Pestaggi e omicidi ma anche disuguaglianze e marginalizzazione. La vita degli afrodiscendenti in Brasile è un percorso a ostacoli, ma la lotta non si ferma e trova nuove modalità di espressione. Dai romanzi al documentario del rapper Emicida
- Domenica 14 dicembre nei trending topics brasiliani dominavano due nomi, quelli di Edson Arhuinez Júnior e Jordan Luiz Natividade, due ragazzi afrodiscendenti rispettivamente di 20 e 17 anni.
- La notte prima sono stati fermati dalla polizia a Belford Roxo. Le immagini in realtà ci mostrano la loro moto fermata brutalmente dalla polizia, quasi uno speronamento. I ragazzi cadono. E lì tutto comincia a diventare sempre più inquietante.
- Da quel momento non si sa cosa sia successo. Si sa solo che Edson Arhuinez Júnior e Jordan Luiz Natividade sono stati ritrovati morti, con segni di tortura sul corpo, in un quartiere vicino. E non è l’unica storia di questo genere in Brasile.
Domenica 14 dicembre nei trending topics brasiliani dominavano due nomi, quelli di Edson Arhuinez Júnior e Jordan Luiz Natividade, due ragazzi afrodiscendenti rispettivamente di 20 e 17 anni. La loro faccia serena e sorridente era immortalata su tutte le bacheche di molti dei loro concittadini/e. Uno di loro, in una delle foto che circolava sui social, è in spiaggia, ha appena fatto un bagno e sorride felice; l’altro ha un cappello calato in testa e quell’aria titubante che abbiamo un po’ tutti quando ci facciamo un autoscatto. I loro visi sono giovani, belli, lucenti e così pieni di futuro. Ma è proprio il futuro che è stato tolto a questi due ragazzi così solari.
La notte del 13 dicembre i ragazzi sono stati fermati dalla polizia a Belford Roxo. Le immagini in realtà ci mostrano la loro moto fermata brutalmente dalla polizia, quasi uno speronamento. I ragazzi cadono. E lì tutto comincia a diventare sempre più inquietante. Pistole puntate in fronte, un ragazzo ferito che si trascina impaurito sulle sue natiche non riuscendo a rialzarsi e poi quel calcio improvviso che gli arriva sugli stinchi. Viene voglia di distogliere lo sguardo. Ma ecco gli occhi, i miei, rimangono incollati a quelle scene sgranate. I ragazzi vengono alla fine portati via, trattati da sospetti di chissà quale crimine (essere giovani, neri e felici forse?) sulla vettura della polizia militare.
Da quel momento non si sa cosa sia successo. Si sa solo che Edson Arhuinez Júnior e Jordan Luiz Natividade sono stati ritrovati morti, con segni di tortura sul corpo, in un quartiere vicino. E non è l’unica storia di questo genere in Brasile. Purtroppo uccidere giovani afrodiscendenti è quasi diventata una routine.
I precedenti
A inizio dicembre due cuginette, Emilly Victoria Moreira dos Santos 4 anni e Rebecca Beatriz Rodrigues Santos di 7, sono state uccise a fucilate davanti alla porta di casa dove stavano giocando, a Barro Vermelho, Rio de Janeiro. Uccise come è successo nel 2019, a Complexo Alemão, ad Agatha Felix, 8 anni. La colpa viene data ogni volta a proiettili vaganti a cui non crede più nessuno da molto tempo, perchè i proiettili vaganti, caso strano, sono molto attenti e precisi a colpire solo corpi neri. Ma non sono solo i proiettili a uccidere gli afrobrasiliani. Lo scorso novembre João Alberto Silveira Freitas è stato picchiato selvaggiamente fino alla morte dagli addetti alla sicurezza di un supermercato. Un brutale pestaggio di cui sono rimaste le immagini registrate dalle telecamere del centro commerciale.
A ognuno di questi omicidi sono seguite proteste veementi della popolazione nera. Gli slogan brasiliani sono molto simili a quelli seguiti alla morte di George Floyd negli Stati Uniti, #Blacklivesmatter diventa in portoghese #Vidanegrasimportam. In effetti il Brasile condivide con gli Stati Uniti più di un tratto. Entrambi i paesi hanno schiavizzato le popolazioni dell’Africa, sfruttandone la forza lavoro e agendo con violenza sui loro corpi. Quella violenza della schiavitù si è poi trasformata nel tempo, in entrambi i paesi, in segregazione, paura, diseguaglianze, esecuzioni sommarie, ghetti.
Anche l’uccisione della consigliera socialista e femminista Marielle Franco si deve inquadrare, pur nei risvolti politici della vicenda, in quello che ormai in tanti in Brasile chiamano “genocidio” della popolazione nera. Un genocidio che quando non usa le pallottole, usa la marginalizzazione. In Brasile i neri sono tra i più poveri, i meno istruiti (perché viene negata loro la possibilità di istruirsi, solo il governo Lula con un programma di borse di studio ha cercato di invertire il trend), i più colpiti dalle malattie e con il tasso più alto di suicidi tra la popolazione.
Non a caso il Covid-19 ha mietuto un gran numero di vittime proprio nella comunità nera (oltre che nativa, è bene ricordarlo). Insomma come dicono in molti nel paese a carne mas barata do mercado è a negra, la carne più economica del mercato è la nera. Un’eco di questa diseguaglianza è arrivato anche durante il concerto di Natale, trasmesso su YouTube, di Caetano Veloso, evento che il noto cantautore ha voluto dedicare ai suoi fans sparsi ai quattro angoli del globo. «Il Brasile è uno dei paesi più diseguali al mondo» avrebbe detto Veloso durante il concerto. Una diseguaglianza che è ben visibile nella canzone per eccellenza del Natale brasiliano, Boa Festas cantata da Assis Valente.
Il sogno di Babbo Natale
Veloso, dopo averla cantata, ha fatto una preziosa analisi del testo facendo notare che l’autore, nero e del nordest, sa che aspettarsi un regalo da Babbo Natale è quasi un’utopia, perché probabilmente Babbo Natale per persone come lui è già morto. Un samba amaro dove Babbo Natale diventa una sorta di sogno irraggiungibile per chi è povero o (anche se non viene detto esplicitamente) nero. Ben lo sapeva l’autore di questo famoso inno natalizio che rapito dalla sua famiglia biologica è stato catapultato in una vita di semischiavitù. Un’infanzia durissima e una vita adulta dove non ha potuto beneficiare dei suoi successi (sono suoi molti dei samba più famosi di Carmen Miranda) visto che i diritti gli venivano letteralmente soffiati da sotto il naso.
Un uomo che da una parte ha creato pietre miliari della canzone brasiliana e dall’altra è stato costretto da un razzismo sistemico a vivere affogato dai debiti fino a morire suicida.
Basta vedere la parabola di Assis Valente per capire quanto la vita di un nero e di una nera sia molto dura in Brasile. Corpi che vengono sistematicamente distrutti e umiliati dallo stato nazione. Come Edson e Jordan. Ma se questa distruzione è stata condotta quasi in modalità industriale, lo è stata anche la resistenza. E di questa reazione al razzismo parla il docufilm, in programmazione su Netflix, AmarElo: É Tudo Pra Ontem (titolo italiano Amarelo - Il resto è storia) del rapper Leandro Roque de Oliveira, meglio conosciuto con il nome d’arte di Emicida. Più che un documentario l’opera di Emicida sembra una ballata nel genio nero brasiliano, il rapper parte naturalmente da sé stesso, dal suo album, per fare poi la storia del popolo nero brasiliano. La location di tutto è il teatro municipale di São Paulo, un luogo costruito dal sudore dei neri e in cui è stato detto ai neri di non entrare. Una regola non scritta fatta di frontiere invisibili ma reali, frontiere che lacerano la pelle e la speranza.
Proprio per questo Emicida decide di voler fare un concerto in quel teatro. Il suo sogno è quello di far entrare i suoi fratelli e le sue sorelle neri nel posto che un sistema razzista e di caste gli ha proibito. Ed è la musica ad accompagnare questa piccola rivoluzione. Canzoni del repertorio rap di Emicida mischiate a successi della Mpb, musica popolare brasiliana. Uno dei momenti più emozionanti del docufilm è quando il rapper canta una vecchia canzone di Belchior Sujeito de sorte, insieme a due note attiviste Lgbt Majur e Pabllo Vittar il cui refrain dice: Ano passado eu morri mas esse ano eu não morro, l’anno passato sono morto, ma quest’anno non muoio. Ed è lì che la canzone, che parlava di tutt’altro nella versione originale, diventa l’urlo resistente contro un razzismo sistemico che i neri brasiliani hanno dovuto e stanno ancora subendo.
Lélia Gonzalez
Tra i vari nomi che Emicida ricorda c’è anche quello luminoso di Lélia Gonzalez. Un nome ancora troppo poco conosciuto tra le femministe occidentali. In occasione di una sua visita in Brasile l’attivista e icona del femminismo nero (e non solo) Angela Davis ha ricordato ai tanti brasiliani accorsi a vederla che non dovevano guardare a lei, e all’America del nord, quando avevano avuto in casa una femminista e attivista come Lélia Gonzalez che, prima ancora che la parola intersezionalità fosse inventata, l’aveva applicata nelle sue lotte quotidiane.
Il valore dell’opera di Emicida è proprio quello di valorizzare figure come Lélia Gonzalez, senza dimenticare che il Brasile nero era fatto non solo dai suoi attivisti, ma anche da forme di resistenza create nel tempo come i quilombos (quando gli schiavi scappavano nella selva e costruivano società separate) o dal sincretismo religioso, che permetteva ai soggetti schiavizzati di conservare parte della propria identità culturale. Emicida, con il suo docufilm straordinario, non è certo l’unico a farsi custode della lotta contro l’ingiustizia che in Brasile ha radici profonde. Non a caso stiamo assistendo in questo anno di Covid-19, a un boom della letteratura afrobrasiliana. I testi delle veterane come Carolina Maria de Jesus e Conceição Evaristo ormai fanno parte del canone brasiliano, ma è notizia recente che il premio Oceanos, il maggior premio della letteratura in lingua portoghese, è stato dato a un afrobrasiliano, il bahiano Itamar Viera Junior per il romanzo Torto Arado (tradotto in italiano da Giacomo Falconi con il titoto Aratro ritorto per la piccola e gagliarda casa editrice Tuga che ha deciso di investire sempre di più nella lingua portoghese e nei romanzi di un mondo che da solo costituisce un continente linguistico). Un libro che oltre a questo premio si è aggiudicato anche il prestigioso premio Jabuti. Un romanzo regionale che come le grandi opere brasiliane (pensiamo soprattutto al Grande Sertao di Guimaraes Rosa) sanno affermarsi nell’universale.
Vieira Junior ci parla di un Brasile rurale, dove la schiavitù, nonostante l’abolizione, non è mai veramente finita ed è stata sostituita da un diverso tipo di sfruttamento e di mercificazione. Un romanzo di gente povera, nera, abbandonata a sé stessa. Protagoniste due sorelle indimenticabili, coscienza di un paese intero. Viera Junior è immaginifico, ma anche preciso nel descrivere le diseguaglianze. E sono tanti i libri di neri e nere brasiliane che rivendicano un loro spazio. Pensiamo al femminismo nero di Djamila Ribeiro (tradotta in Italia da Capovolte), ai racconti della favela di Jeferson Tenório e alla prosa poetica di Edimilson de Almeida Pereira. È un momento felice per la letteratura nera, perché (e gli autori e autrici ne sono consapevoli) è un momento anche molto infelice per la vita dei neri in questo 2020. Dove anche a sette anni puoi morire ucciso dalla polizia a causa della tua pelle. Non importa se stai solo giocando o solo sognando. La tua pelle fa parte di un piano di eliminazione. Sei comunque considerato corpo estraneo.
Succedeva ieri, come ben ricorda Emicida, ai musicisti di samba a cui regolarmente venivano sequestrati gli strumenti dopo essere stati picchiati e umiliati. Succede oggi alle tante Agatha Felix, bambine che vorrebbero solo volare come farfalle e invece sono abbattute da fucili e pallottole. Ma questo dolore non sembra interessare al governo dell’attuale presidente Bolsonaro così come non interessava al governo precedente, quello provvisorio di Temer (che alcuni hanno definito governo illegittimo e golpista) che tra i primi atti ha cancellato non a caso il ministero della Parità razziale. La vita dei neri brasiliani è di fatto un percorso a ostacoli. Niente è facile. Ma la resistenza continua, a luta continua, con l’attivismo, le canzoni, la letteratura, i sogni. E forse è solo questo è la strada verso la libertà.
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