Dove un tempo c’erano brasiliani e argentini, nel mezzo dell’area di rigore e dell’attacco, ora ci sono i nigeriani. Nell’incertezza calcistica trovano il loro centro di gravità permanente in Belgio e poi si lanciano all’assalto dei maggiori campionati europei: Storia di Victor Boniface e di Terem Moffi, sulle tracce dell’attaccante del Napoli
Dove un tempo c’erano brasiliani e argentini, nel mezzo dell’area di rigore e dell’attacco, ora ci sono i nigeriani. Nell’incertezza calcistica trovano il loro centro di gravità permanente in Belgio e poi si lanciano all’assalto dei maggiori campionati europei. I gol sembrano voler parlare nigeriano, che poi «in Nigeria si parlano più di trecento lingue», come racconta lo scrittore, premio Nobel, Wole Soyinka. Che fu calciatore a Leeds, ai tempi dell’università, ma smise per il freddo, la pioggia, il fango e perché non gli passavano il pallone. Invece, ai ragazzi di oggi, tutti vogliono passarlo perché sanno come metterlo in porta. E quelli che sanno farlo sono Victor Osimhen (1998), Terem Moffi (1999) e Victor Boniface (2000). Sono loro il clan dei nigeriani che pare destinato ad avere più campo davanti nei prossimi anni. Oltre a segnare, s’intende.
Un trio di ventenni che decide i risultati, stupendo per l’atletismo e la forza, oltre che per la tecnica. Sono il presente del calcio e probabilmente il prototipo di quello del futuro. L’Africa che non chiede, ma che prende: palloni, spazi, immaginario. Sono ragazzi timidi prodotti dal caos di Lagos ed educati dalle numerose Academy che sorgono continuamente. A gennaio la Nigeria, con questa che sembra essere la sua migliore gioventù, ha la possibilità di vincere la Coppa d’Africa e consacrarsi come paese cardine del continente. Non è un caso che Victor Osimhen abbia dichiarato più volte che il suo sogno è di essere il miglior calciatore africano, non di vincere la Champions League, che poi le due cose siano propedeutiche per lui non sembra avere importanza.
Prima l’Africa. Che poi significa prima Io. È quello che ha ribadito Osimhen a Napoli, quando ha visto che il modulo scelto dall’incauto allenatore Rudi Garcia lo costringeva a un inutile lavoro di tagli e cuci con la conseguenza di avere molte palle in meno per segnare. Urla, lezioni di tattica esplicite, musi lunghi e poi non trovando palle giocabili, Osimhen e il suo manager, hanno messo in porta gli incauti video postati dal Napoli su TikTok. Risultato: Garcia ha accettato l’autogestione guidata da Giovanni Di Lorenzo, e Osimhen ha ripreso a segnare, ma non ad esultare. Le esultanze risultano essere la banalità del calcio di oggi, per lo scrittore Wole Soyinka, che ci vede tanti ballerini, chissà se citando “The Killers”: «Are we human, or are we dancer?», l’avesse saputo Osimhen poteva addurla come scusa.
Nessuna scusa invece per Terem Moffi che è contentissimo del suo allenatore, Francesco Farioli, e che meno di sue settimane fa con due gol e l’assist per il terzo ha battuto il Paris Saint-Germain, e prima è passato per i campi della Lituania al Kauno Žalgiris, è rimasto un anno svincolato a guardare le foto di Osimhen che segnava, poi è andato al Riteriai, sempre campi freddi e duri dell’Est, niente a che vedere con le foto che i fratelli gli mandavano da casa, e poi – finalmente – ha trovato il Belgio che, fallita la missione di essere il centro dell’Europa politica, è sicuramente il centro di ambientamento maggiore per i calciatori nigeriani, al Kortrijk, Moffi ha capito che poteva farcela, la pioggia di Georges Simenon era meglio della neve di Romain Gary. Dopo c’è stato il Lorient e oggi c’è il Nizza, domani, chissà. Intanto lui la mette alle spalle di Gigio Donnarumma e pensa a quando sognava di essere Osimhen sotto i cieli ionizzati della Lituania. «L’ho conosciuto quando abbiamo giocato insieme nell’Under17. È un bravo ragazzo, è stato buono con me in tante occasioni, quindi mi sono detto impara da lui. L’ha fatto in Belgio, e io l’ho rifatto in Belgio. L’ha fatto in Francia, e io lo sto rifacendo in Francia, capite? Osimhen è una motivazione per me».
Storia differente per Victor Boniface la sua traiettoria dice Norvegia, Bodø/Glimt, poi – ovviamente – Belgio nell’Union Saint-Gilloise e ora Bayer Leverkusen, primo in Bundesliga, allenato da Xabi Alonso. Ha confessato alla Bild che mentre Alonso gli parlava, spiegandogli un po’ di tattica e intenzioni dopo la firma del contratto con il Leverkusen, lui pensava solo a come chiedergli una foto dopo. I giornalisti sportivi tedeschi si sono accorti che Boniface non è bravo solo a metterla in porta, ma ha un talento come rifinitore, infatti comincia come regista al Real Sapphire, conservando visione e tocchi smarcanti. Lui, però, guarda a Neymar, e dice di voler raggiungere la sua complessità. «Fa tutto bene», ha detto Alonso. «Non solo con il suo gioco, aiuta la squadra».
È probabile che entrambi l’anno prossimo giochino al “Santiago Bernabeu” con la casacca del Real Madrid. Intanto si divertono sui campi tedeschi. Questi ragazzi nigeriani sembrano usciti dalla canzone “Ja Funmi” di King Sunny Adé, che dice «combatti, combatti, combatti per me / jaa ja ja ja funmi». Osimhen, Moffi e Boniface sono solo quelli che fanno più rumore, ma dietro stanno arrivando gli altri, quelli come Gift Orban che gioca nel Gent in Belgio quindi è sul trampolino di lancio, dopo essere passato per la Norvegia; Kelechi Nwakali che gioca in Portogallo, al Chaves; Ademola Lookman dell’Atalanta; e Taiwo Awoniyi del Nottingham Forest, per stare solo agli attaccanti.
Mentre l’Europa si preoccupa ossessivamente di fare catenaccio contro le migrazioni dei loro fratelli, sorelle, padri, madri, loro si prendono il calcio europeo a forza di gol. L’immagine che racconta il futuro è un fotogramma di “Le monde est à toi”, film di Romain Gavras: su un muretto parigino ci sono una decina di ragazzi che sembrano sosia di Victor Osimhen, slanciati con i capelli biondo ossigenato, sono loro, che si prenderanno le aree di rigore e le maglie da titolari nelle squadre migliori dei campionati europei e non solo. Con buona pace di Matteo Salvini e Marine Le Pen, scavalcheranno senza cupezza – probabilmente – le aspettative dello scrittore francese Michel Houellebecq.
È immarcabile Victor Osimhen che dopo essere stato capocannoniere del campionato italiano ha capito che può avere tutto, e anche se continua a segnare e dice di amare Napoli è già altrove, forse in Premier League. Osimhen è l’espressione massima di questa generazione di africani che è in continuo movimento, anche quando dorme. Una migrazione d’animo prima che di corpo. Inquieta. Non c’è il blues, non c’è il jazz ma il rap a raccontarli, scatti e rime, accelerazioni e ritorni, rabbia con una franchezza che le generazioni europee non hanno. Sono immarcabili Moffi e Boniface perché hanno già superato il difensore peggiore: la solitudine in paesi ostili, non solo per il clima. Si divertono a giocare perché il campo, anche nelle condizioni peggiori, è il miglior luogo possibile, l’uscita dalla normalità. Quello che accadeva in Sudamerica ora si ripete in Africa: un passaggio di palloni, gol ed epoche.
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