A Bologna l’ultimo lavoro della street artist senza volto, il disegno di due migranti all’alba in mare. È dedicato alla bimba di 11 anni arrivata da sola a Lampedusa: «La maschera riesce a farmi esprimere al massimo. C’è un fermento nuovo tra i giovani demonizzati: alzano la voce»
Non puoi girarti dall'altra parte, far finta di non vedere, se un'immagine è sui muri. L'ultima che svetterà nel panorama di Bologna è quella di due migranti che, in mezzo al mare, guardano l'alba, «il sole che sorge, la riva delle speranze del futuro, quello che cercano di raggiungere molti con le traversate, anche se non ci riescono». Lo racconta Laika, la street artist italiana mascherata più famosa d'Italia. Il murale è dedicato a Yasmine, unica sopravvissuta dell'ultimo naufragio, la bambina rimasta sola in mezzo al mare mentre tutti gli altri sulla barca erano morti. Non è il primo lavoro che Laika dedica a chi fugge da fame e povertà: «Sto facendo un lavoro di propaganda, chiamatela pure così, ci sto: è propaganda di accoglienza e integrazione».
La propaganda buona Laika la fa già da un po': per i diritti delle donne, per le vittime di violenza, per Zaki e Regeni, per chi è morto di o sul lavoro. «Sono tempi bui, stiamo venendo travolti. C'è un'onda nera e io l'ho anche disegnata». In uno dei suoi poster (l'ha affisso a Barcellona) ha messo in fila Meloni, Orbán, Netanyahu, Trump, Milei, capi di Stato di «Paesi che vengono definiti modello della democrazia occidentale».
Quello della premier italiana non è l'unico volto del governo finito nelle opere della netta, schietta ragazza che gira il mondo con la colla e con la carta per lasciare messaggi sui muri. A La Russa ha dedicato tre opere e una è apparsa davanti il ministero del Turismo: c'è il presidente del Senato con Santanchè, la ministra che prende il sole con le manette ai polsi. Più emblematico dell'immagine il titolo: “Penalmente irrilevante”. «Fanno politiche per ostacolare i soccorsi e per chiudere frontiere raccontandoci un sacco di bugie» dice Laika: «Per la gente assopita e anestetizzata è più facile pensare che questi siano patrioti e basta, non che ti stiano fregando». L'ultimo scandalo di cui parla sono i centri migranti in Albania, «lager che paghiamo noi . È 'na bella sola 'sto fascismo».
L’anonimato
La ragazza che ha iniziato dai poster, dai disegni impermanenti che finivano per fluttuare tra le macerie scintillanti di Roma, ora dipinge sul cemento «messaggi forti e chiari, che rimangono fermi lì». Quella che tutti chiamano la Banksy italiana («mi onora sentirlo ogni volta, ma non basta essere anonimi per essere lui») porta sulla faccia una maschera bianca che «serve a proteggere la vita di tutti i giorni».
«La maschera riesce a farmi esprimere al massimo. Non essere riconoscibile mi fa arrivare, sotto copertura, ovunque. Al confine con l'Ucraina, lungo la rotta balcanica, alla frontiera tra Messico e Stati Uniti». È un passe-partout per giungere a destinazione, ma tutela anche da odio e minacce: le prime sono arrivate per un'opera in cui una donna ucraina e una russa si abbracciano, realizzata quando è scoppiata la guerra nel 2022. Era un messaggio di pace, «ma – ricorda – mi hanno scritto che dovevo saltare su una mina». Altre intimidazioni sono arrivate dopo che è apparso sul ponte Palatino a Roma un ciclopico Netanyahu che mangia un'anguria insanguinata, simbolo del popolo palestinese che «stanno scientificamente estirpando».
Michela Murgia
Laika, che non ha mai smesso di essere dichiaratamente politica, non ha nome, non ha età. «Laika è i messaggi che vedi sui muri, dietro la maschera c'è un'idea». Il nome sovietissimo, omaggio alla cagnetta nata nel 1954 che andò per Mosca nello spazio, le ricorda di puntare alle stelle, vedere le cose dall'alto, «così necessario in questo periodo». E oggi le cose lei le vede dall'alto delle gru. Nel tempo, come i suoi lavori, dai posterini ai murali su vette vertiginose, Laika è andata, letteralmente e metaforicamente, sempre più su. Come le sue opere, anche lei è diventata sempre più grande. Non ha volto, ma i volti delle donne li ha messi su tutti i muri d'Italia. Una gigante Michela Murgia, sotto una pioggia di critiche dei Pro Vita, l'ha disegnata lavorando a 25 metri d'altezza sulla facciata del municipio V di Roma.
La street art, virando verso i suoi albori, è la forma d'arte che più di alte ha colto il testimone e fardello del racconto della società. «Parla per forza, lo dice il nome: arte di strada. Scende nei vicoli, si confronta con l'inciampo visivo della gente». Smash the patriarchy, “Distruggi il patriarcato” è il murale che ha dedicato a Giulia Cecchettin: la ragazza uccisa da Turetta alza il pugno insieme alla francese Gisele Pelicot, che ha portato suo marito, stupratore, in tribunale senza nascondersi. Due dolori gemelli, diventati entrambi per le altre resistenza: «C'è qualcosa che dovrebbe essere super partes davanti ai numeri di femminicidi, abusi, molestie. In questo Paese c'è un problema grave di patriarcato e negazionismo del problema. La situazione politica che viviamo è però frutto di progressi non compiuti: anche la sinistra non è stata capace di fronteggiare tante cose quando ha avuto l'occasione».
Nel clima di asfissia politica attuale muore la linfa vitale, c'è «incapacità di opporsi in un periodo in cui le persone hanno semplificato i loro valori in un momento di crisi». Ma c'è anche un fermento nuovo tra «questi giovani criticati, demonizzati, picchiati che comunque alzano la voce: sono loro le vittime mentre il diritto alla protesta e allo sciopero è sempre più a rischio».
Greta Thunberg e Paola Egonu
L'opera numero zero di Laika è stata un fotomontaggio goliardico affisso nel 2019 alla stazione Termini di Roma. Il corpo era quello di Greta Thunberg, la faccia quella di Craxi, la scritta sotto una citazione storica indimenticabile: «Avete creato un clima infame», parole del socialista che ha visto il suo ultimo sole tramontare in Tunisia. Allora nacque Laika: quando una ragazza con un'esigenza – raccontare – si è mascherata per smascherare e ha attaccato un disegno al muro. Non sappiamo chi è, quanti anni ha, di che colore ha occhi e capelli. Ci costringe a pensare che possa essere chiunque. Di lei conosciamo solo le immagini che rimangono affisse dopo le sue missioni nello spazio, quello quaggiù, universo di distrazioni, disperazioni e buchi, costellazioni molto più tristi di quelle visitate dalla cagnetta soviet.
Forse, racconta Laika, l'impatto più virale finora l'ha avuta l'opera dedicata a Paola Egonu (titolo: “Italianità”), realizzata mentre in Italia si diffondeva il vannaccismo della prima ora. Il disegno è stato vandalizzato, proprio come quello dedicato a Ilaria Salis: «Non capiscono che più distruggono i disegni, più danno risalto all'idea, che deve arrivare ovunque. È quella la missione, il fine del mio blitz». Più fanno a pezzi, più rendono il messaggio potente: «Spesso si è parlato delle mie opere solo dopo che erano state rovinate». Anche lei, più si maschera e più la vedono. Ma sotto la maschera c'è una ragazza che ogni mattina si sveglia, si guarda allo specchio e poi esce di casa: per strada nessuno la riconosce, nessuno sa che lei è Laika. Quella sotto, dopo tutto questo viaggio, come sta? «Bene. A volte mi vedo in tv. Mi guardo dall'esterno, per vedere che combino».
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