Nuove generazioni di agricoltori e imprenditori stanno facendo conoscere la città siciliana per i suoi prodotti di qualità, allontanandola dall'immagine della mafia e del film Il Padrino
Corleone ha un cuore sempre più verde. Il comune dell’entroterra palermitano sta lavorando da anni su una notorietà diversa: non quella legata alla mafia, ai boss Totò Riina e Bernardo Provenzano e a Il Padrino, il film di Francis Ford Coppola sulla saga di don Vito Corleone. Le facce di questo paese oggi sono quelle di imprenditori agricoli che producono vino, olio, pasta, grano e che invitano a conoscere Corleone e il suo entroterra.
Sono anche siciliani un po’ stufi di sentir parlare solo di mafia e antimafia, sballottati da una logica che – dicono – fa perdere di vista il motivo per cui hanno deciso di restare sull’isola e fare impresa. Che è la vocazione agricola – e spesso biologica – di questo pezzo di Sicilia che d’estate è gialla per il colore del grano, in primavera sembra l’Irlanda e d’inverno ha i colori bruni della terra.
Lo sottolinea il giornalista siciliano Salvo Ognibene che si è occupato a lungo di criminalità e che oggi è impegnato nel settore dell’agroalimentare: «Le nuove generazioni che portano avanti le imprese dei nonni e dei genitori sono nate dopo il periodo delle stragi e sono cresciute in un contesto di rinascita. Oggi i problemi di Corleone sono quelli delle strade malmesse, dello spopolamento, dell’abbandono delle campagne, ma il rilancio è legato proprio ai prodotti dell’agricoltura, penso alla viticoltura che rappresenta un volano economico di tutta la Sicilia».
Vino, mandorle, olio
In una famiglia di viticoltori è cresciuto Leoluca Pollara, responsabile marketing e vendite dell’azienda vitivinicola Principe di Corleone. Una storia più che secolare in contrada Malvello arrivata alla quarta generazione: «L’area del Corleonese», spiega Leoluca, «equivale al sei per cento dell’intera agricoltura siciliana. Parliamo soprattutto di piccole realtà che noi come azienda abbiamo coinvolto in una serie di eventi come Cantine Aperte (giornate dedicate a visite e degustazioni di vino in tutta Italia organizzate dal Movimento Turismo del Vino, ndr) e in un e-commerce che si chiama Bottega Corleone. Il nome Corleone è forte e chiaro nel brand aziendale, ma il marketing c’entra poco: «Ci chiamiamo così», continua l’imprenditore, «perché mio nonno comprò la terra dall’allora principe di Corleone. Certo, non nego che suscita curiosità, soprattutto sul mercato americano, ma teniamo molto a promuovere la bellezza dei posti. Lo sa che Corleone è la città delle cento chiese e che la strada principale del borgo finisce sulla Cascata delle Due Rocche?».
Altra generazione è quella di Enzo Giglio, professore di educazione musicale e da quindici anni produttore di mandorle con l’azienda Mandorlandia. Lui è di Chiusa Sclafani, mentre l’azienda ricade su Contessa Entellina. Il motivo per cui ha iniziato questa attività è dare un’opportunità di lavoro al figlio in Sicilia: «Come insegnante ho visto troppi giovani partire», racconta Giglio, «e anno dopo anno saltano diverse classi perché non abbiamo più studenti. Anche io sono stato in Germania tanti anni per scappare dal lavoro di mio padre che faceva il coltivatore diretto, ma negli anni 90 sono tornato. Ho scelto le mandorle perché la frutta secca è un trend in crescita e sono arrivato a tredici ettari di mandorleto. Qui, come altrove, scarseggia la manodopera in campagna e il territorio rimane ancora poco attrattivo, anche per gli interessi criminali che si sono spostati altrove da tempo».
Corleonese doc è la32enne Annamaria Scianni, produttrice di cereali con l’azienda La Lumaca di Corleone. La vendita di grano duro all’ingrosso è sempre stata la fonte di guadagno di questa famiglia che, grazie alla nuova generazione, ha differenziato la gamma: «Imbottigliamo l’olio extravergine fatto con la Nocellara del Belìce», spiega Annamaria, «inizieremo con un mandorleto e poi facciamo un amaro all’estratto di foglie di ulivo che si chiama Saraceno di Corleone». L’imprenditrice è nata il 30 maggio 1992, una settimana dopo la strage di Capaci. Questo vuol dire essere cresciuta in una città “pacificata” dove il ricordo si lega anche alla sconfessione dei luoghi comuni. Ne è un esempio il Cidma, Centro internazionale di documentazione sulla mafia e del movimento antimafia, visitato da oltre 20mila persone l’anno.
«Sono moltissimi gli stranieri», continua Scianni, «che vengono a visitare le sue stanze e poi si accorgono anche delle bellezze del luogo. Una su tutte, il canyon Gole del Drago». Questa Corleone “che non ti aspetti” è il claim della cooperativa turistico-culturale Nsitu. Anche qui sono i ragazzi ad accompagnare i visitatori in posti ai più sconosciuti, come il Bosco di Ficuzza dove spicca la Real Casina di Caccia voluta da Ferdinando IV di Borbone, in pratica una Reggia di Caserta in miniatura.
Pasta per Paramount
Altra confezione dove campeggia ben in vista la parola Corleone è quella della pasta Vescera, maestri della panificazione a Carlentini, in provincia di Siracusa, che, qualche anno fa, hanno investito nel comune palermitano, come racconta Emilia Di Sclafani: «Vescera è in Sicilia è la più grande azienda di trasformazione di grano duro molito a pietra. Dopo il pane e i prodotti da forno abbiamo pensato alla pasta. A Corleone abbiamo rilevato uno storico pastificio in fallimento, valorizzato le maestranze presenti, cambiato le semole, tutte biologiche, ed essicchiamo la pasta intorno ai 40°C per preservarne i benefici salutistici e organolettici».
I Vescera hanno acquistato terreni in zona per coltivare grani antichi, come tumminia, russello, perciasacchi, simeto e antaris e lavorano con produttori della zona tramite un contratto di filiera che garantisce un più equo compenso. «La linea di pasta Corleone ci ha messo in contatto con la casa di produzione americana Paramount che ha lanciato una linea food negli Stati Uniti. I loro agenti sono stati da noi per verificare la qualità del prodotto». Tra i formati c’è anche la Scibò, sfoglie tipo lasagna ma ondulate: «Era il tipo di pasta», continua l’imprenditrice, «usata dalle donne di Corleone per fare le lasagne con sugo di carne e ricotta e poi passate in forno».
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