The Tradition di Jericho Brown, pubblicato per la prima volta in Italia per Donzelli editore con il titolo La Tradizione, è un’opera esemplare. Tradurre le vicissitudini di un libro, Premio Pulitzer per la poesia nel 2020, non è impresa semplice, ma a traghettare questa singolare e vasta esperienza oltre oceanica all’interno della nostra cultura contribuiscono la rilevanza delle tematiche politiche e l’attualità degli argomenti. Enuclea così il dibattito contemporaneo tra multiculturalismo e policulturalismo, di chi lavora sui gruppi a partire dalle differenze, chi sulle somiglianze, con l’obiettivo di porre rimedio alle disuguaglianze.

Il poeta è nato in Louisiana nel 1976 e la sua terza raccolta gli è valsa uno dei più alti riconoscimenti poetici, un’opportunità, questa, per un quarantenne negli Stati Uniti di ottenere ascolto e visibilità, di attestarsi tra le ventidue categorie del Pulitzer allo stesso modo di un veterano della letteratura – si pensi al quasi ottantenne Frank Bidart vincitore del concorso nel 2018.

Poeti “nuovi”

Nella direzione del rinnovamento dei progetti editoriali, la direttrice della collana Elisa Donzelli ha volutamente individuato questa raccolta, in linea con il movimento Poeti post ‘68 di cui è fondatrice, un’ampia “non generazione” o generazione di poeti nazionali e internazionali che, nonostante non siano parte di collettivi, tentano di ricollocare le opere in una dimensione storica, in rapporto con le diverse voci maestre dei movimenti di poesia dal Dopoguerra ai giorni nostri.

Si avverte la presenza di poeti “nuovi” in grado di attraversare la recente tradizione, assimilando contenuti globali, lavorando sulle forme e sulle innovazioni del genere poetico.

L’ambiente culturale americano, nel caso specifico del libro di Brown, ha sottolineato il canto straziato e sanguinante di chi inserisce il vissuto e la storia nei versi.

La vita è importantissima, e l’autore è sia African-American sia omosessuale: si potrebbe pensare che il vivere questa duplicità attraverso l’appartenenza a una doppia minoranza sia stata la molla per restituire la poesia della vita nella sua interezza, attraverso innovazioni formali di cui il testo è portatore.

Drammi e tragedie del nostro tempo, assieme all’amore che nutre un «pronipote» di mezzadri a cui fu promessa la terra, diventano parte del libro. Nel presente ciò che è stato promesso si manifesta sin da subito come menzogna se, come recitano i versi de La Tradizione, la «terra posseduta è tutta terra un tempo rubata».
Le 52 poesie del volume discutono il vero lascito testamentario della storia americana, la reclusione nei ghetti e la violenza; parlano di blackness riprendendo la questione della razza dalle origini mitiche della schiavitù agli omicidi perpetrati dalla polizia nei confronti degli afroamericani.

Di primo acchito potrebbe sfuggire, ma un filo sottile unisce i canti della poetessa Phillis Wheatley (1753 - 1784) a questi di Brown: chi osserva ancora la «razza scura con sdegno» e non riconosce che l’umanità si estende ampia «come il mare»; ma il testo sembra attingere anche al serbatoio poetico di Langston Hughes (1902 - 1967) per il richiamo ai primordi culturali della civiltà.

Il mito di Ganimede

«Un uomo baratta il figlio coi cavalli» è il primo verso dell’opera a cura di Antonella Francini, che si avvale della consulenza di Raphael d’Abdon; a essere discusso è il baratto che avviene tra la divinità e l’uomo, in una trasposizione del mito di Ganimede (il titolo dato alla poesia in ouverture).

Brown ragiona sul ruolo del bellissimo fanciullo comprato da Zeus per diventare amante e coppiere degli dei; e la compravendita, avverte, è l’occasione per uno stupro.

Il fatto narrato dal mito è di per sé orribile. La poesia chiede perché la violenza sia una genetica della cultura, perché schiavitù e servaggio siano diretti discendenti del mito incastonato nell’antichità e perché la trasmissione di idee debba accadere senza un filtro critico.

Brown muove e dirige le metafore del verso contro una storia fatta di bugie, e i personaggi posti al centro di questo sipario sono coloro che, non potendo difendersi, vengono venduti con le più svariate promesse, anche d’immortalità certificata dalla cultura e dalla religione. 

La sottomissione viene esaltata dai poteri che difendono lo stato delle cose, ma è la poesia a intervenire per contestare le consuetudini sociali, il regno di idee e di linguaggi che si ereditano e non solo, anche i sistemi economici ricevuti in eredità.

«La gente del mio paese crede che / Non ci faranno del male se ci possono comprare», è questo il giro di versi che chiude il testo incipitario, certificando la subordinazione, nei secoli, della cultura e delle tradizioni a chi ha la possibilità di comprare, i padroni e i potenti che possiedono le stalle in Paradiso. In un climax via via più struggente, emerge il tema della contrapposizione tra capitalismo e cultura, con sarcasmo e indignazione.

In questa geografia, che non è più solo un’epopea americana, il virus della discriminazione si rende visibile e infetta la società fatta di bianchi e di uomini macchiati dal colore della pelle.
Nel testo scelto come quarta di copertina che dà il titolo al libro, si fanno poi i nomi di John Crawford, Eric Gardner e Mike Brown, tutti uccisi dalla polizia, recisi come piante dai nomi classici, Aster, Nasturtium e Delphinium.

L’estate è sbocciata contro la volontà della Natura, gli studenti americani studiano la botanica dai testi classici e nelle parole dei filosofi. Poi creano un documentario, osservano le piante, mentre i notiziari incendiano con le notizie di morte. Le telecamere della poesia conducono, in una similitudine, alla fine del mondo, un luogo dove a essere strappati sono gli steli della vita umana, dove vengono tagliate le vite degli uomini di colore. È apocalissi dolcissima ma sofferente quella che assembla Brown, indirizzando i versi tra denuncia sociale e prospettive di conoscenza.

In un’altra poesia, Alle prime luci dell’alba, le donne afroamericane al lavoro fin dal primo mattino «piantano fiori timidi come i loro figli»: tutt’altra considerazione ottengono dalla cultura dominante che reputa pigri i neri, ma peggio ancora è la tradizione “bianca” che scagiona i poliziotti, anche se hanno sparato alla schiena di ragazzi inermi, magari ammanettati.

Il contesto americano

L’assunzione del contesto americano violento stride ancora di più nell’elaborato stile classico del libro, fornendo una chiave interpretativa drammatica alle dinamiche sociali. Eppure il soggetto che si intravede nella poesia desidera l’anonimato, l’invisibilità, lo scandalo nella camera da letto, non quello sulla bocca dei clienti degli outlet che si trovano al bordo dell’autostrada.
Gli uomini che desiderano la pace sul pianeta, l’abbraccio come atto politico, il monoteismo dell’amare, sono l’obiettivo di Jericho Brown, e tra tradizione, inni di sangue, scoppi di violenza e fragilità della dimensione privata, accade la poesia come contrasto alle offese fatte alle diversità e all’irrisolta discriminazione verso i neri d’America.


Ganimede

Un uomo baratta il figlio con dei cavalli

Questa la mia versione preferita.

Mi piace perché sicura, nessuno

Colpevole, tutti risarciti. Dio prende

Il ragazzo. Il ragazzo diventa

Immortale. Suo padre cavalca finché

Il dolore suona bene come il galoppo

D’un animale nato per portare chi

Pattuglia il nostro Regno

Ereditato. Se si guarda al mito

Così, nessuno si cura di dire

Stupro. Cioè, non vuoi che

Dio ti voglia? Non sogni uno

Con le ali che ti porti lassù?

E quando il padrone viene

A prendersi i nostri figli, puzza

Come gli uomini che hanno stalle

In Paradiso, quella terra lontana

Fra Promessa e Apologia.

Non ci deve convincere nessuno.

La gente del mio paese crede che

Non ci faranno del male se ci possono comprare.

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