- Dante è un poeta-pensatore scomodo. Radicale. Che mette in discussione le credenze comuni, i famosi “stereotipi”. È l’idea di Teodolinda Barolini, docente alla Columbia, dantista nota ovunque, intervistata da Domani.
- Se molte idee scomode di Dante non sono state censurate è perché il poeta ha usato due passepartout: la mitologia classica, e l’allegoria.
- A differenza di quanto succedeva nella poesia “cortese” in cui la donna non parla mai «la Beatrice della Commedia è “Beatrix Loquax”: non fa che parlare. E riconosce i dubbi di Dante secondo il suo "infallibile avviso". Posizione rivoluzionaria.
Bisognerebbe uscire un momento dalle celebrazioni, dalle parole e citazioni piacevolissime sui social, dalle pubblicazioni più o meno pop, e da graphic novel e fumetti (il temibile, almeno per il sottosegretario all’Istruzione Sasso, Topolino). Anche da gelati (ora ci sono, al gusto inferno, purgatorio, paradiso), e dall’ombra dei monumenti, che ci sono da secoli, e fino a ora non sono stati ricoperti da vernice spray o in lattina.
Dietro alla giostra rappresentativa buona, giusta, divertente, su un’icona magnifica, resta il fatto che Dante è un poeta-pensatore scomodo. Radicale. Che mette in discussione le credenze comuni, i famosi “stereotipi”. Spesso più forti adesso che nel detestato (dal populismo culturale contemporaneo) Medioevo.
È l’idea di Teodolinda Barolini, docente alla Columbia, dantista nota ovunque (è stata dal 1997 al 2003 la presidentessa della Dante Society), di formazione classicista e filologa, autrice, tra l’altro, di La Commedia senza Dio; Dante e la creazione di una realtà virtuale (Feltrinelli). Titolo polemico, studio narratologico. Barolini non è polemica, è una studiosa attenta: «La prima cosa importante che io abbia fatto è stata prendere alla lettera il testo di Dante» dice Barolini a Domani. E questo si vede già nel suo primo libro, un classico dell’italianistica, Il Miglior Fabbro. Dante e i poeti della Commedia (Bollati Boringhieri, 1993).
Omosessuali e spiriti magni
«Quella di Dante è un’ideologia scomoda, e un’ideologia scomoda tende a essere o riconfigurata o ignorata» spiega Barolini. Prendiamo la questione omosessuale. «È vero che Dante, nell’Inferno, mette gli omosessuali tra i violenti contro la natura. Ma è anche vero che, nel Purgatorio gli omosessuali stanno tra i lussuriosi, un’aggiunta scomoda. Perché nel purgatorio Dante utilizza un’organizzazione basata sul concetto cristiano dei sette vizi cardinali, che certo non prevedeva omosessuali tra i lussuriosi penitenti».
Quindi è presumibile che ci siano omosessuali in Paradiso? «Non è presumibile – risponde Barolini – è così. Tutte le anime nel Purgatorio stanno preparandosi per il Paradiso. Questo aspetto del XXVI del Purgatorio, è stato con il passare dei secoli ignorato dal “secolare commento”. Secondo Dante ci sono omosessuali salvati. E ovviamente all’epoca non era necessario fare queste cose per compiacere lo spirito del tempo: i suoi lettori non avrebbero chiesto “oddio, dove sono gli omosessuali salvati?”. Qui Dante va completamente per conto suo».
Come va per conto suo sulla questione del limbo. Che contiene, nella Commedia, non solo bambini non battezzati, ma anche “spiriti magni”, coloro che hanno dato fondamentali contributi alla cultura ma che sono adulti non cristiani. «Non a caso il IV dell'Inferno era messo all’indice per i giovani che studiavano per diventare chierici e il domenicano Guido Vernani ha inveito contro le menzogne della Commedia. Persino recentemente è uscito un libro sulla storia del limbo, che ha un capitolo intero su Dante, ma non riesce ad accettare che lui abbia potuto inventare che limbo ospita grandi pagani. E fa di tutto per trovare un antecedente, in Agostino o da qualche parte».
Altro aspetto in cui la maggiore “laicità” del religiosissimo Dante si vede, eccome: nell’iconografia medievale gli ebrei sono rappresentati con il borsello dell’usuraio. E invece, nel XVII dell’Inferno, gli usurai hanno il borsello iconico, ma non sono ebrei. Sono cristiani, fa notare Barolini. Altro caso gigantesco, e molto pericoloso all’epoca. L’autorità e le parole di elogio per l’islamico Averroè «che ’l gran comento feo», che scrisse il commento ad Aristotele.
L’averroismo, per esempio il concetto di un unico intelletto condiviso da tutti gli uomini, è stato combattuto, ed è stato condannato dalla chiesa alla fine del Duecento. Dante non solo mette Averroè tra i grandi spiriti, ma, aggiunge Barolini, «fa l’elogio di Sigieri da Brabante (“essa è la luce etterna di Sigieri”), grande seguace di Averroè, nel X del Paradiso, mettendolo accanto a San Tommaso d’Aquino. Il povero contemporaneo Cecco D’Ascoli, poeta e mago, attacca Dante per aver enfatizzato il dominio della necessità sulla scelta umana. Attacca l’averroismo scrivendo del “falso Averrois”. Ciò nonostante viene condannato al rogo nel 1327. Dante, invece, non viene condannato come eretico».
Raffigurazioni e finzione
Assunto che, come dice Barolini «un pensiero scomodo viene riconfigurato o ignorato», e che molti punti dell’ideologia dantesca non solo nella sua epoca, ma nei secoli, sono stati riconfigurati o ignorati, è interessante capire come Dante avesse potuto costruire un’architettura concettuale così polemica e difficile da digerire, allora come oggi, rimanendo, in buona sostanza, indenne. Da una parte, spiega Barolini, «c’è quella che io chiamo, nel sottotitolo de la Commedia senza Dio, la “creazione di una realtà virtuale”. Dante è riuscito a creare una realtà virtuale potente, e la dimostrazione di questo è che tutti si sono messi a illustrarla».
Le raffigurazioni di scene dantesche, dai primi secoli a oggi, non si contano: da Botticelli a Michelangelo a Bronzino a William Blake, a Johann Heinrich Füssli, a Francesco Scaramuzza a Gustave Doré. «Perfino Galileo si è messo a discutere le precise misure dell’Inferno, nelle sue lezioni del 1588 all’Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante. Da dove viene questo desiderio?» si domanda Barolini «Dalla capacità mimetica, non dalla religione».
Ma, dall’altra parte, molte idee scomode di Dante non sono state censurate perché il poeta ha usato due passepartout: la mitologia classica, e l’allegoria. La mitologia classica è stata patrimonio comune dei lettori colti fino all’Ottocento, e ha fatto sì che molte idee precristiane o “eretiche” circolassero, proprio grazie al quantum di “irrealtà” che le circonda. L’allegoria, proprio perché non mette in gioco il senso letterale delle parole e delle immagini si presta anch’essa a una lettura più tollerante, meno vincolata al riscontro oggettivo, e alle critiche oggettive. In breve Dante ha sfruttato, in molti casi, non solo la “sospensione dell’incredulità” (“suspension of disbelief”, formula incantatoria di Samuel Taylor Coleridge per definire l’opera d’arte), ma una sorta di “sospensione della credulità”, in cui l’elemento di finzione serve a custodire e proteggere da eventuali sguardi inquisitori gli elementi più radicali e scomodi della propria ideologia. Se non potete dirlo, ditelo con la fiction.
La visione delle donne
Radicalità (e pericolo, per l’epoca) ancora più evidenti quando Dante parla delle donne. È clamoroso che Dante metta nel Paradiso (nel nono canto) una figura come Cunizza Da Romano, avventuriera, che ha vissuto tutta la vita sotto l’influsso del pianeta Venere. «Cunizza fui chiamata, e qui refulgo/ perché mi vinse il lume d’esta stella (Venere)/ ma lietamente a me medesma indulgo (perdono)/ la cagion di mia sorte, e non mi noia/ che parria forse forte (difficile da credere) al vostro vulgo».
«È uno dei miei personaggi preferiti, voglio ricordare che nello stesso canto c’è anche la locandiera e prostituta biblica Raab. Che sfortuna che Boccaccio non abbia commentato il canto, dandoci i pettegolezzi che amiamo sull’avventura di Cunizza con Sordello da Goito» commenta Barolini.
Ma la posizione dantesca sulla donna, in tutta la sua forza rivoluzionaria, ce l’abbiamo, con Beatrice. «Nella Commedia, e già dai tempi della Vita Nuova – spiega Barolini – Dante non ci permette di non capire che Beatrice sia figura storica. E su questo bisogna meditare: perché l’idea che una giovane figura femminile sia un modo di avere accesso al divino non è comune. Ci sono astrazioni femminili nella tradizione: Madonna filosofia di Boezio, e ci sono figure storiche, come la madre di Sant’Agostino, nelle Confessioni. Ma una donna più anziana non è la stessa cosa di una donna come Beatrice, che conserva sempre le tracce dell’erotismo del primo incontro, e che è nelle poesie liriche di Dante, e nella Vita Nuova».
Nel sonetto in morte del padre di Beatrice, Dante esprime il desiderio di partecipare al lutto secondo modalità femminili, tanto che viene rimproverato dalle donne stesse. E nel suo itinerario poetico dalla gioventù al Paradiso Dante passa dal «Per quella moro c’ha nome Beatrice» della canzone Lo doloroso amor (non per niente esclusa dalla Vita Nuova) al «vivo (eternamente) grazie a lei». Aggiunge Barolini: «Tutta la figura di Beatrice è pervasa, anche nel Paradiso dal fatto che sia una fonte di desiderio erotico».
Non solo. A differenza di quanto succedeva nella poesia “cortese” dei provenzali, i siciliani, e gli stilnovisti, in cui la donna non parla mai (la poesia cortese, dice Barolini, è «completamente narcisistica, indirizzata solo all’interiore dell’amante scrittore. La donna non esiste, se non in funzione dell’uomo da nobilitare»), «la Beatrice della Commedia è “Beatrix Loquax”: non fa che parlare, non fa che predicare. E riconosce i dubbi di Dante secondo il suo "infallibile avviso" (Par 7)». Posizione rivoluzionaria.
L’aspetto della Beatrice storica, incarnata, è già in un certo senso anticipata, nel cattolicesimo, da Maria di Nazareth, che pure non è Loquax. Ma il fatto che la madre di Gesù venga definita, nella liturgia cattolica e ortodossa, “Teotòkos”, “madre di Dio”; il fatto che Dio abbia una madre, ha fatto inorridire il protestantesimo. Risponde Barolini: «C’è uno scandalo nel cristianesimo, ma è come se il cristianesimo non volesse gestire il proprio scandalo. E rispetto alla Commedia, quindi, usiamo l’allegoria, togliamo lo scandalo. Diciamo subito: “id est teologia”, “id est sapientia”, e tutte le espressioni che usiamo quando si parla di Beatrice. Dante invece va verso lo scandalo del cristianesimo, lo incontra, lo abbraccia. Aggiungiamo lo scandalo della resurrezione della carne. Fatto essenziale per il cristianesimo, ma che in qualche modo, nella cultura cristiana, viene virato in direzione del manicheismo: il corpo diventa il male, lo spirito diventa il bene. Ma come si fa a parlare così tanto del corpo come un male quando per il cristianesimo, il corpo viene reintegrato, e non saremo chi dobbiamo essere se non avremo, di nuovo, il nostro corpo?».
In quanto a corporeità e cristianesimo c’entra anche la fisicità dell’estasi di molte sante? «Lei mi sta provocando? Bene. Le dirò che non abbiamo un’esperienza e un lessico per capire l’unità mistica, se non il lessico e l’esperienza della co-penetrazione fisica. Quando Dante ci dà quel verso (proprio nel canto dei versi di Cunizza già citati) “s’io m’intuassi, come tu t’inmii” su quale esperienza si sta basando, se non su un’esperienza erotica? “Intuarsi”, “inmiarsi”. Chi fa una cosa simile? Gli amanti. Chi inventa un tale linguaggio? Dante. È un punto fondamentale. Stiamo parlando di metafisica, e di importanza della carne per la metafisica. Dante, nel XIV del Paradiso, inventa la rima tra “mamme” e “sempiterne fiamme” parlando dell’estasi dei Beati quando contemplano la resurrezione della carne».
Non solo mistico
Si aggiunga anche che il lato mistico di Dante, oltre a mettere in luce i paradossi fondamentali del cristianesimo, ha anche una ricaduta nello stile, nel lessico, cioè nella carne e nel sangue del testo della Commedia. «E così già nelle visioni estatiche del quindicesimo del Purgatorio. Poi, nel Paradiso, Dante comincia a creare un testo che “salta”. Nel descrivere l’estasi del Paradiso comincia a venir meno la “benzina” della mimesi tradizionale. Il linguaggio non sente più l’energia mimetica normale. E in Paradiso XXIII Dante scrive: “e così, figurando il paradiso/convien saltar lo sacrato poema/ come chi trova suo cammin riciso” e troviamo altre invenzioni, formali, fondamentali, come la parola “Cristo” che fa rima con se stessa: “Ben parve messo e famigliar di Cristo/che ‘l primo amor che ‘n lui fu manifesto/fu al primo consiglio che diè Cristo”».
E arriviamo al venir meno di Dante. Nell’inferno sviene dopo aver sentito la storia di Paolo e Francesca, nel turbine dei lussuriosi. E piange al cospetto di maghi e indovini, che, nel ventesimo canto, sono costretti a camminare con la testa girata all’indietro per aver voluto guardare troppo avanti. ll loro pianto scola sulla schiena e bagna loro le natiche. Il personaggio-poeta Dante era più un lussurioso o un indovino? «Era ambedue [l’intervistata ride]. Siamo tradizionalmente consapevoli del fatto che Dante fosse un lussurioso (anche se Dante nella Commedia evita questa etichetta per enfatizzare invece la propria superbia), e che avesse sperimentato personalmente, in vita, la condizione di chi la “ragion sommette al talento”, cioè di chi sottomette la ragione al desiderio. Nel mio commento al canto XX dell’Inferno sul sito della Columbia University ho inserito un brano di Benvenuto da Imola, in cui si dice che che Dante viene meno davanti agli indovini perché amava l’astrologia (cosa che gli rimprovera implicitamente Cecco D’Ascoli, quando lo accusa di determinismo). A guardarla nell’insieme tutta la Commedia è una profezia. Ma bisogna notare che nel XX dell’Inferno, in particolare, Dante fa solo esempi di indovini presi dal repertorio della classicità. Vale a dire: usa il mondo classico per evitare lo scabroso problema».
Rimane un aspetto fondamentale del rivoluzionario Dante. Oltre le metafore, nella straordinaria vitalità linguistica di Dante ci sono anche molte espressioni crude. Dante, tra l’altro, è un inesauribile scrittore di invettive. Come si concilia questo suo aspetto con l’attenzione all’inclusività del linguaggio e a tutto quello che va sommariamente sotto il nome di cancel culture, tema molto dibattuto negli Usa, e che qui da noi viene vissuto più che altro di riflesso? «Le invettive di Dante sono spesso politiche, espressioni di amarezza per le condizioni dell’Italia. Per il resto, non è il mio compito giudicare qualcuno vissuto settecento anni fa dalla prospettiva di come vediamo le cose oggi. Da studiosa è mio compito non usare una lente anacronistica quando leggo la Commedia. Il mio compito, piuttosto, è tentare di entrare in un mondo così lontano» risponde Barolini. Lontano, ma con parecchie cose rivoluzionarie da dire proprio sui temi che stanno a cuore a chi si occupa di certi argomenti. Basta leggere.
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