Il primo bombardamento di Roma, datato 19 luglio 1943, fa toccare con mano ai romani la tragedia della guerra, un evento che è una conseguenza diretta dallo sbarco degli americani (nome in codice operazione Husky) in Sicilia nove giorni prima.

Nello stesso giorno in cui Mussolini incontra Hitler a Feltre, per cercare di negoziare una via d’uscita dalla guerra che l’Italia stava perdendo, Roma veniva ferita dai bombardieri americani guidati dal generale James “Jimmy” Doolittle. Generale americano famoso non solo per i suoi successi durante la seconda guerra mondiale, ma anche per essere rappresentato in numerosi film hollywoodiani usciti nel dopoguerra sulle sue imprese militari.

In quell’estate del 1943 gli eventi si susseguiranno incalzanti, durante quei mesi afosi si compì una tragica via crucis per il nostro paese: ormai più nessuno credeva nella vittoria dell’Asse, al contrario tutti premevano affinché Mussolini trattasse una resa anticipata.

L’incontro

Tutta l’inadeguatezza del Duce andò in mostra durante l’incontro bellunese con il Führer tedesco. Hitler, come una furia, insultò l’Italia e gli italiani per lo scarso impegno posto nei combattimenti; Mussolini non riuscì praticamente a proferire parola: almeno apertamente, non poté riferire né sugli aiuti militari per la Sicilia né a maggior ragione sull’eventualità di procedere ad una resa. Anche agli occhi dei suoi più stretti collaboratori appariva un uomo sconfitto, senza più carisma né idee.

La riunione ebbe inizio alle 11:00, ma dopo circa mezz’ora di monologo da parte di Hitler, l’incontro si fermò perché la segreteria del Duce gli consegnò un dispaccio dove veniva comunicato che Roma era stata pesantemente colpita.

Bombe su San Lorenzo

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Il bombardamento di Roma del 19 luglio 1943, primo di altri 50 che colpirono la capitale, è anche chiamato bombardamento di San Lorenzo, perché quel quartiere fu l’obiettivo principale e il più colpito dall’incursione americana. La flotta aerea, decollata dalla Tunisia, era composta da 662 bombardieri comunemente appellati “Fortezze volanti” B-17– dirette dal velivolo Lucky Lady – e dai bombardieri B-24 Liberator, affiancati da 268 caccia. Essi presero di mira una serie di obiettivi militari dedicati ai trasporti, lo scalo merci di San Lorenzo e altri scali ferroviari della parte sud-orientale di Roma.

Furono sganciate su sulla capitale 4.000 bombe, per un totale di 1.060 tonnellate, che colpirono i quartieri San Lorenzo (con 717 vittime), Prenestino, Tiburtino e Tuscolano, provocando migliaia di morti e 11mila feriti; 10mila case risultarono distrutte e 40mila cittadini furono sfollati e senza tetto.

La prima ondata andò a segno, dopodiché gli aviatori ebbero l’ordine di colpire solo dove c’erano gli sbuffi di fumo, ma questo modo di fare fu talmente empirico che ben presto le bombe non caddero più sugli presidi militari, ma colpirono i quartieri più popolari di Roma. Un’apocalisse che arrivò inaspettata, perché nessuno o pochi immaginavano che gli alleati potessero bombardare Roma, la città eterna, sede del Vaticano e della cristianità e luogo stracolmo di storia, monumenti e importantissime opere d’arte.

Invece non fu così, Roma fu colpita. Furono centrati il cimitero del Verano, la basilica di San Lorenzo fuori le Mura, la facoltà di Medicina della Sapienza, la Casa dei Bambini di Maria Montessori, l’orfanotrofio di Via dei Sabelli, dove vivevano 500 bambini e dove trovarono la morte in 80, oltre al carcere minore di via dei Reti. In quest’ultimo luogo i custodi scapparono senza aprire lucchetti e serrature, in quaranta perirono sotto le macerie.

Le conseguenze

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Le conseguenze politiche non tardarono ad arrivare. Roosevelt in persona, alla fine dei raid, dichiarò che con lo sbarco in Sicilia e il bombardamento di Roma iniziò (era iniziata) la fine del regime fascista. Fu lo stesso anche per il re; quest’evento fu la goccia che fece traboccare il vaso della pazienza di Vittorio Emanuele III, che di lì a poco mise in atto la manovra che portò all’ordine del giorno di Dino Grandi e alla conseguente fine del fascismo con l’ultimo Gran Consiglio che sfiduciò Mussolini.

La gente voleva solo la pace, chiedeva la fine della guerra e dei patimenti. Questo venne dichiarato esplicitamente, anche se in modo differente, al re e al papa, che accorsero sui luoghi della distruzione. Quest’ultimo, rompendo tutti i protocolli previsti per le sue uscite in Italia, si precipitò nelle zone bombardate, accompagnato solo da due persone, il futuro papa Paolo VI, Giovanni Battista Montini, e il conte Enrico Pietro Galeazzi, per portare sollievo e dare la benedizione alle persone colpite dalle bombe. Il pontefice fu accolto dalla popolazione come l’unica figura che poteva essere considerata un punto di riferimento, una protezione contro tutto ciò che che li poteva colpire.

Trattamento ben diverso fu riservato al re Vittorio Emanuele III: al suo arrivo nei quartieri colpiti, un eloquente silenzio lo accolse, ma ben presto la sua automobile fu fatta oggetto del lancio di alcuni sassi e poi il silenzio si tramutò in insulti tali da convincerlo che era meglio andarsene via. Un coro di donne gli gridò: «Non vogliamo le vostre elemosine, vogliamo la pace, fate la pace». Mussolini non ebbe il coraggio di presentarsi subito, aspettò qualche giorno ad incontrare i feriti e i parenti delle vittime.

La città fu colpita una seconda volta il 13 agosto, circa un mese dopo la prima incursione; il giorno successivo, ma dopo lunghissime trattative, Roma fu dichiarata “Città Aperta”, ovvero demilitarizzata, ma questo status non fu riconosciuto né dai tedeschi che continuarono ad utilizzarla come sede delle loro operazioni militari, né dagli alleati, che  continuarono a bombardarla fino al 4 giungo 1944, quando la capitale fu definitivamente liberata.

Nell’arte 

Il  bombardamento di Roma è citato in svariate opere artistiche. Oltre a numerosi autori di saggi e narrativa e ai vari registi, che riportano nelle loro produzioni questo tragico avvenimento, va ricordata Elsa Morante, che lo  racconta nel suo romanzo La storia

Ma probabilmente l’omaggio artistico più conosciuto è quello che viene fatto dal cantautore De Gregori; l’autore romano nel suo disco Titanic ha composto la canzone San Lorenzo, dedicata a quel tragico evento. Nelle sue struggenti strofe troviamo il passo che segue: «E il papa la domenica mattina da San Pietro, uscì tutto da solo tra la gente, e in mezzo a San Lorenzo, spalancò le ali, sembrava proprio un angelo con gli occhiali».

Quest’immagine poetica è tratta da un’iconica foto che raffigura il papa a braccia aperte in posizione a croce mentre benedice la popolazione romana dopo il bombardamento del 19 luglio. Solo di recente si è scoperto che quest’immagine, che per decenni ha rappresentato il bombardamento, è un falso storico, in quanto essa rappresenta la seconda uscita del papa dopo un bombardamento, quello del 13 agosto presso la basilica di San Giovanni.

Il primo bombardamento di Roma ha quindi un significato importantissimo, esso segnerà definitivamente l’epilogo del fascismo dopo vent’anni di dittatura, un regime che aveva portato l’Italia e gli italiani a convincersi che la guerra fosse «l’unica igiene del mondo», ma che invece portò il nostro paese alla autodistruzione, fisica e morale.

                                        

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