nome dei ragazzi nati negli anni Cinquanta per averci regalato tutto questo ben di Dio), guardare in tv i programmi di sport. Ma anche sbirciare dal barbiere, dove spesso Gigio deve andare per tenere a bada il suo quasi infestante cespuglio di capelli ricci alla Lucio Battisti, le paginate di donne nude su Men, Playmen, ABC.

Ci sono avvisaglie dell’infelicità che si abbatterà su Gigio e famiglia, si profilano nuvole ambasciatrici di tempesta? Sì, ce ne sarebbero di piccolissime. Per esempio, lo strano caso dei marron glacé di cui la mamma si ingozza. E anche certe improvvise intemperanze della mamma fanno intuire al ragazzino che in lei «ruggivano leoni e solo lui lo sa». Ma siamo nel subliminale. Il vero nuvolone nero che si staglia nel cielo di Gigio è il rapimento e l’uccisione, tre anni prima dei fatti narrati, di un ragazzo che aveva la sua età, Ermanno Lavorini, vittima sacrificale di una scellerata storia di linciaggi, caccia alle streghe, false piste pedofile, reale revanscismo fasciomonarchico.

L’estate del 1972

Accadde a Viareggio, a poca distanza dalla spiaggia di Fiumetto, da sempre il posto di villeggiatura dei Bellandi, in quella Versilia che classicamente (da Gino Paoli ai fratelli Vanzina) ha sapore di sale e di mare. Il messaggio diffuso dal caso Lavorini, come il più minatorio dei fonogrammi, sa invece di fiele: «Il mondo era un luogo sordido e violento nel quale tutti i bambini si trovavano in pericolo».

Ma nell’estate del 1972 (l’unità di tempo del romanzo) il sole splende alto più che mai a Fiumetto e la nuvola nera nel cielo di Gigio sembra essere stata spazzata via dal più portentoso degli avvenimenti. Statisticamente l’estate è la stagione in cui più facilmente sbocciano i primi amori. E Gigio, ragazzo normale come testimonia il suo identikit («promosso con Distinto in terza media, tifoso della Juve, di Bitossi e della Ferrari nonché patito per tutti gli altri sport pur senza praticarne alcuno»), rientra appieno nella statistica.

Il suo primo amore si chiama Astel, è bella di bellezza afro (mamma etiope), dolcissima e inquieta, alla ricerca del senso delle cose che spera di trovare nelle canzoni dei Led Zeppelin, dei Procol Harum, delle sue band preferite. L’interprete di quelle parole è proprio Gigio che, di madrelingua inglese, spiega ad Astel quei versi spesso oscuri.

Cosa vogliono dire i Procol Harum in A Whiter Shade of Pale con quei due ragazzi che ballano un fandango leggero, facendo le capriole fino a farsi venire il mal di mare, e poi arriva qualcuno a raccontare una storia così terribile che lei sbianca in viso, un bianco più bianco del volto di uno spettro? Cosa vogliono dire gli Zeppelin quando in Immigrant Song emettono quel grido squarciatimpani (Ooh-ooh, ooh-ooh, ooh-ooh / Ahh, ah) da colonna sonora del quadro più agghiacciante della storia, L’urlo di Edvard Munch?

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Molti anni dopo Gigio Bellandi ci riporterà a quel settembre del ’72, a quella spiaggia, come si ritorna sul luogo del delitto. E i delitti sono tanti: tradimenti, omicidi (tra cui la strage delle Olimpiadi a Monaco quando spararono sullo sport, che è come sparare sul pianista). E ancora, delitto pure questo, la fine di un piccolo grande amore.

Capirà che la storia di lui, Astel e gli altri, era scritta nei versi, ora finalmente li ha davvero compresi, di quelle canzoni, erano i codici cifrati dei loro destini. Si balla una sola estate, un «light Fandango» vorticoso e trascinante, e dopo viene il tempo degli spettri. I Procol Harum lo avevano annunciato.

Tutto ciò Veronesi lo racconta spericolatamente attraverso una serie di piani sequenza (un esempio per tutti: le pazze uscite in barca a vela di Gigio e suo padre), tecnica rappresentativa in cui è skipper assoluto (come lo era, la butto lì, Mario Luzi nei suoi versi).

Alberto Moravia

Sin dal suo secondo romanzo, Gli sfiorati, si è detto che Veronesi era l’erede di Alberto Moravia, il continuatore della scuola romana. Il giovane Sandro era effettivamente andato un po’ a lezione dal vecchio maestro (e aveva appreso, per dire, l’arte della ripresa, della ripetizione, che è la sezione ritmica della musica romanzesca: i bassi, le percussioni). Settembre nero è un Agostino, per molti il miglior romanzo di Moravia (il suo Giovane Holden), una storia anch’essa ambientata un’estate su una spiaggia della Versilia.

Eccone la trama impeccabilmente delineata dalla vecchia Garzantina (Livio Garzanti, ovunque lei sia, grazie per i bellissimi libri che pubblicava): «Ferito da uno scatto di impazienza della madre, che la presenza di un giovane corteggiatore gli rende per la prima volta estranea, il tredicenne Agostino si unisce a una banda di ragazzi del popolo, sui quali domina un equivoco bagnino cinquantenne, Saro. La brutalità plebea dei loro modi lo offende; tuttavia li sente più vicini a una realtà che gli riesce ancora enigmatica. Da questi ragazzi Agostino apprende la natura dei rapporti tra i sessi; scoperta l’esistenza di una casa di piacere, decide di andarvi, avvertendo oscuramente il bisogno di precisare l’immagine della donna che gli è stata appena rivelata e che si mescola, in lui, a quella della madre. Ma il tentativo è frustrato e Agostino si sente respinto in quella terra di nessuno che è l’adolescenza, lontana dal porto protetto dell’infanzia e dalle certezze della virilità».

Agostino è un romanzo di monomarca freudiana («oh Freud – tutto è amore», scriveva Pasolini), Settembre nero è un Agostino stereo. E non solo perché le tante canzoni citate potrebbero farne un romanzo composto esclusivamente da canzoni (come il film fatto soltanto di canzoni spesso agognato da Nanni Moretti), ma anche perché la disillusione del tredicenne Agostino è sessuale, mentre quella del dodicenne Gigio è epocale.

In Moravia il ruolo del vilain è interpretato dal bagnino Saro (che, in una sorta di prequel di certi risvolti portati alla luce dal caso Lavorini, tenta di abusare di Agostino). In Veronesi il vilain non è un individuo ma un coro formato dai carnefici del piccolo Ermanno e dai loro omologhi alle Olimpiadi di Monaco, i terroristi palestinesi di Settembre Nero che aggredirono gli atleti israeliani.

Nel libro precedente, Il Colibrì, che da Bella Promessa e Solito Stronzo lo ha elevato a Venerato Maestro (secondo il sarcastico cursus honorum degli scrittori italiani declinato da Arbasino), Veronesi aveva guardato al Tolstoj finale, il Tolstoj dell’utopia succeduto a quello della letteratura, invocandolo come un Padre nostro. In Settembre nero torna a guardare al Tolstoj dei romanzi, di Anna Karenina («Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo»).

Settembre nero è una coltellata al cuore di una generazione, «una ricerca del tempo perduto» (le palline click-clack, la biglia di Tommy Simpson) e un «ragazzi della via Pál» dei nati negli anni Cinquanta, un musical struggente e la conferma che l’estate è un genere letterario, il più bello che c’è.

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