La sinistra è stata del tutto estranea alle politiche misogine che in forme diverse e inquietanti hanno segnato la politica dei partiti di destra? In Uomini contro. La lunga marcia dell’antifemminismo italiano, Longanesi, 2023, Mirella Serri puntualizza come tanto tra i progressisti quanto tra i conservatori l’emancipazione femminile abbia incontrato strenui oppositori, che hanno manifestato il loro risentimento attingendo talora alle espressioni più grezze della misoginia.

La vicenda di Iotti

Appare esemplare, in proposito, la vicenda politica e umana di Nilde Iotti: quando Iotti, che era stata deputata all’Assemblea costituente e faceva parte del Comitato centrale del Pci, venne candidata alla presidenza della Commissione femminile, fu Giorgio Amendola a evidenziare quanto potessero incidere su di lei le vicende «personali e familiari già note». La sua relazione con Palmiro Togliatti era infatti largamente disapprovata dai dirigenti comunisti.

Anche l’allora trentottenne Enrico Berlinguer, sottolinea Serri, non mancò di esprimere riserve, ritenendola poco incline alla disciplina di partito e lontana dal modello femminile incarnato da Maria Goretti, che il futuro teorico del compromesso storico citava come esempio alle compagne. 

Iotti era vissuta, durante il fascismo, in un mondo in cui una donna doveva sentirsi in colpa quando si sottraeva a quella che era considerata la sua naturale vocazione: la maternità e la cura della casa. Avvertì infatti un grande disagio quando cominciò a frequentare la Cattolica, in cui non mancavano le discriminazioni verso le donne e verso chi, come lei, proveniva da una famiglia umile. Si trovava adesso, all’interno del Pci, a vivere paradossalmente in una condizione di minorità fra quanti avevano combattuto il fascismo e la sua ideologia razzista e misogina. Non poteva inoltre ignorare che in Unione Sovietica, dopo l’esperienza rivoluzionaria che aveva portato alla legalizzazione dell’aborto nel 1920, l’interruzione della gravidanza era stata vietata nel 1932 per decisione di Stalin.

La mentalità fascista

Se la misoginia appariva come qualcosa di inaspettato in ambienti progressisti, era invece da sempre radicata nella mentalità fascista e nei movimenti politici che raccolsero poi quell’eredità.  La presenza di donne in posizioni di comando nella Rsi non era vista di buon occhio dai militanti missini. Nel clima del dopoguerra, in cui i “vinti” cercavano di trovare una legittimazione politica e culturale, Serri rileva come la  figura di Julius Evola svolse un ruolo fondamentale. Il suo carisma era legato all’aura di esoterismo elitistico che lo circondava e alle sue teorie che pretendevano di nobilitare in chiave “spirituale”, l’antisemitismo, il primato della “razza ariana” e la superiorità dell’uomo sulla donna, considerata inferiore per natura.

Non stupisce allora che Aleksandr Dugin, il filosofo russo ideologo di Putin e fondatore insieme a Limonov del Partito nazional bolscevico, guardi oggi con interesse a Evola, condividendone l’ostilità verso i modelli culturali e politici occidentali.

Serri descrive come alcune frange della destra radicale italiana abbiano subito la fascinazione di queste  idee, assumendo comportamenti razzisti e misogini che hanno anche condotto a esiti tragici. In proposito,  dedica molte pagine del suo libro al massacro del Circeo e ad Angelo Izzo, che di Evola si considerava un devoto discepolo.

Alla fine degli anni Sessanta, Evola fu definito da Giorgio Almirante «il nostro Marcuse» ma, come sottolinea Serri, se il filosofo tedesco teorizzava la funzione liberatoria dell’eros, il profeta della destra legava l’eros alla dimensione orgiastica. In quegli anni il Movimento di liberazione della donna e il Partito radicale lottarono contro i pregiudizi antifemministi diffusi trasversalmente nel panorama politico italiano.

Tra il 1970 e il 1981, grazie all’impegno del movimento femminista, dei radicali e dei partiti laici, si giunse alle leggi sul divorzio e sull’aborto e ai referendum che le confermarono. Nilde Iotti, che nel 1979 fu eletta Presidente della Camera dei deputati, aveva dichiarato qualche anno prima che il Pci era stato vicino alle donne molto più del movimento femminista e che non svalutava «le femministe borghesi», ma dubitava che avessero avuto un impatto fra le masse.
Aveva evidentemente elaborato i torti subiti nel suo partito, dal momento che, come scrive Serri, erano state proprio le battaglie delle “femministe borghesi” a condurla a Montecitorio. Si era ancora lontani dalla spettacolarizzazione della libertà sessuale nelle reti televisive commerciali e da quel 1968 realizzato da Berlusconi, su cui Mario Perniola scrisse il suo provocatorio pamphlet.


Uomini contro. La lunga marcia dell’antifemminismo italiano (Longanesi 2023, pp. 240, euro 19,60) è un saggio di Mirella Serri

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