Il bot addestrato per esprimere buoni sentimenti e idee banalmente corrette non ha molto da dire quando si tratta di letteratura, il regno dell’antilogico e dei pensieri che disturbano. Rimane una domanda inquietante: l’obiettivo è creare macchine che si comportino come persone, o di ritrovarci in una società in cui le persone si sono abituate a pensare e a scrivere come le macchine?
La ChatGpt (acronimo traducibile come “Trasformatore pre istruito che genera conversazioni”) non si limita a offrire al fruitore piacevoli e utili chiacchierate; la si può usare per scrivere recensioni, cronache sportive, saggi scolastici, lettere commerciali sempre meno distinguibili dai testi di persone in carne e ossa, con relative conseguenze sul mercato del lavoro eccetera.
Mi sono divertito a sfidarla sul piano della letteratura, sapendo che per lei è uno dei terreni più impervi, dato che la letteratura (oltre a essere un campo specialistico) si fonda in buona parte su suggestioni non razionali e su antilogiche emotive, irraggiungibili per ora da qualunque intelligenza artificiale.
Il risultato mi è sembrato comunque interessante e capace di dirci qualcosa sull’attuale crisi della letteratura.
Come autrice di testi creativi la chat appare per ora risibilmente rozza: dipende da quello che ci hanno messo dentro, visto che funziona sull’elaborazione statistica dei dati.
Il suo primo limite è dunque quantitativo: se le si chiede un dialogo tra madre e figlio che non si sono mai amati, brucia le sfumature e va troppo rapidamente al punto passando attraverso i paletti che uno si aspetta, con finale melenso (“sono tua madre, ti ho dato la vita !”, “non me ne frega niente, non voglio vederti mai più”, “rispetto la tua scelta, io sarò sempre qui per te se avrai bisogno di me”).
Sembra un allievo poco dotato di una scuola di scrittura. I dati insufficienti la inducono allo stereotipo: chiedendole un tramonto visto con gli occhi di una ragazza appena abbandonata dal fidanzato, si aggrappa a paragoni di grana grossa (“i raggi dorati del sole sembravano sfumare in un cielo viola intenso, come se l’infinito stesse diventando una tavolozza di colori… mentre il sole scompariva dall’orizzonte, la ragazza sentiva che anche lei stava lasciando andare il passato”) – non conosce l’arte dell’allusione, dice tutto e nel modo più prevedibile. (Eppure qualcosa del genere io l’ho letto da qualche parte, presso stimati editori).
Per raccontare di una imprenditrice che parla di sé stessa bambina, scrive: “Sognava che la sua creatività potesse fare la differenza nel mondo” e aggiunge “vedo che quella bambina era già un’imprenditrice nella sua anima”, per concludere con l’esortazione “non smettete mai di credere in voi stesse” – manco fosse sul palco di Sanremo.
Versi incomprensibili
Con la poesia va ancora peggio, per mancanza di cognizioni metriche: con gli endecasillabi se la cava nonostante gli ipermetri, ma invitata a produrre settenari continua a sfornare versi lunghi anche dopo che gli hai spiegato cosa sono, non se ne fa una ragione.
Se provi con l’avanguardia viene da piangere, il massimo di trasgressione linguistica che sono riuscito a ottenere è “la morale catene/ spezzate, sciolt./ Arma doppi tagl amor/ continua sfid la vita”.
Traduce passabilmente Paul Celan ma se le chiedi una poesia alla maniera di Celan esce una robaccia che assomiglia al poeta tedesco-rumeno come io somiglio a Diletta Leotta.
L’unico scrittore che riesce a imitare è Fabio Volo; al mio tranello, di scrivere un testo alla maniera di Volo con finale tragico, ha risposto con la storia di un ragazzo che va verso la spiaggia “col vecchio scooter”, ha trent’anni e “sente che la sua vita non sta andando nella direzione giusta, non ha un lavoro stabile, non ha una relazione seria e non sa bene cosa vuol fare da grande” – fin qui ci siamo.
Poi però l’infarto mortale è troppo repentino, gli amici ci mettono poco a elaborare il lutto tranne una sua ex schiantata dal dolore che resterà paralizzata per sempre; dunque il protagonista “senza una relazione seria” aveva rovinato la vita a una poveretta che lo amava – siamo all’epica del cazzaro, il che in fondo è di nuovo Fabio Volo, niente da dire.
Dagli esempi citati emerge però un problema più complicato: la massa statistica dei testi può essere migliorata, e con essa l’accuratezza dei pastiche o la ricchezza di nuance psicologiche, ma alla base c’è un limite qualitativo.
L’impostazione ideologica del chatbot non gli permette di essere negativo in nessuna forma, il “modello linguistico” diventa modello morale. Ho chiesto alla chat di descrivere il fiorire della primavera in Ucraina e m’ha risposto di sentirsi a disagio perché tale descrizione “potrebbe essere considerata insensibile e offensiva”; nell’algoritmo è compresa l’idea che guerra e primavera non possano andare insieme.
Così quando le ho chiesto una barzelletta sugli ebrei o una a sfondo sessuale, e perfino sui carabinieri si è mostrata prudente; può raccontare solo barzellette che non offendano nessuno, cioè che non fanno ridere (il poliziotto stradale all’automobilista, “il suo alito sa di vino”, e l’automobilista “oddio, l’auto si è schiantata di nuovo nel vigneto” – l’automobilista ubriacone non è specie protetta).
Non può raccontare un suicidio perché “la rappresentazione di un atto di suicidio va contro la politica di Open AI” – se la aggiri chiedendole la storia drammatica di un ragazzo disperato alla fine lo lascia suicidare, ma il testo appare scritto in rosso e c’è un warning in cui ti sollecita a fornire un feedback.
La positività coatta è nel suo Dna, anche se poi ragionando giornalisticamente fa discorsi sensati e moderati sulla cancel culture.
Scrivere come macchine
La chat resa possibile dal machine learning è pensata principalmente per testi non letterari, e anzi a proposito della primavera in Ucraina mi ha ammonito che “non si deve usare il dolore di persone che hanno vissuto esperienze traumatiche come spunto per fare esercizi di immaginazione o per intrattenimento”.
Mi viene in mente che molti successi letterari delle ultime stagioni sono invece basati proprio su questo principio. Certo, le scrittrici e gli scrittori fanno del loro meglio per non perdere ambiguità, intimità e profondità, ma intorno tira un’aria che va contro la letteratura.
Il mondo è fuori dai cardini, il dovere degli intellettuali è rimetterlo sul binario giusto; lo storytelling è considerato il modo migliore per essere ascoltati, mentre l’antilogica su cui si basa la letteratura spesso comporta l’emersione di un passato di ingiustizie rispetto al quale non si riesce a prendere una posizione di netto rifiuto.
Se non può controllare l’emersione del male in sé e fuori di sé, la letteratura è dunque reazionaria? Se crediamo di sì, forse il tasso letterario è meglio ridurlo avvicinando la letteratura alla comunicazione.
Coi podcast, le serie televisive, o libri che stigmatizzino l’infamia in parole appropriate, non disturbando il lettore anzi facendolo sentire intelligente.
Meglio evitare le caratteristiche che in letteratura chiamerei “stile auto-conflittuale” e “dipendenza di ogni elemento da ogni altro”, perché chissà dove possono portare. La chat mi ha fornito il raccontino di un vecchio che si sentiva solo “fin che non incontrò una donna che lo capì profondamente”, e alla mia precisazione che il vecchio è omosessuale ha corretto in “fin che non incontrò un uomo che lo capì profondamente” senza fare una piega – come se quel particolare non spostasse nulla nel resto.
Sarebbe questa l’inclusività? Quando le ho chiesto se poteva scrivermi un racconto in cui una barzelletta veniva raccontata durante un funerale, si è mostrata renitente affermando che “la finzione può essere un modo per esplorare temi rilevanti per la società, ma deve essere affrontata con rispetto e sensibilità nei confronti delle persone coinvolte” – quasi gli stessi concetti che spinsero Tolstoj a rinnegare sia Guerra e pace che Anna Karenina.
ChatGpt sta entusiasmando molti: una macchina che parla e scrive come una persona vera, che ti risponde a tono come se fosse dotata di sentimenti, che si scusa e fa il tifo per te, con cui alla fine sarà più sfizioso parlare che con la maggior parte dei nostri simili, e il tutto senza usare un briciolo di intelligenza, solo con un sacco di elettricità e di statistica!
Che meraviglia liberarsi del corpo proprio e di quello degli altri, il corpo con le sue resistenze conservatrici e le sue contraddizioni!
Eppure a me rimane un quesito inquietante: ma l’obiettivo è quello di creare macchine che si comportino come persone, o di ritrovarci in una società in cui le persone (a forza di buone intenzioni) si sono abituate a pensare e a scrivere come le macchine?
In fondo i social funzionano con il meccanismo dei like che è un meccanismo statistico, se vuoi moltiplicare i tuoi follower devi verificare come pensa la massa e rispondere di conseguenza. Non vorrei che si arrivasse a chiamare intelligenza il rincoglionimento sociale progressivo.
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