«Piacere. Devo spiegare la mia improvvisa apparizione. Provengo da un altro tempo». Usa, 1969. Janet Evason, figlia di Eva e Alicia, moglie di Vittoria, madre di Yuriko, Ufficiale di Sicurezza per la Contea – sezione Sicurezza e Pace, abitante di Whileaway, pianeta incastonato in un futuro (che non è il nostro, badate bene!) dal quale sono esclusi i maschi, totalmente sterminati da un’epidemia almeno otto secoli fa, prima si materializza, sporca e sudata, a Broadway, e poi approda senza invito o preavviso a una scrivania del Pentagono.

Vede uomini vestiti maluccio («avevano tutti delle strisce sulle tasche»), ottusi e spaventati, li scambia per operai, poi entra una segretaria sexy ed elegante e la crede un’esponente della classe dirigente. Janet viene in pace, insomma.

Nominata ambasciatrice perché non è molto intelligente (ne è consapevole), e di conseguenza su Whileaway, dove vige un brillante matriarcato lesbico, agricolo e tecnologicamente avanzato, possono benissimo fare a meno di lei, Janet ha studiato la lingua dei terrestri anni Settanta ma non capisce i contesti e ignora le cosiddette buone maniere. Peccato. O per fortuna.

L’eversiva 

Gli esiti, dunque, sono talvolta spassosi e teneri. E pensare che non aveva un carattere ameno, Joanna Russ, scrittrice di fantascienza femminista di cui Mondadori (collana Oscar Cult) ripubblica ora il romanzo più celebre e caustico, La female man.

Newyorkese, famiglia ebrea, ragazzina precoce dai talenti Stem sedotta dalla lettura e dalla scrittura, allieva di Nabokov alla Cornell University, poi docente universitaria, lesbica, moglie pentita di un giornalista per un pugno d’anni, riempì di irrequietezza e rabbia ribollente i suoi 74 anni di esistenza (è morta a Tucson nel 2011). Cattivi i rapporti con i genitori, soprattutto con la madre, non migliori quelli con le altre autrici di Sci-fi e con le case editrici, ambivalenti tra intransigenza e ironia i sentimenti che la legavano alle donne, fossero o no femministe.

Di Ursula K. Le Guin, la “collega” già famosa, per esempio, pensava che avesse attraversato il guado solo a metà. Certo, in La mano sinistra del buio Le Guin già nel 1969 descriveva un pianeta dove tutti erano ambisessuali, ovvero ermafroditi latenti, maschi/femmine a corrente alternata con pari opportunità di procreare, ma il punto di vista era quello, dapprincipio perplesso, di Genly Ai, il terrestre nero etero in missione.

Nulla a che vedere con l’eversione di genere messa in atto della sua female man. Che è l’essere che incorpora entrambi i sessi, è il collage linguistico che accorpa quattro creature femminili per picconare la percezione della realtà. Niente androginia, dunque, e nessuna metamorfosi, bensì una molteplicità che viaggia in un multiverso dove il passato che visitiamo non è mai il nostro passato ma è quello di qualcun altro e che così diventa subito un altro presente.

Le quattro J 

Chiara a questo proposito Oriana Palusci, coinvolta nell’attuale edizione di Mondadori e pure nella prima uscita in Italia del romanzo (Nord, 1989), che ha revisionato la sua traduzione in collaborazione con Francesca Pinchera: non per nulla l’articolo “the” del titolo originale adesso in italiano è finalmente diventato “la”. Ed eccole, le quattro J (in omaggio a Jane Eyre, la prima guerriera moderna).

Nella spaesata Janet “confluiscono” via via Jeannine Dadier, zitellina ansiosa e melensa bibliotecaria di una New York del 1969 (niente Seconda guerra mondiale, le potenze planetarie sono il Divino Impero Giapponese e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, aleggia un’eterna crisi del ’29); Joanna, alter ego di Russ, a volte scrittrice e a volte personaggio, che entra ed esce simultaneamente da una Manhattan radical-chic degli anni Settanta, zeppa di feste alcoliche e maschi fintamente progressisti; e Jael, denti d’acciaio fuso e artigli retrattili, l’agente spesso sotto copertura dell’Ufficio di Etnologia Comparata, la feroce combattente di un futuro terrestre non lontanissimo, dov’è quarant’anni che donne e uomini sono in guerra e vivono separati.

E che al piacere di questi ultimi provvedono “modificati” e “semimodificati” (hanno rinunciato alla chirurgia). Oggi Jael potrebbe forse essere una terf, una femminista radicale transescludente? Se lo è chiesto Stephanie Burt, poetessa e docente di Harvard dalle pagine di The Nation.

Le avventure di Janet-Jeannine-Joanna-Jael, sorta di quadruplice Gulliver postmoderno, ci accompagnano nel pensiero di Russ: di tutti gli universi, i veri alieni sono le donne, e la fantascienza, già di per sé radicale, è perfetta per narrare la marginalità. Allo stesso tempo, la female man serve a Russ per esplorarsi in tutte le sue contraddizioni e ambivalenze.

«Gli schemi genetici talvolta si ripetono da un possibile universo presente a un altro… talvolta si verifica una ripetizione di genotipi anche nel lontano futuro… nessun profano penserebbe per un istante che ha davanti quattro versioni della stessa donna», spiega Jael. Sì, la stessa donna. Capace di progettare rivoluzioni cruente e assegnarsi lussi supremi. Di sgozzare un uomo e poi di far l’amore, farlo come vuole lei, con una ragazza complicata e con un toy boy creato in laboratorio («Vale se è la tua migliore amica? Vale se è la sua mente che ami attraverso il corpo? Vale se ami il corpo degli uomini ma odi le loro menti? Vale se ami ancora te stessa?»).

Russ in Italia 

La female man di Joanna Russ e la sua epica fantascientifica non binaria lasciano nel tempo un segno durevole. Che non invecchia. Pubblicato nel 1975, il romanzo ha subito venduto più di 100mila copie in pochi mesi. Ci sarà molto di lei in Le altre vite di Joanna May di Fay Weldon, uscito nel 1989. Intanto il suo viaggio nei mondi continua, e va e viene anche da noi.

Nel 2018 Claudia Durastanti e Veronica Raimo coordinano l’edizione italiana di Le Visionarie (Nero Editions), antologia di fantascienza, fantasy e femminismo di Ann e Jeff VanderMeer. Tra i 29 racconti troviamo la firma di Russ, di Leonora Carrington, Angela Carter, sì, quella di Notti al circo, Ursula K. Le Guin, Vandana Singh e di James Tiptree Jr, che in realtà si chiamava Alice Bradley Sheldon e che di Russ fu amica di penna, in un altalenarsi di identità e orientamenti sessuali. Nel 2021 il saggio How to Suppress Women’s Writing, scritto da Russ nel 1983, arriva in Italia con il titolo Vietato scrivere. Come soffocare la scrittura delle donne, tradotto da Dafne Calgaro e Chiara Reali (Enciclopedia delle donne). La postfazione è di Nicoletta Vallorani.

E a proposito di Vallorani: docente di Letteratura inglese e angloamericana all’università degli Studi di Milano, ha sempre studiato e amato Russ, ha collaborato con Oriana Palusci e ha pure vinto il Premio Urania nel 1992. Il cerchio si chiude, allora? No, mai.

La female man ha probabilmente contribuito infine a far sì che l’anno scorso la sua creatrice diventasse la terza autrice di fantascienza (accanto a Octavia E. Butler, nera e afrofuturista, e a Le Guin) di cui si sono occupate le edizioni della Library of America. E non è poco.


La female man (Mondadori 2024, pp. 269, euro 14,50) è un romanzo di Joanna Russ

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