Dall’indagine del MeFu emerge un dato notevole. Il 56,5 per cento dei creatori guadagna con i fumetti meno di 5.000 euro all’anno e solo il 13,6 per cento arriva a 15.000
- I fumetti saranno pure un’arte, ma non è semplice dire se siano anche un lavoro: perché molti autori non riescono a vivere con i guadagni. Anche se l’industria editoriale produce un enorme giro di affari
- Un gruppo di ricerca di “addetti ai lavori” del fumetto ha fatto un’indagine sulla situazione economica dei fumettisti. Compresi inchiostratori, coloristi e letteristi. Il 56,5 per cento di loro ha un reddito inferiore ai 5.000 euro all’anno.
- In Italia vivere solo di fumetto è quasi impossibile. Tanto che la metà degli autori italiani lavora con l’estero, soprattutto nei grandi mercati franco-belga e statunitense.
Negli anni Sessanta ci si chiedeva se il fumetto fosse un’arte: molti capolavori e una generazione di critici, tra i quali Umberto Eco, hanno dato una risposta positiva a quella che forse non era altro che una domanda retorica. Certo che i fumetti sono arte! Ma fare fumetti è anche un lavoro? Qui la risposta si fa più complicata.
Perché molti autori — anche riconosciuti, anche premiati, anche tradotti — della loro arte non vivono. Se crediamo ai numeri dell’industria editoriale, la domanda non meriterebbe nemmeno essere posta: i fumetti producono un enorme giro d’affari, sono presenti nelle edicole e oggi persino sugli scaffali delle librerie, ispirano film e popolano il nostro immaginario. Ma c’è fumetto e fumetto, dal mainstream all’underground.
In Italia regnano due grandi scuole da edicola — Disney italiani e bonelliani come Tex e Dylan Dog — e il mondo frammentato del romanzo grafico da libreria, monopolizzato da un pugno di fumettostar giovani (Zerocalcare), meno giovani (Gipi, Ortolani) e cotti al vapore (Manara). I pesci medi e piccoli stanno sotto il livello del mare, che fuor di metafora è anche il livello della sussistenza economica.
L’indagine del MeFu
Per sbrogliare questa confusione è nato il MeFu (Mestieri del Fumetto, fondato dallo stesso Rosso insieme a Claudia Palescandolo e Samuel Daveti), un gruppo di ricerca composto da “addetti ai lavori” che indaga sulla situazione economica del settore concentrandosi sull’elemento più centrale ma anche più bistrattato: gli autori o più estesamente creatori. Non solo sceneggiatori e disegnatori, ma anche inchiostratori, coloristi e letteristi.
L’indagine è stata fatta su un campione di 339 creatori sul totale di 2.000 indicizzati, con tutte le approssimazioni metodologiche che può comportare un sondaggio del genere. Il risultato fornisce un ritratto realistico di quella che è la situazione italiana.
Innanzitutto la composizione demografica: i millennial si fanno sempre riconoscere, essendo la classe d’età più rappresentata nel sondaggio. Presi a tenaglia tra due generazioni forse più “pragmatiche”, i nati degli anni Ottanta confermano di essere particolarmente attratti dalle professioni creative anche e ben oltre le loro capacità di assorbimento.
Perché il mercato del fumetto, oggi, non è in grado di finanziare tutti. Il dato più impressionante dell’indagine è in effetti quello economico: 56,5 per cento dei creatori ottiene dal fumetto un reddito inferiore ai 5.000 euro all’anno e solo il 13,6 per cento oltre i 15.000 euro all’anno. Siamo insomma, nella stragrande maggioranza, sotto la soglia di povertà. E contrariamente ad altri paesi europei come la Francia, in Italia non esistono sovvenzioni o regimi fiscali particolari per chi fa questa professione.
La metà lavora all’estero
Allora, il fumetto è un lavoro? Di certo è quasi impossibile vivere solo di quello, soprattutto in Italia dove il mercato è piccolo e le condizioni contrattuali poco vantaggiose. Tant’è che la metà degli autori italiani sondati lavorano con l’estero, soprattutto nei due grandi mercati occidentali, ovvero quello franco-belga e quello nordamericano. Ma anche lì sono pochi a fare la bella vita. L’elevata frammentazione dell’offerta ha permesso a molti creatori di entrare sul mercato, ma ognuno di loro finisce per guadagnare molto poco.
I numeri dell’indagine MeFu mostrano bene quanto conti, nella professione, il lavoro di cura della propria reputazione sui social network, ulteriori ore di lavoro che nessuno paga al fumettista ma che sono necessarie a farlo “esistere”.
Chi ci guadagna
Eppure in tutto questo c’è anche chi ci guadagna: alcuni editori (quelli grossi), i distributori (la cosiddetta coda lunga) e indirettamente le scuole di fumetto e le accademie che continuano a sfornare nuovi talenti su un mercato già saturo, come mostra bene l’indagine del MeFu. Il presunto boom del romanzo grafico esiste più per loro che per gli autori stessi.
D’altronde è noto che anche ai tempi della corsa all’oro nel Klondike, i soli a guadagnarci furono i venditori di picconi e setacci. Oltre a un certo Paperon de’ Paperoni, ma per farvi raccontare la sua storia dovrete consultare un fumettista, e se possibile pagarlo bene.
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