Un’alleanza ormai rodata, fra le signore di Prati affascinate dall’understatement di lusso sofisticato di Monica Guerritore, affogato di luce mediterranea, e i gruppi d’ascolto frufru in via Padova a Milano (live o via whatsapp: scambio foto e… «ma l’hai visto?» e continuano a grondare), pronti a vivisezionare Giacomo Gianniotti e il suo screen time, sempre gioiosamente in mutande. Grazie a Dio.

Ma soprattutto una meravigliosa valanga internazionale: dal Sud America alla Nigeria. Inganno ha rapidamente sfondato la top ten degli show più visti su Netflix in ogni angolo del globo, a botte (ogni settimana, attenzione) di 10 milioni di individui di ogni genere ogni settimana. Da due mesi in qua. Sei episodi e basta, da consumare in una sera come una barretta di fondente, ispirati all’originale inglese Gold Diggers (Gli Arrivisti, Gli Approfittatori), ma rinvigorito da sole e bagliori inguinali/toracici/posteriori – ma non solo, anche soldi, soldi, famiglia, soldi, come fosse una Succession masticata come polpo cotto alla perfezione da quella vecchia volpe di Pappi Corsicato.

I 290 minuti, ormai lo sanno tutti, ruotano intorno alla storia d’amore fra Gabriella (Guerritore), proprietaria di un albergo bidimensionale in costiera amalfitana ed Elia (Gianniotti), giovane bonissimo, fintomisterioso da feuilleton orgogliosamente nudissimo perché sottoposto ai raggi X dello sguardo desiderante del regista. Un’improbabile guasto al motore lo precipita fatalmente all’ingresso dell’albergo, e di lì a poco tra le lenzuola Bonora e nella vita di Gabriella.

Da lì una processione di sensualità (etero, gay, flu) e sospetti, alimentati dallo stereotipo superato – la muraglia di spettatrici/ore lo conferma – della differenza d’età fra i due. Sospetto rinfocola i timori dell’assente (o differentemente affaccendata) famiglia di Gabriella/Guerritore rispetto alle intenzioni del lestofante falloforo, o proprio in quanto falloforo, Giannotti, quasi fosse una nuova o vecchissima figura di Propp.

È l’insieme a essere queer nel senso più ricco del termine. E, per ripristinare il mai morto Gillo Dorfles e il non ancora sepolto Alberto Abruzzese, è neocamp. Quanti anni era che non si sentiva? In verita’ pochi, da White Lotus di Mike White. Ma qui lo humour sta a zero.

Inganno trionfa perché sposta l’asse del diritto consentito dalla positività del proprio corpo e dalla rappresentazione cosmetica dell’ex terza età (basta entrare in profumeria) verso il vero trionfo del corpo quasi settantenne. Gabriella dice di averne 60, di anni. Nella realtà, sono 67 quelli della performer. E consente un ritorno all’era d’oro dell’attrice proprio a quel cinema della semiliberazione fine ‘70 e ‘80 che Guerritore guidò come eroina diciamo politica, spesso predominando/cavalcando sessualmente il suo stesso marito, Gabriele Lavia, in una teoria di titoli onestamente dimenticabili.

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Pappi, ma il bonazzo (cfr. finora trattato coi guanti dai media italiani, guanti che invece ci sfiliamo) ce lo metti sempre?

Sempre! Sempre dei bei ragazzi. Però poi salta fuori anche la figura femminile, dai.

Guarda, qui stiamo parlando di un fenomeno globale. Tutto il mondo in contemporanea ha deciso che fossimo qui oggi a parlare di Inganno. Non male.

Non penso che questo tipo di distribuzione e successo sia comune a tutte le produzioni italiane, tutt’altro. È per me tutt’ora abbastanza sorprendente. Sarà un fattore tematico, un fatto estetico, il tipo di progetto in sé, già rodato nella sua versione originale, l’inglese Gold diggers.

Però Gold Diggers l’hai ribaltato.

Sì, quella era girata fra Inghilterra e Scozia, noi con Teresa Ciabatti l’abbiamo portata fra Napoli e Positano. Abbiamo fatto il miglior uso possibile delle location: se uno racconta quei luoghi sarebbe anche stupido non raccontarli al meglio. Quando mi hanno affidato il progetto non ho nemmeno voluto vedere l’originale. Guerritore e Gianniotti erano il ticket di protagonisti già assegnato alla serie: ho lavorato in modo molto americano.
Se Inganno ti è arrivata come semilavorato, diciamo che la tua impronta è ben schiacciata sulla pelle della serie.

Adoro le sfide. Abbiamo lavorato moltissimo sui luoghi, sulla cura delle scene, sui costumi. Credo che facciano parte della visione del regista: non solo dirigere gli attori, ma curare ogni dettaglio del set.

Tutta questa attenzione al fatto registico è stata ampiamente ripagata, no? Perché questo riscontro? Che risposta ti sei dato.

Credo parta tutto dalla storia, quella di una donna matura che conduce una vita tranquilla, magari solitaria, che viene messa in discussione dopo l’incontro con questo giovane. Centrale è l’elemento del rischio: pur consapevole del gap generazionale e non estranea ai timori connessi (sarà davvero un gold digger?), Guerritore accetta la relazione. Credo che questa libertà di potersi vivere una storia, nonostante i rischi e gli ostacoli, abbia trovato grande riscontro nel pubblico; pubblico non solo femminile: maschi etero mi hanno confessato di essersi commossi fino alle lacrime. Evidentemente c'è qualche cosa che non ti so spiegare, che ha a che fare con la fragilità. La possibilità di scoprire le proprie fragilità e viverle fino in fondo.

In fondo si parla di accettazione, no? Accettazione del fatto che la relazione sia porosa, imperfetta.

Imperfetta, sì. Che uno magari lo sa anche che va a sbattere, però perché non provarci? Molte volte la gente davvero pensa che a un certo punto non esiste più il sesso, non esiste più l'amore o ci rinuncia. Lei invece insiste, comunque e nonostante tutto.

Il racconto di questa relazione imperfetta passa in buona parte dalla prova di Monica Guerritore, dalla sua mimica, dai suoi abiti, dai suoi sguardi.

Io ho messo in mostra una bellezza matura, una bella donna di fascino, in una prova che non è da tutte.

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Al personaggio di Guerritore pieno e rotondo fa da contrappunto la bidimensionalità di lui. Diciamocelo, è un bisteccone impenitente preso di peso da un calendario, scintilla ancora di anni ’80.

Lui è un’icona del bello, ma anche qui c’è una scelta provocatoria. Non ti metto il giovane intellettuale, ti metto uno che è carne, carne pura. E ovviamente sembra pure che non ci sia sentimento, però alla fine vengono fuori anche le fragilità di lui. Di primo acchito sembra appunto il bellone che conquista la donna di una certa età, poi man mano cominci a capire che ci sono delle crepe, delle caratterialità strane. Non voglio svelare il finale, ma anche il suo carattere apparentemente freddo, manipolatore, si rivelerà ben più complesso.

Questa combinazione fra rotondità di lei e apparente irrealtà di lui dà fuoco alle polveri del softcore. E Inganno qui non ci ha delusi: stiamo pensando ovviamente al cunnilingus subacqueo.

Sì, quella è una trovata della sceneggiatura. Diventa anche spiritoso, fra virgolette, quasi ironico. Sai, l’apnea… e poi si ritrovano a fare quello. Quei piccoli touch nella sceneggiatura ci vogliono: altrimenti perché chiamare me?

Però ci sono delle resistenze in famiglia, no?

Certo, è molto interessante vedere la dura risposta del figlio alla relazione della madre: uno vede sempre questi omosessuali felici e contenti – per carità, quello che tutti ci auspichiamo – ma di fatto lui con l’atteggiamento censorio verso la madre dimostra innanzitutto un atteggiamento censorio verso sé stesso.

Però questa cosa della spinta a toccarsi, questa sessualità c'è sempre stata nel tuo cinema.

Per me la sessualità e la sensualità sono elementi fondamentali, ho sempre voluto che venissero fuori. Cioè io sono più interessato alla sensualità dei personaggi: un bacio, un avvicinamento delle bocche…

Sei sempre stato un autore, in qualche modo. Già l’esordio di Libera era evidentemente il primo passo di un cineasta  – e un cineasta nuovo – che oggi chiameremmo queer. La questione dell’omosessualità risuona costantemente nelle tue scelte? Intenzionalmente?

No, io non sto neanche a pensarci. Poi mi faccio le mie elucubrazioni. Tutte quante. Però io sono anche molto istintivo, anche quando giro non è che vado a prepararmi, a fare lo storyboard. Non me ne frega nulla. Io vedo la scena, un po’ me la immagino e la giro come dico.

Sesso, senso, corpi e carne sono tutti centrali, direi. Non pensiamo solo ai corpi nudi (Gianniotti), ma al corpo di Guerritore con le sue gonne strette al ginocchio, straordinarie.

Abbiamo lavorato molto sullo styling. Hai ragione… quelle gonne, quelle camiciole… sempre molto figa, a volte un po’ maschile, sobria ma sensuale. E dei colori davvero pazzeschi, spesso Prada primi Duemila, ma anche la classe della buona borghesia napoletana che conosci bene, no?

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