Se c’è un caso che spiega quant’è maldestra la destra della cultura è quello di Beatrice Venezi, «direttore d’orchestra», come si definisce lei, che non ama declinare il suo mestiere al femminile, nominata l’11 novembre 2022 consigliera per la Musica del ministro Gennaro Sangiuliano, con un compenso di 30mila euro.
Scrive Alessandro Tommasi su Le Salon Musical dell’8 marzo 2021: «Nel caso di Venezi, a un’abilità tecnica che, nella migliore delle serate, possiamo definire appena dignitosa, non segue una musicalità, un carisma soverchiante che pieghi la materia sonora verso un progetto musicale definito».
Morale di Tommasi: «Ma allora tutta la narrazione messa in piedi da lei e dalla sua agenzia, ossia il grande direttore donna in carriera dal fulmineo successo, si rivela per quello che è: una riuscita, ma poco motivata, scelta di comunicazione». Il sinonimo è: fuffa.
L’impegno politico
Solo che, come si sa, la fuffa, se ben infiocchettata, paga. Il fiocco è, chiaramente, l’impegno politico. Venezi è di destra, lo dichiara e lo dimostra.
Il 1° maggio 2022, dirige alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Milano, fa sapere che i suoi valori sono Dio, Patria e Famiglia e dice a chiunque l’intervisti quanto le piace Meloni.
Il 26 settembre di quell’anno, posta su Instagram una sua foto con Giorgia Meloni e il seguente commento, che si apprezza di più leggendolo con voce alta, impostata e marziale, tipo cinegiornale Luce: «Ti meriti tutto Giorgia (qui forse ci voleva una virgola, ndr), hai lottato come una leonessa dal primo giorno, instancabile e determinata, con competenza e passione, e con la forza che forse solo una madre conosce. Adesso comincia un altro duro lavoro ma sono certa che sarai all’altezza delle aspettative di tutti gli italiani che aspettavano questo momento da una vita». Per esempio, lei, Mattioli.
Infatti, poche settimane prima, in una delle innumerevoli interviste tutte uguali che rilascia, letta una lette tutte, per la precisione all’Espresso, aveva dichiarato: «Apro le braccia a una parte politica che finalmente riconosce l’importanza della cultura e della nostra tradizione come valore fondante di un paese. Ed è la prima volta che lo vedo (…)».
Le contestazioni
Un aspetto sul quale tutti o quasi sono d’accordo è che Venezi non deve fare carriera soltanto perché è di destra, ma perché è di destra non dev’essere nemmeno discriminata. In Italia, al massimo, capita che qualche orchestrale o critico dicano le cose come stanno. In Francia, invece, si contesta forte.
Mi risultano due episodi. Il primo, il 9 aprile 2023, a Limoges (ancora una piazza periferica, non certo la più prestigiosa), dove Venezi dirigeva La sonnambula di Bellini a una matinée della domenica. L’appello «antifa» fu lanciato da Cyril Cognéras, ex consigliere comunale, sindacalista e, secondo France Info, «militant occitaniste et antifasciste» (va bene antifascista, ma occitanista?), e raccolto da una cinquantina di engagé che si presentarono davanti all’Opéra per cantare Bella ciao e Bandiera rossa.
Il consigliere regionale lepenista Albin Freychet replicò così: «Mi stupisco. In che cosa, concretamente, le opinioni politiche di madame Venezi sarebbero razziste o non rispetterebbero i diritti dell’uomo?». In fin dei conti, c’era da temere soprattutto per quelli di Bellini.
Dal canto suo, il preoccupatissimo direttore dell’Opéra di Limoges, Alain Mercier, fece sapere che l’invito a Venezi risaliva al 2021, prima che si scoprissero le di lei opinioni politiche, che il suo teatro «rispetta la libertà di coscienza e di opinione del suo personale, finché restano nei limiti legali», e invitava il pubblico a non fare «l’amalgame», insomma a non confondere «il ruolo di direttrice d’orchestra di questa produzione e l’Opéra di Limoges in generale».
I giornali italiani, almeno quelli di destra, erano già scatenati quando la contestazione replicò a Nizza. La locale Orchestra sinfonica, e nemmeno in questo caso parliamo dei Berliner, aveva reso noto di aver invitato Venezi a dirigere il concerto di Capodanno.
Subito una rete di associazioni pubblicò un comunicato sul sito Tous citoyens il 10 luglio 2023. «In un contesto di banalizzazione dell’estrema destra e del fascismo, l’invito fatto a madame Venezi a Nizza costituisce un gesto politico che noi contestiamo e denunciamo fortemente».
Anche qui, il seguito fu tutto all’insegna del già visto, anzi del déjà vu: replica del direttore del teatro locale, Bertrand Rossi («Poiché la musica ha il potere di trascendere le divisioni e riunire le persone in un’esperienza comune, è essenziale separare la politica dall’arte»), indignazione fortissima degli amici italiani del direttore e anche, benché meno forte, di chi è contrario a tutte le censure.
In più, Venezi rispose di non aver sostenuto mai tesi omofobe o fasciste, che la stampa italiana faceva malissimo «a dare credito» alle proteste di quattro gatti e che lei avrebbe continuato a dirigere l’Inno a Roma di Puccini, già sigla dei comizi missini, «che non ha alcun tipo di riferimento ideologico» ma che in effetti, aggiungiamo noi, non va eseguito non perché sia fascista, bensì perché è orrendo. Per il resto, come al solito, contestare per ragioni ideologiche porta soltanto acqua al mulino del contestato.
Famosa per questo
Ma c’è un ma, anzi due considerazioni conclusive, che nessuno fa mai. La prima. Che Venezi sia fascista o solo di destra, che sia figlia di un gerarca, che sia amica di Meloni, che faccia la pubblicità al suo lato Bioscalin, che le piacciano Dio, la Patria e pure la Famiglia sono, alla fine, fatti suoi.
Però è diventata famosa come musicista non nonostante questo, ma soprattutto per questo. Non è un celebre direttore d’orchestra che è anche di destra. È un direttore d’orchestra diventato celebre perché è di destra. Nonostante i piagnistei e il vittimismo, sul suo essere di destra Venezi ha costruito la sua presenza mediatica. Quello che identifica la sua bacchetta non è che la usi meglio di altre o altri, ma che la usi perché è dichiaratamente nera. Altrimenti sarebbe rimasta una delle direttrici che vanno pel mondo, che sono davvero tante, e molte pure brave, e nessuno sarebbe qui a dedicarle capitoli di libri.
Andare a cantare Bella ciao alla sua Sonnambula è un esercizio di antifascismo francamente sproporzionato, anzi stonato; ma lamentarsene è ridicolo, perché la notorietà di Venezi è inscindibile dal suo dirsi di destra. Dicesse le solite banalità buoniste che dicon tutte, non sarebbe certo salita a queste vette di notorietà nazionalpopolare (chi minimamente se ne intende, come abbiamo visto, ha idee più precise).
L’errore del ministero
Seconda considerazione. Nominando Venezi sua consigliera appena approdato in via del Collegio Romano, Genny-la-gaffe ha fatto, al solito, la cosa sbagliata al momento sbagliato. Nemmeno i mandarini del suo ministero potevano ignorare che esistono in Italia alcune decine di direttori, e anche alcune direttrici, molto più prestigiose di Venezi.
Vuoi nominare un consigliere per la Musica, e forse è pure una buona idea, visti i disastri che combinano in materia i burosauri ministeriali? Alza la cornetta e chiama Riccardo Chailly o Daniele Gatti. Preferisci qualcuno della generazione successiva? Chiama Michele Mariotti. Vuoi una donna? Forza con Speranza Scappucci o Gianna Fratta o Elisabetta Maschio.
Senza contare che ci sarebbe pure Riccardo Muti, le cui idee sulla cultura, musicale e no, sono più o meno l’opposto delle mie ed espresse sempre con l’insostenibile pesantezza della retorica più bolsa, ma che ha un curriculum che sta a quello di Venezi come l’oceano Pacifico ai Navigli.
Invece no: a consigliare il ministro, una direttrice poco più che trentenne e dalla carriera modesta anche per quell’età. Vero è che si tratta del ministero della Cultura, non di quello dell’Istruzione e del merito. Il “merito”, beninteso, è stato aggiunto dalla destra di governo. E poi dicono che questi postfascisti non hanno il senso dell’umorismo.
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