- Lo scrittore Alberto Arbasino, non proprio un habitué dei complimenti, definì il libro di Christopher Isherwood Addio a Berlino un romanzo «splendido» perché in grado di «catturare uno stato d’animo e un’atmosfera irripetibili: i poeti inglesi del Trenta, in gaia trappola fra Marx e Freud, e gli allegri giovanotti nella Berlino delirante fra Hitler e Brecht».
- Isherwood, nato all’alba del Novecento in Inghilterra in una famiglia di proprietari terrieri, studente a Oxford, amante e amico del grandioso poeta Wystan Hugh Auden (con cui scriverà un mirabile reportage dalla Cina in guerra con il Giappone, Viaggio in una guerra), prima di trasferirsi definitivamente in California, dove morirà nel 1986, nel 1929 andò a vivere in Germania.
- In Un uomo solo il protagonista, nel film un efficace Colin Firth vincitore della Coppa Volpi a Venezia, è scolpito tra le pieghe del dolore e impressiona la devozione totale dello scrittore nella costruzione del suo personaggio.
Lo scrittore Alberto Arbasino, non proprio un habitué dei complimenti, definì il libro di Christopher Isherwood Addio a Berlino un romanzo «splendido» perché in grado di «catturare uno stato d’animo e un’atmosfera irripetibili: i poeti inglesi del Trenta, in gaia trappola fra Marx e Freud, e gli allegri giovanotti nella Berlino delirante fra Hitler e Brecht».
In effetti quelle vicende che restituivano il clima della Germania entre deux guerres sono straordinarie proprio per la loro capacità di raccontare il mondo che Isherwood conobbe grazie alla sua fuga dall’Inghilterra puritana verso gli eccessi, culturali e di divertimento, della progressista Germania della Repubblica di Weimar, piccola ma eccezionale parentesi prima dell’avvento della Germania nazista (e descritta anche, tra gli altri, dal Simenon di Europa 33, altro grande scrittore capace di impadronirsi e restituire l'immaterialità di un clima politico e culturale).
Isherwood, nato all’alba del Novecento in Inghilterra in una famiglia di proprietari terrieri, studente a Oxford, amante e amico del grandioso poeta Wystan Hugh Auden (con cui scriverà un mirabile reportage dalla Cina in guerra con il Giappone, Viaggio in una guerra), prima di trasferirsi definitivamente in California, dove morirà nel 1986, nel 1929 andò a vivere in Germania attratto dal suo clima libertario: lì lavorò a due dei suoi libri più importanti, Mr Norris se ne va e, appunto, Addio a Berlino, una sorta di dittico che ha consegnato alla storia personaggi memorabili come l'ereditiera di famiglia ebraica Natalia Landauer o la straordinaria Sally Bowles, donna libera, sincera e indomabile, due delle tante anime perse e decadenti che dovevano comporre, nell’iniziale idea dell’autore, lo «smisurato romanzo a episodi sulla Berlino prehitleriana».
Il personaggio di Sally Bowles diventerà poi iconico grazie a Liza Minelli che nel film tratto da Addio a Berlino, il celebre The cabaret di Bob Fosse, premio Oscar nel 1973, restituirà plasticamente la natura di questa giovane e vulcanica ragazza, indimenticabile cantante di Money makes the world go round e di Life is a Cabaret, old chum, come to the Cabaret: Sally è il simbolo del teatro del cabaret “Kit Kat”, luogo nevralgico di incontro di intellettuali e artisti, anche expat come lo scrittore Isherwood che nonostante l'autoassoluzione iniziale («benché abbia dato il mio nome all'io narrante, i lettori non devono immaginare che queste pagine siano puramente autobiografica»), annaffia di ciò che ha visto e vissuto le storie berlinesi di questi due volumi.
Un uomo solo
Anche il suo libro più famoso e acclamato, Un uomo solo, irresistibile ed esplosivo de profundis che ripercorre la giornata di un professore inglese omosessuale rimasto solo dopo la morte del compagno, sarà il soggetto di un film, A single man, convincente esordio alla regia di Tom Ford nel 2009.
In Un uomo solo il protagonista, nel film un efficace Colin Firth vincitore della Coppa Volpi a Venezia, è scolpito tra le pieghe del dolore e impressiona la devozione totale dello scrittore nella costruzione del suo personaggio: la stessa certosina attenzione si rintraccia anche nel romanzo Il mondo di sera, dove una narrazione più ampia permette allo scrittore di costruire una vicenda che si muove con dimestichezza tra tempi e luoghi diversi e che si interroga, in fondo, su cosa siano le relazioni e su come l’amore possa plasmare le esistenze anche in assenza della persona amata.
In Il mondo di sera infatti, appena pubblicato da Adelphi con la traduzione di Laura Noulian, si incontrano storie d’amore e tradimenti, la Costa Azzurra e Hollywood, i drammi della Seconda guerra mondiale e l’Europa degli anni Quaranta, eventi centrifughi tenuti insieme dallo sguardo e dalle esperienze del protagonista Stephen Monk, anche lui immerso come il suo autore nella cultura inglese ed europea.
Il romanzo si apre con una fastosa e triste festa hollywoodiana dove un annoiato Stephen scopre che la seconda moglie Jane lo tradisce: non particolarmente sorpreso, desideroso di allontanarsi senza però capirne realmente il motivo, Stephen torna in campagna a Tawelfan, in Pennsylvania, dalla zia Sarah, che lo ha cresciuto, per fare una vita “noiosamente sana”, così diversa, ma forse più vera, da quella della California.
Qui, dopo aver conosciuto una scoppiettante amica della zia esule dall'Europa nazista, Stephen finisce, non capendo neanche lui quanto intenzionalmente, investito da un camion: ingessato da capo a piedi, chiuso in camera, come in un Notturno dannunziano d'oltreoceano, Stephen comincia a ripercorrere molti avvenimenti della sua vita e a osservare le cose da un'angolazione diversa, capace di offrire uno sguardo nuovo sulle cose.
Ad allietare i giorni di riposo forzato ci sono le lettere della prima moglie, l'amata Elizabeth Rydal, scrittrice celebre per un romanzo intitolato Il mondo di sera, che nel suo dettato poetico e leggero permette a Stephen di riflettere sul valore delle relazioni e sulla stranezza dell'amore, a mettere da parte il passato e provare a immaginare una nuova vita.
Tutto questo accade mentre intorno esplodono i vagiti della Seconda guerra mondiale e anche gli Stati Uniti cominciano a scivolare nel baratro: Stephen diventa allora un prisma luccicante, specchio del divario ineludibile che esiste tra il microcosmo personale e ciò che accade nella Storia.
Senza pensare
«Io sono una macchina fotografica con l’obiettivo aperto, completamente passiva, che registra e non pensa» scrive Isherwood in Addio a Berlino e c’è da credere che questa confessione velatamente autobiografica nasconda probabilmente una delle direttrici più importanti dell'opera dello scrittore inglese, sempre capace, come un artigiano avviluppato tra le pieghe della “commedia umana”, di inseguire le ombre e i fantasmi che affollano la natura umana.
D’altronde, come ha scritto Manganelli a margine di uno dei libri più belli di Isherwood, La violetta del Prater, ancora luogo di commistione tra realtà e arte, tra letteratura e cinema, esiste «qualcosa che sia più forte, più significativo, più orribile ma più veritiero delle ombre?».
Anche leggendo Il mondo di sera, la risposta si concretizza facilmente e si prende coscienza di come narrare una storia possa spalancare i segreti che queste ombre custodiscono nella loro seducente consistenza.
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