Sembra una storia d’amore come tante altre: si incontrano alla fine di una giornata difficile per entrambi e si piacciono subito. Si salutano convinti di non rivedersi mai più ma il destino li fa rincontrare, si innamorano e si sposano. Lei, Lily Bloom interpretata da Blake Lively, ha un negozio di fiori e lui, Justin Baldoni nei panni di Ryle Kincaid, è un neurochirurgo di successo. L’amore però in questo film c’entra poco. Lily ha alle spalle il rapporto con un padre violento e presto anche Ryle assume atteggiamenti morbosi e gelosi nei suoi confronti.

It Ends with Us, uscito il 21 agosto nelle sale italiane, racconta il percorso di consapevolezza di una donna maltrattata, la difficoltà di ammettere a sé stessa di trovarsi in quella situazione e l’importanza del sostegno delle persone care per aprire gli occhi. Il tema della violenza è affrontato con profondità, senza colpevolizzazioni nei confronti di Lily (o della madre, anche lei maltrattata dal proprio marito), senza assoluzioni nei confronti di Ryle (o del padre di Lily).

Un ruolo centrale è riservato anche ad alcune figure positive, come la migliore amica di Lily – nonché sorella di Ryle – che la sprona a lasciarlo, e Atlas, primo amore della protagonista. Anche Atlas ha alle spalle una famiglia violenta, ma rappresenta un modello di mascolinità diversa, tanto da essere una delle persone che aiuta Lily a prendere coscienza della sua situazione.

La campagna marketing

Negli Stati Uniti è in sala dal 9 agosto e ha riscosso un discreto successo, superando i cento milioni di dollari di incassi. Il film però è stato preceduto da una campagna marketing che ha fatto molto discutere perché considerata inadatta a un tema serio e attuale come quello della violenza domestica.

Le critiche sono state rivolte soprattutto a Blake Lively, che ha basato la promozione su vestiti e fiorellini, utilizzando un tono molto leggero, senza davvero riservare uno spazio per parlare della violenza contro le donne.

Su Instagram l’account ufficiale It Ends with Us movie ha caricato decine di contenuti prima di pubblicare un post con indicati i numeri di emergenza per le vittime e una guida per «contribuire a rompere quel modello e promuovere relazioni sane».

E i fan se ne sono accorti: «Adesso condividete contenuti utili. Cosa è successo ai fiori e ai biscotti?», «Questo avrebbe dovuto essere promosso dal primo giorno, e non prodotti per la cura dei capelli, drink e fiori», e ancora «è folle che ci siano voluti 143 post prima di pubblicare qualsiasi cosa utile riguardo all’uscita dalla violenza domestica durante la promozione di un film incentrato proprio sulla violenza domestica». Sono centinaia i commenti come questi sotto i post del profilo.

Diverso invece l’approccio di Baldoni, che durante le interviste ha più volte parlato della violenza e del ruolo degli uomini.

«È facile chiedere, soprattutto come uomini, “Perché le donne rimangono?” Ma la vera domanda da fare è “Perché gli uomini fanno del male?”», ha detto a Cbs morning. Inoltre, la sua azienda ha collaborato con No more foundation, un insieme di organizzazioni no profit che fornisce sostegno in caso di violenza domestica e sessuale.

Le giovani generazioni

L’intento del tour promozionale era forse quello di attirare più persone o di raccogliere l’interesse delle fasce più giovani. Ma non serviva una campagna marketing leggera e floreale, gli (e soprattutto le) adolescenti si sarebbero comunque interessati al film. È grazie a loro, infatti, che It Ends with Us è arrivato in sala.

La storia è tratta dall’omonimo romanzo della scrittrice americana Coleen Hoover, pubblicato nel 2016. Il libro aveva avuto successo fin da subito, ma è con TikTok – e in particolare con la community delle booktoker – che ha scalato le classifiche.

È stato tradotto anche in Italia (da Sperling & Kupfer) e nel 2022 è stato il terzo libro più venduto dell’anno secondo la classifica dell’Associazione italiana editori (Aie). L’età media in sala alla messa in onda del primo spettacolo non superava i 18 anni.

Questa è una delle novità rispetto alle altre storie di abusi raccontate sul grande schermo: il pubblico. Le ragazze non hanno visto la solita vicenda d’amore a lieto fine, ma l’aspetto tossico che possono assumere alcune relazioni. Quella raccontata è per molte donne una realtà e vederla affrontata in un film senza retorica o colpevolizzazione può essere uno strumento utile, soprattutto durante l’adolescenza.

«Ho sentito di lettori che hanno lasciato situazioni terribili e che i miei libri li hanno ispirati a farlo, è la cosa più incredibile che potessi mai sperare che accadesse», ha detto Coleen Hoover in un’intervista al Time. Già il libro, quindi, aveva fatto la sua parte.

La narrazione nel cinema

La sensibilità negli anni è cambiata e la trasformazione è evidente se si prendono in considerazione alcuni film dei decenni precedenti. Una pazza storia d’amore è uscito nel 1973 e già il titolo è eloquente.

Ci si aspetterebbe un film romantico, in realtà è il racconto della fine del matrimonio tra Stephen e Nina. Dopo tradimenti e controversie Stephen cerca di convincerla a tornare con lui, arrivando anche a violentarla.

Dalla visione del film non si traggono insegnamenti, non c’è nessuno sguardo critico sulla vicenda. D’altronde negli anni Settanta in Italia era ancora in vigore il matrimonio riparatore, non sconvolge quindi che la violenza psicologica e sessuale nel film non siano problematizzate.

Diverso è Via dall’incubo (Enough), film del 2002 con Jennifer Lopez, che all’inizio sembra avere tutte le carte in regola per essere una commedia romantica. I protagonisti, Slim e Mitch, si sposano, hanno una vita agiata e una figlia. Ma appena Slim rinfaccia al marito un tradimento lui mostra il suo lato possessivo e violento, minacciandola e picchiandola.

Dopo vari tentativi lei scappa lontano, ma lui riesce a trovarla. Nel film emergono sia personaggi positivi che sanno dare supporto – come gli amici – ma anche figure negative che colpevolizzano Slim e sottovalutano l’aggressività del marito. «Che cosa gli hai fatto per farti ridurre così?», le chiede la madre di Mitch guardando le ferite sul volto. La colpa, quindi, è sua.

Via dall’incubo mette in evidenza l’assenza delle istituzioni e le difficoltà causate dalla violenza economica, oltre che da quella fisica e psicologica. Ma a tratti la protagonista viene colpevolizzata e l’unica soluzione proposta per uscire dalla violenza è attaccare auto-difendendosi, motivo per cui inizia a prendere lezioni di arti marziali.

Ci sono poi anche film che semplicemente raccontano. È il caso di Un giorno perfetto, diretto da Ferzan Özpetek (2008) e tratto dall’omonimo romanzo di Melania Mazzucco. Al centro c’è la storia di una coppia separata con due figli e dell’ossessione dell’ex marito, Antonio, nei confronti dell’ex moglie, Emma.

Stalking, violenza psicologica, fisica e sessuale si alternano arrivando fino all’epilogo più tragico. Nessun insegnamento, nessuna morale, solo il racconto oggettivo e drammatico della quotidianità di tante persone.

Il cambiamento

Confrontando questi esempi con quelli di oggi il cambiamento è notevole. Non emerge solo da It Ends with Us, ma anche da C’è ancora domani, il successo cinematografico dell’anno scorso diretto e interpretato da Paola Cortellesi. In questo caso, come nel film con Blake Lively, non emerge il racconto di una situazione di violenza che viene solo subita, ma le donne hanno un ruolo.

Centrale è il desiderio di autodeterminazione della protagonista, Delia, vessata da un marito maltrattante ma decisa a far valere il suo diritto di votare. A questo si aggiunge il tentativo di rompere la catena della violenza, proteggendo la figlia da un potenziale matrimonio violento e dandole la possibilità di essere libera, studiando.

Negli ultimi anni le storie sterili e quelle ricche di stereotipi sono sempre più messe da parte a favore di una narrazione che in qualche modo sembra voler essere utile. Utile alle donne maltrattate, ai genitori, ai figli, a chi ha un’amica o una sorella vittima.

Alle ragazze, così che sappiano distinguere una relazione tossica da una sana. Ma anche e soprattutto ai ragazzi, esempi di una mascolinità diversa e non prevaricatrice, proprio come Atlas.

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