Una pièce teatrale del drammaturgo James Graham, intitolata Dear England, rilegge la storia recente del paese attraverso il parallelismo tra calcio e politica, attraverso la figura di un allenatore dotato di umanità, stile sobrio, eppure criticato Con «Dear England» iniziava una lettera pubblicata da The Players Tribune, un appello antirazzista e contro l’odio fazioso
Adesso manca solo il calcio e, se per caso le cose dovessero andare in un certo modo, il simbolismo dell’estate inglese 2024 avrebbe una potenza davvero disarmante. Provate a pensarci: prima, dopo anni di follia politica ed economica, e di figure meschine da parte dei leader e dei loro scherani, alle urne i cittadini britannici scelgono di punire con una batosta epocale i Tories, facendo loro pagare con gli interessi, ormai a debita distanza, il leave e tutto ciò che è accaduto dopo, poi l’Inghilterra vince gli Europei. Questa sera l’Inghilterra affronterà i Paesi Bassi nella semifinale di Euro 2024 ed è tutto troppo suggestivo per essere vero, ma in fondo: perché no?
Dopo essersi sbarazzata di una delle più imbarazzanti classi dirigenti della sua storia recente, l’Inghilterra potrebbe completare l’opera prendendosi l’Europa del calcio. Il primo degli auspici del Sun (non esattamente un tabloid vicino alle istanze laburiste), quello di cambiare l’indirizzo politico, è andato a segno: «Time for a new manager», recitavano i classici caratteri cubitali di una sua prima pagina nei giorni delle elezioni. Sullo sfondo un campo da calcio, ma più in basso, sempre tra gli elementi della titolazione, la frase chiave era «and we don’t mean sack Southgate», per spiegare che il gioco di parole non riguardava il ct della nazionale dei Tre Leoni, ma l’inquilino del 10 di Downing Street.
Già, Gareth Southgate. Assunto dopo il leave, lui uomo da remain, i primi ministri del disastro li ha conosciuti tutti: Theresa May, Boris Johnson, Liz Truss, Rishi Sunak, e dire che storicamente in Inghilterra hanno spesso avuto vita più breve i ct che non i premier, ed è anche curioso ricordare quale fu la scintilla che portò all’assunzione di Southgate. Era il 2016, la FA aveva scelto Sam Allardyce, ma la sua esperienza durò pochissimo perché il Telegraph, al termine di una lunga inchiesta (sì, sotto copertura, e nessuno, da quelle parti, si stupì, anzi) lo beccò nell’atto di suggerire a due investitori asiatici – in realtà giornalisti – come aggirare le norme sui trasferimenti dei calciatori, per ottenerne un vantaggio economico attraverso la consulenza di un’agenzia di Singapore. Per immagine e comportamenti, Allardyce sarebbe stato il ct perfetto per fare il paio con i primi ministri che si sono succeduti da allora, ma tirare la corda non si può, e le sue dimissioni dopo lo scandalo aprirono le porte appunto a Southgate.
La lettera e i teatri
Chi sia Gareth Southgate lo ha raccontato, negli ultimi anni, una pièce teatrale del drammaturgo James Graham, intitolata Dear England. «Dear England» erano le parole con le quali, prima degli Europei di tre anni fa, Southgate apriva una lettera pubblicata da The Players Tribune, un accorato appello antirazzista, contro l’odio social e la logica di fazione in generale.
Graham rilegge l’Inghilterra della Brexit attraverso il parallelismo tra un allenatore dotato di un certo senso di umanità, di uno stile sobrio e pure di un passato nel quale per anni ha dovuto subire lo stigma (quello del famigerato rigore sbagliato a Euro 1996, in casa), nel Paese dei Johnson e delle Truss, personaggi al suo opposto, loro tracotanti, lui gentile, loro impregnati di potere, lui sempre sulla graticola come prevede il ruolo.
Lo spettacolo di Graham è ancora nei teatri, si aggiorna volta per volta. Gli altri no, ma Southgate è ancora lì perché, semplicemente, assomiglia alle parole che dice, e allora passano in secondo piano le critiche sul gioco compassato, su scelte individuali discusse (l’equivoco tattico su Alexander-Arnold, l’avere lasciato a casa Grealish) e quant’altro, perché poi – al netto della retrocessione nella serie B della Nations League – Southgate ha portato l’Inghilterra a un quarto posto al Mondiale 2018, a un terzo posto nella prima Nations League, ai quarti in Qatar (e solo perché di fronte si è trovata la Francia), in finale a Euro 2020 – persa solo ai rigori, di nuovo – e almeno tra le prime quattro anche stavolta.
Se vi sembra poco, provate a pensare che solo la Francia – il cui ct è un altro personaggio pensante, fuori dal campo – è stata più continua degli inglesi in questo stesso periodo, e lo è grazie a lui, non suo malgrado. O davvero si pensa di poter giudicare Southgate attraverso le percentuali di possesso palla, il numero di passaggi, gli expected goals?
Cosa scrisse il c.t.
No, Southgate va giudicato per altro. «Ogni partita, indipendentemente dagli avversari, può creare un ricordo permanente in un qualsiasi tifoso inglese. Perché conta così tanto? Ognuno ha un’idea diversa di cosa significhi realmente essere inglese e guarda l’Inghilterra attraverso i propri ricordi. Cos’è l’orgoglio? Personalmente, il mio senso di identità e di valori è strettamente legato alla mia famiglia e in particolare a mio nonno. Era un fiero patriota e un orgoglioso militare, che prestò servizio durante la seconda guerra mondiale. L’idea di rappresentare “la regina e la nazione” è sempre stata importante per me». E ancora: «I nostri giocatori sono modelli da seguire. E, al di là dei confini del campo, dobbiamo riconoscere l’impatto che possono avere sulla società. Dobbiamo dare loro la fiducia necessaria per difendere i compagni di squadra e le cose che contano per loro come persone. Non ho mai creduto che debbano fermarsi al calcio. So che la mia voce ha un peso, non per chi sono ma per la posizione che ricopro. A casa, sono al di sotto dei bambini e dei cani nell’ordine gerarchico, ma pubblicamente sono l’allenatore della squadra di calcio maschile dell’Inghilterra. Ho la responsabilità di usare la mia voce nei confronti di una comunità più ampia, e lo stesso fanno i giocatori. È loro dovere continuare a interagire con il pubblico su questioni quali uguaglianza, inclusione, ingiustizia razziale, sfruttando il potere delle loro voci per contribuire a mettere sul tavolo dibattiti, sensibilizzare ed educare».
Questo, fra le altre cose, scrisse nel 2021. Questo è Gareth Southgate, oggi ancor di più in un’Inghilterra che inizia ad assomigliargli.
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