È famoso per aver costruito un perfetto clone di sé stesso, ma la sua missione ha radici più profonde. E riguardano la ricerca di un senso nella vita: «Con la tecnologia possiamo potenziare le nostre capacità»
Hiroshi Ishiguro dirige l’Intelligent Robotics Laboratory all’Università di Osaka e ha dedicato gran parte della sua vita a plasmare umanoidi – differenti per età e involucro – che aderissero, per fattezze e funzioni, a ciò che chiamiamo umano.
Per «capire come ci si sente ad avere un doppio robotico», nel 2006 ha creato Geminoid HI-1, modellato su sé stesso (o su una versione di se stesso), ha spedito il suo sosia sintetico a tenere conferenze accademiche e fatto recitare uno dei suoi androidi femminili a teatro in un dialogo tra un umanoide dall’aspetto femminile e un’attrice.
In più di due decenni tra simulacri robotici (tra questi Repliee Q1 Expo, il primo androide basato su un personaggio pubblico, la giornalista Ayako Fujii) più volte si è mosso lungo la linea di confine tra artificiale e biologico.
Nel memoir Come costruire un essere umano (da poco uscito per Wudz Edizioni), Hiroshi Ishiguro si chiede cosa provi il proprietario di un surrogato sintetico di sé stesso, quali siano i vettori che definiscono l’identità e come pensare alla robotica come specchio capovolto per riflettere sull’essenza umana.
Quando ha iniziato a lavorare al primo umanoide?
Nel 2000, ventiquattro anni fa, ero impegnato in ricerche sulla robotica e sull’intelligenza artificiale quando ho pensato che l’intelligenza artificiale dovesse avere un corpo. Così ho iniziato a perfezionare i robot e ho aperto un lungo dibattito con i miei collaboratori sull’aspetto che doveva avere il robot che stavo plasmando. Per me la risposta era chiara: il mio androide doveva avere un aspetto simile all’essere umano. Non tutti erano d’accordo.
Non ha pensato che l’aspetto di robot possa assomigliare a una versione perfettibile, stereotipata o perennemente giovane dell’essere umano?
Possiamo scegliere l’identità dell’androide, possiamo scegliere come apparire.
E il resto? Come replicarlo?
La mia opinione è che dobbiamo riflettere sulle caratteristiche fondamentali dell’essere umano. È una questione aperta. Possiamo dire che gli esseri umani sono diversi dagli animali anche per aver incluso nel percorso evolutivo il progresso tecnologico. Il corpo umano è più sofisticato di quello di un androide certamente, ma espressioni facciali, gesti, mani e sguardi possono essere simili. Abbiamo anche recentemente implementato un nuovo modello linguistico.
Ha detto di aver imparato molte cose dai suoi alter ego robotici…
La prima lezione è stata quando ho sviluppato Geminoid HI-1, nel 2006. Tutti si sono sorpresi perché era apparentemente la mia copia ma non lo pensavo davvero. Ogni mattina guardo il mio volto allo specchio, l’immagine riflessa è diversa da quella di Geminoid HI-1. Dicono che Geminoid HI-1 sia come una fotografia, un capovolgimento dell’immagine reale. Anche la voce… Geminoid HI-1 disponeva di ottime tecnologie di sintesi vocale, la sua voce era uguale alla mia. Ora sto parlando, questa voce è diversa dalla mia. Se registro la mia voce e la riascolto, è ancora diversa. Ciò significa che noi umani non possiamo avere una visione oggettiva del nostro aspetto, della nostra voce e dei nostri comportamenti. Gli altri hanno una conoscenza molto più approfondita di noi. Noi non ci conosciamo davvero.
Studiando come si costruisce un umanoide si è interrogato sulla verosimiglianza, definiamo un umanoide per somiglianza o opposizione. Si è mai chiesto cosa per convenzione chiamiamo natura umana?
Ho scelto di usare il mio androide per indagare proprio questo, cosa fa di noi degli esseri umani. Questa era la mia domanda alla base di ogni ricerca: come possiamo imitare le emozioni, l’intelligenza? La questione è aperta, non conosciamo le risposte definitive. Dovremmo studiare ancora quello che è artificiale per capire l’umano ma credo che la robotica sia un banco di prova per comprendere meglio le funzioni, le emozioni, il desiderio e qualcos’altro che noi viventi abbiamo.
Quanto è importante il ruolo della creatività nella robotica?
L’immaginazione è la forza motrice della creatività. Senza la creatività, non potremmo sviluppare alcuna nuova tecnologia. Sappiamo che l’immaginazione è importante per l’arte ma anche scienziati e ingegneri devono essere in un certo senso degli artisti. Se vogliamo sviluppare nuove cose, se vogliamo trovare nuove idee, dobbiamo essere artisti. Dobbiamo usare l’immaginazione come un artista. Quando ero all’università passavo pomeriggi a dipingere a olio. Stavo quasi tentando di diventare un pittore nella vita adulta ma per un artista è difficile sopravvivere. Per questo ho optato per l’ingegneria, la robotica, l’intelligenza artificiale…
Perché ha fatto recitare poesie a una delle sue creazioni artificiali?
È stata una collaborazione con la drammaturga, regista e saggista Oriza Hirata. La sfida era quella di rappresentare la mente umana a teatro e per farlo abbiamo immaginato una mente e anima non umana, quella di un androide. Dal mio punto di vista è stato un successo. Abbiamo girato per città e teatri con una tappa anche in Italia. Chissà magari nel futuro avremo sempre più attrici e attori androidi. Ma cosa vuol dire in fondo? Cosa significa l’identità?
Per quanto riguarda la sua identità nel libro scrive come ci si sente dentro un clone, è un paradosso. Come definisce il suo io in rapporto alla replica sintetica?
Condivido la mia identità con il mio androide, probabilmente il mio androide ha un’identità più forte di me. Sono io perché l’androide è il risultato di ricerca più importante della mia vita. Chi ha l’identità più definita? L’androide è la mia identità più importante.
Se la coscienza è uno dei fondamentali vettori che separano uomini e macchine, cosa ne pensa della morte? Come muoiono le macchine?
Anche una macchina ha una durata di vita limitata, è necessario sostituirne le parti. La macchina, a volte, può rompersi, ma probabilmente la vita della macchina è più lunga di quella dell’essere umano. Quindi, in un certo senso, dobbiamo sostituire il nostro corpo con parti meccaniche se vogliamo aspirare a una vita più lunga. Questa è l’evoluzione umana. L’essere umano ha due modi per evolversi: uno è legato alla genetica, l’altro ha a che vedere con la tecnologia. Inglobando braccia e gambe meccaniche, computer, interfacce cervello-macchina, possiamo migliorare le nostre capacità. Il corpo non è più naturale da tanto tempo.
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