- Il revival attuale della scrittrice coincide curiosamente con tempi (in Italia) che sicuramente non amano le sue posizioni politiche.
- Era così contenta la scrittrice di quello che stava succedendo nelle strade di Parigi nel maggio del 1968.
- Il suo revival coincide curiosamente con tempi che sicuramente non amano le sue posizioni politiche.
«Le parole non contano/ noi preferiamo le cose». Sono due versi di Alba De Céspedes dalla raccolta di poesie, Le ragazze di maggio, riproposte ora negli Oscar Mondadori (208 pagine, 12 euro). Era così esaltata, Alba, di quanto stava accadendo nelle strade di Parigi in quel maggio del 1968, che non le importava se le protagoniste delle rivolte e di quei versi mettevano in discussione le sue amate “parole” in nome delle “cose”. Ci sono momenti in cui le parole tacciono e in primo piano vengono i fatti. «Non facevo altro che seguire ciò che accadeva intorno a me» racconta in una nota al libro. «Mi recavo alla Sorbona, all’Odéon, assistevo ai dibattiti, alle riunioni, e lì come nelle strade devastate, disselciate, ingombre di automobili carbonizzate e puzzolenti di gas, incontravo i giovani rivoluzionari, li interrogavo, li spingevo a parlare». Ma lei resta comunque una scrittrice e, tornata a casa, sente il bisogno di creare qualcosa su quei fatti straordinari.
Con le parole. Lei ama le rivoluzioni e le donne. Per questo nelle sue poesie dà la parola alle ragazze. Anche lei è stata una rivoluzionaria. Una decina di anni prima, per Cuba, non aveva avuto esitazione a schierarsi con Fidel Castro e Che Guevara, quegli eroi di cui adesso i giovani francesi sventolavano le immagini.
Non ha battuto ciglio quando tutti i beni ereditati dalla famiglia (cubana) sono stati confiscati e distribuiti fra il popolo. Ha accettato con allegria di diventare povera, perché quel che conta è che tutti i bambini possano andare a scuola e che la gente abbia un tetto sopra la testa.
Marco Vichi
Il revival attuale di De Céspedes coincide curiosamente con tempi (in Italia) che sicuramente non amano le sue posizioni politiche. Eppure è tutto un fiorire di attenzione verso di lei e di ristampe dei suoi libri. È appena arrivato il libreria Dalla parte di Alba, un’approfondita biografia-romanzo di Michela Monferrini (Ponte alle Grazie, 253 pagine, 16,80 euro) e nell’ultimo anno sono ricomparsi in tascabile Mondadori - che nel 2011 aveva meritoriamente pubblicato un volume dei Meridiani a lei dedicato, curato da Marina Zancan - Nessuno torna indietro, Dalla parte di lei (introdotto da Melania Mazzucco), Quaderno proibito (introduzione di Nadia Terranova) e L’anima degli altri (con prefazione di Loredana Lipperini).
E sottolineo che si tratta di nomi tutti femminili, perché le donne hanno imparato a sostenere con convinzione queste grandi madri della letteratura, troppo facilmente destinate a cadere nel dimenticatoio. Ma almeno uno scrittore appassionato di De Céspedes c’è. Si tratta di Marco Vichi che ha contagiato il suo commissario Bordelli con questa passione trasformandolo in un lettore di Alba. Vichi di romanzo in romanzo trova il modo di citarla e parlarne (anche nel prossimo, Nulla si distrugge, che uscirà da Giunti il 20 giugno).
E anzi, sempre a fine giugno una delle quattro serate di incontri, organizzati da Vichi, Lungomare da leggere a Marina di Massa, sarà dedicata ad Alba De Céspedes. Sono cose che fanno piacere: purtroppo è rarissimo che gli scrittori tributino un simile riconoscimento ad autrici che non siano già accettate nell’Olimpo, come Woolf, come Morante, forse come Flannery O’Connor.
Il libro di Michela Monferrini può essere un ottimo ingresso per imparare a conoscerla. Perché De Céspedes, oltre che una grande narratrice e una pasionaria, ha avuto una vita in qualche modo esemplare di un’identità femminile fuori dagli schemi, esuberante, coraggiosa. È una donna che con tenacia e determinazione fa della scrittura il senso centrale della propria esistenza senza rinunciare a impegnarsi quando i tempi lo esigono.
Dopo una rocambolesca fuga da Roma alla caduta di Mussolini l’8 settembre del ’43 e l’arrivo dei tedeschi nella capitale, fu la voce femminile di Radio Bari, col nome di Clorinda, nella trasmissione L’Italia combatte che cercava quotidianamente di coordinare le azioni partigiane, denunciare le spie, diramare i comunicati degli Alleati che stavano avanzando dal sud. E nel dopoguerra la vediamo dirigere il mensile di politica, arte e scienza, Mercurio, al quale collaborarono i nomi più importanti della letteratura italiana, e non solo. Sempre dalla parte delle donne.
Tanto che ha un attimo di perplessità quando la sua amica Natalia Ginzburg le propone un suo Discorso sulle donne in cui denuncia la tendenza tutta femminile di farsi completamente travolgere dai sentimenti: «Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne…»
Anche Alba ne sapeva qualcosa di quel pozzo. La sua vita sentimentale non fu esente da sofferenze e scacchi. Ma temeva non fosse giusto esprimere una debolezza tanto evidente. Alla fine decise di pubblicarlo quel pezzo di Natalia, con una chiosa di suo pugno però: una chiosa in cui trasformava in una forza quell’evidente debolezza. Perché, scrisse, «è un difetto degli uomini, non abbandonarsi mai totalmente, mai lasciarsi cadere nel pozzo» e in quelle cadute «noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano».
Altre storie
Per tutta la vita cercò di scuotere il marito (il secondo), Franco Bounous, dalla freddezza del suo carattere, senza successo. Tuttavia gli restò in qualche modo legata fino alla morte, ma senza negarsi altre storie. Nessuna però sembra essere stata ideale, a quanto racconta Monferrini. Nel romanzo forse più bello, certamente più originale, Dalla parte di lei, a un certo punto, verso la fine, risuonano i colpi di una pistola: la protagonista, Alessandra, spara contro il marito addormentato, Francesco, che non ha voluto restare sveglio per ascoltarla.
Torna in mente un altro colpo di pistola che una donna esplode contro il marito all’inizio di un altro romanzo di un’altra scrittrice. È stato così di Natalia Ginzburg, uscito nel ’47 (due anni prima). Anche qui l’uomo tratta la moglie con sufficienza, rimanda le spiegazioni a un “dopo” non meglio definito: la superiore arroganza dei maschi che non reputano importanti le parole femminili, sempre pronti a rimandare: «Dormi, sta’ tranquilla, dormi. Parleremo domani» dice Francesco ad Alessandra.
Vittime, le donne, del loro amare troppo, inchiodate a questi amori fantasticati da cui si aspettano sempre più di quanto il sentire degli uomini - una volta superata la fase della passione - possa offrire. In una lettera al marito la stessa De Céspedes diceva: «Ho voluto che la vita fosse bella e felice per te come avrei voluto che qualcuno la inventasse per me da quando sono nata. E tu non mi hai fatto niente di male, niente di male. Solo le colombe che io inventavo si spaccavano la testa, tutte, contro la pietra di cui sei fatto…»
Ricordo molto precisamente il mio incontro (l’unico) con un’Alba settantaduenne nel 1983, in occasione di un’intervista che le feci per il Messaggero (poi raccolta in Le signore della scrittura, edito da La Tartaruga). Stava scrivendo il suo ultimo libro - mai terminato - autobiografico, Con un grande amore (ce n’è il brogliaccio nei Meridiani). Era una donna molto affascinante, cordiale, affettuosa.
Quella volta in cui ci siamo conosciute, in Piemonte, c’era Bonous con lei: erano in vacanza insieme, nella bella casa di lui. Fino alla preparazione per quell’intervista, avevo letto poco di De Céspedes. La consideravo una scrittrice di quelle che piacevano a mia madre, troppo legata a temi “domestici” e a premi letterari che allora andava di moda contestare. Mia madre mi aveva passato Nessuno torna indietro, e io avevo deciso che la mia generazione non aveva niente a vedere con le ragazze descritte in quel romanzo. L’arroganza della giovinezza. Scoprirla per il nostro incontro era stato invece una bella sorpresa. Trovavo una narratrice complessa e attenta alla forma, alle parole, allo stile insomma, a dispetto di quanto mi ero immaginata.
E adesso bisogna stare in guardia: non farla cadere più giù dai nostri scaffali.
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