Negli ultimi cinque anni i social media hanno portato a una concentrazione dell’opinione pubblica intorno alla presenza culturale delle donne. Ma potrebbe passare
- Festival, podcast, libri, programmi: il mondo della cultura si è accordo della sua componente femminile, ma sembra un atteggiamento superficiale. Qualche anno fa erano di moda i vampiri, ora le donne.
- Ma come tutte le mode editoriali forse anche questa potrebbe passare e quindi l’auspicio è quello di interrogarci su quello che stiamo facendo, su quello che scriviamo e gli altri e le altre scrivono, sul ruolo attivo che possiamo avere rispetto al femminismo di moda, sul ruolo propositivo.
- Bisogna incanalare la moda e non farsi trascinare e basta, insomma, evitare che la brandizzazione trasformi il movimento verso il basso appiattendone i significati e le lotte e gli sguardi
Ce ne siamo di certo accorti, come lettori e lettrici, come addetti ai lavori: l’editoria sembra cavalcare l’onda del femminismo di consumo, quel femminismo che è meno pensiero e pratica politica e più vendita di contenuti e di pubblicità.
È evidente che almeno negli ultimi cinque anni i social media hanno portato a una concentrazione dell’opinione pubblica intorno alla presenza culturale delle donne, al loro ruolo nella filiera del libro, al loro riconoscimento ai premi e durante i festival. Molte le ricerche per contare le donne, tante ancora di più le iniziativa culturali che riguardano la storia delle donne, la loro autorialità, i percorsi di riscoperta per tirarle fuori da molti anni di assenza e malcontento.
Non è più così semplice passare inosservati se a una convention o a un festival si invitano solo due donne su quindici relatori, né se per commentare la scrittura di una autrice si fa riferimento al suo peso o al suo modo di vestire.
L’attenzione è alta, la guardia non si abbassa sui social e nei dibattiti pubblici: sembra implausibile ormai tornare indietro o ignorare il problema.
Le donne sono rimaste fino a qualche tempo fa in evidente minoranza nel sistema culturale, ma il movimento politico mondiale che si sta interrogando su abusi, manipolazioni, rappresentanze parlamentari vede riflessa la sua luce fino alle scelte che si stanno operando editorialmente.
Eroine, Poetiche, Inquiete, Eccentriche, Morgane: sono nati festival, podcast, libri, collettivi dedicati alla valorizzazione delle donne, soprattutto del passato, da quelle raccontate da una prospettiva maschile nella mitologia a quelle misconosciute nella Storia, alle scrittrici nel nostro Novecento sempre un passo indietro rispetto alla canonizzazione e alla presenza in libreria e nei programmi scolastici.
C’è una evidente volontà comune di recupero, di studio, di presa di coscienza e di passaggio del testimone, per rendere anche i bambini e le bambine coinvolti in questo tentativo di riscrittura del nostro passato.
Non è lontano infatti il caso delle Storie della buonanotte per bambine ribelli che ha avuto successo in tutto il mondo intercettando proprio questa linea, questo desiderio di parlare di alcune figure di donne non soltanto della letteratura ma di ogni campo, che purtroppo tra i banchi di scuola non sarebbe possibile conoscere.
Di moda come i vampiri
Il successo però porta con sé, sempre, i tentativi di imitazione, il trend, la moda e così abbiamo visto proliferare progetti simili, affini, in dialogo con quelli che pioneristicamente hanno affrontato prima questo vuoto di rappresentazione e ne hanno beneficiato. Certo volte io devo fermarmi un attimo e pormi domande scomode, sul mio stesso lavoro: stiamo trattando le donne del passato come i vampiri degli anni duemila? Quando all’improvviso interessava a tutti di canini acuminati, immaginari sanguinari, fragilità, dominio e convivenza con la morte?
C’è del male nelle mode editoriali? Io credo di no da una parte perché possono fare anche da amplificatore culturale rispetto ad alcune ricerche che altrimenti rimarrebbero legate a poche nicchie. Il movimento per il recupero delle scrittrici, per fare un esempio, non è di certo nato in questi anni, ma esiste da tempo, piuttosto in questi anni sta vedendo più attenzione, più interesse, più possibilità di pubblico.
Ma come tutte le mode editoriali forse anche questa potrebbe passare e quindi l’auspicio è quello di interrogarci su quello che stiamo facendo, su quello che scriviamo e gli altri e le altre scrivono, sul ruolo attivo che possiamo avere rispetto al femminismo di moda, sul ruolo propositivo.
Incanalare la moda e non farsi trascinare e basta, insomma, evitare che la brandizzazione trasformi il movimento verso il basso appiattendone i significati e le lotte e gli sguardi. Un buon equilibrio quindi potrebbe salvarci dall’essere consumati dal cerino della moda del momento e provare a fare in modo che il dibattito non si arresti, non cessi la critica, non si semplifichino troppo i discorsi.
Per fare in modo che non si tratti di una fiammata editoriale ma che si traduca in una costante, un modus operandi insito nel nuovo modo di fare cultura e libri, una maniera che deve valorizzare il lavoro delle donne passate e presenti, e non solo in quanto donne, ma anche perché donne e perché necessarie a un impianto culturale variegato, polimorfo e quindi significante.
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