La loro estensione e varietà sono uniche, arrivano fin nell’immaginario di romanzi come Angeli e demoni di Dan Brown. Di attualità negli ultimi decenni per la questione del silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah, dal 5 luglio l’archivio ha un nuovo prefetto, Rocco Ronzani, specialista del cristianesimo antico e medievale. Il suo predecessore Sergio Pagano ha inusualmente raccontato in due libri recenti la storia dei documenti tra ombre e luci
Tre sono i tesori di cultura che la quasi bimillenaria chiesa di Roma può vantare in Vaticano: la biblioteca, l’archivio e i musei. Storia a sé fa la gigantesca basilica di San Pietro, innalzata per volere dell’imperatore Costantino sulla tomba dell’apostolo – interrando una necropoli solo in parte esplorata – ma che viene demolita e riedificata dagli inizi dell’età moderna fino al completamento del «teatro» barocco costituito dal colonnato berniniano.
Proprio negli anni in cui si inizia a ricostruire l’edificio costantiniano è convenzionalmente collocata la nascita dei musei, coincidente con la scoperta – nel gennaio del 1506 sul colle Oppio – della celebre scultura ellenistica raffigurante il sacerdote troiano Laocoonte stritolato con i figli da un enorme serpente. Di oltre un millennio più antiche sono invece le raccolte librarie e documentarie, costituite dai vescovi di Roma con ogni probabilità anche prima del IV secolo, per ovvie e comprensibili esigenze pratiche.
Poche sono però le notizie antecedenti la fine del medioevo e la fondazione ufficiale dei due istituti odierni, che da un secolo rispondono all’alta direzione di un «archivista e bibliotecario di santa romana chiesa» (oggi l’arcivescovo bresciano Angelo Vincenzo Zani).
Nel 1475 Sisto IV costituisce formalmente la biblioteca – tra le più importanti nel mondo per le raccolte di manoscritti – e Paolo V nel 1612 l’archivio: fino al 2019 denominato «segreto» (cioè privato, di proprietà del papa), ora è «apostolico» (sul modello della Biblioteca apostolica vaticana).
I prefetti
Di attualità negli ultimi decenni per la ricorrente questione del silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah, dal 5 luglio l’archivio ha un nuovo prefetto, Rocco Ronzani. Nato a Roma, specialista del cristianesimo antico e medievale, il quarantaseienne agostiniano ha edito e tradotto per la «Biblioteca patristica» un testo teologico: la Lettera sulle due nature, probabilmente un’enciclica, pubblicata nel 493 dal papa africano Gelasio I su un tema di primaria importanza, il «dovere di professare allo stesso modo con tutta verità la divinità e l’umanità» di Cristo.
Ronzani succede a Sergio Pagano. Appartenente all’ordine dei barnabiti e vescovo dal 2007, il prelato ligure lascia l’archivio per limiti di età dopo un governo di ben ventisette anni (e trentennali sono state dal 1925 le prefetture di Angelo Mercati e di Martino Giusti). Ma sono complessivamente quarantacinque gli anni passati da Pagano tra i molti milioni di carte vaticane. Quelle che Paolo VI arrivò a definire in un discorso del 1963 «echi e vestigia» del passaggio di Cristo nel mondo.
I documenti vaticani riflettono una storia tra ombre e luci che Pagano ha inusualmente raccontato in due libri recenti. Il primo è la vivace intervista di Massimo Franco (Secretum, Solferino) che affronta il caso Galileo, il rapporto della Santa sede con gli Stati Uniti, il dramma del modernismo, il rapporto con la Cina.
Nel secondo (Dall’Archivio del papa, Viella), appena uscito e godibilissimo, sono raccolti quaranta episodi: da un testo medievale censurato al tempo della Controriforma all’età contemporanea, con una vicenda che intreccia padre Pio e scandali vaticani.
Uno dei più antichi documenti dell’archivio è infatti il Liber diurnus, un formulario risalente al IX secolo, molto usato dalla cancelleria papale ma caduto in disuso e scoperto nel 1646 da Lukas Holste. L’erudito tedesco lo pubblicò una dozzina d’anni più tardi, ma la sua edizione fu sequestrata da zelantissimi censori perché conteneva la notizia di un papa, Onorio I, che nel 680 era stato accusato d’eresia, e solo quattro sono le copie sopravvissute.
Di una biografia di padre Pio da Pietrelcina, scritta nel 1929 dal suo controverso seguace Emanuele Brunatto, solo una copia è invece sfuggita al sequestro e poi alla distruzione. Per difendere il religioso dalle accuse curiali l’autore a sua volta accusava d’immoralità, non a torto, alcuni prelati vaticani. Da qui il sequestro nel 1931 e la distruzione quasi totale, nel 1943, della tiratura.
I primi documenti
Tra gli archivi centrali, quello vaticano può contare su una continuità quasi ininterrotta di documentazione, che parte dal pontificato di Innocenzo III (1198-1216). Ma vi sono manoscritti più antichi e molto si è perduto, a causa soprattutto dell’itineranza del papato medievale – nel XIII secolo i papi trascorrono metà del tempo fuori Roma – e del forzato trasferimento dell’archivio a Parigi voluto da Napoleone.
In un delirio di onnipotenza certo rovinoso per la perdita di un gran numero di documenti, ma con effetti paradossalmente positivi sul successivo ordinamento delle carte.
La preistoria degli attuali archivi si ricostruisce da notizie sparse, come nel V secolo la menzione di uno scrinium (o chartarium) della chiesa romana in un’opera di Girolamo e l’esistenza di registri delle lettere di due papi esemplari: Leone Magno e Gregorio Magno. E le serie dei registri – vaticani, lateranensi, avignonesi i principali – sono le più importanti, assommando a migliaia di volumi.
L’ubicazione principale era nel complesso del Laterano, la più antica e duratura residenza papale, ma nel cuore del medioevo molti documenti vengono custoditi in una torre chartularia non lontana dal Palatino, che venne devastata da un incendio.
Con la rinascita di Roma voluta dai papi umanisti si utilizza come deposito la fortezza inespugnabile di Castel Sant’Angelo, finché un secolo più tardi con Pio IV, il Medici milanese, inizia la concentrazione delle carte – oggi suddivise in oltre quattrocento fondi diversi – nei palazzi vaticani: è l’ultimo passo che precede, tra il 1610 e il 1612, il trasferimento dell’archivio «segreto» nella sede attuale.
Ma in età contemporanea la crescita dei documenti da conservare diviene inarrestabile. Così Paolo VI nel 1977 prende la decisione di far costruire depositi sotterranei che oggi si estendono per ottantacinque chilometri di scaffalature sotto il grande cortile della Pigna.
Accesso e cura
Definire le raccolte vaticane l’archivio del mondo è forse un’esagerazione, ma senza dubbio la loro estensione e varietà sono uniche, al punto da riverberarsi nell’immaginario di romanzi come il divertente Angeli e demoni di Dan Brown, portato al cinema da Ron Howard con Tom Hanks protagonista. E va ricordato che all’Archivio apostolico bisogna aggiungerne altri, autonomi e altrettanto importanti: quello di Propaganda fide, l’organismo nato nel 1622 e preposto delle missioni al di fuori dell’Europa (ma non solo), l’archivio dell’antico Sant’Uffizio – fondamentale per la storia dell’Inquisizione romana e dell’Indice dei libri proibiti – e quelli della Segreteria di stato.
Riservato a eruditi che facevano richiesta di studiare le carte, l’archivio vaticano venne aperto agli studiosi nel 1881 per decisione di Leone XIII.
Un’iniziativa illuminata da parte del pontefice, ma anche obbligata dal crollo dello stato pontificio nel 1870: il rischio era infatti quello di perdere il controllo dei documenti in seguito alla fondazione, verso la fine del decennio, dell’archivio di Roma dello stato italiano, finalmente unificato. E proprio in quegli anni vennero fondati a Roma, da diversi paesi, istituti storici proprio per studiare le carte vaticane riguardanti le rispettive nazioni.
Gli archivi vaticani vengono progressivamente aperti per pontificati. L’ultima apertura, nel 2020, ha riguardato il ventennio pacelliano (1939-1958), molto attesa – e altrettanto sollecitata – perché comprende gli anni della seconda guerra mondiale e della guerra fredda.
Un’operazione onerosa per l’ordinamento dell’enorme massa di carte che ha richiesto l’impegno a tempo pieno di sei o sette archivisti per vent’anni, ha raccontato Pagano, lamentando che «si fanno pressioni finché c’è un interesse mediatico forte; quando questo viene a scemare, la storia non interessa più come prima».
Ma ora alcuni ricercatori dell’École française de Rome stanno allargando la visuale e ricostruiscono storicamente, in chiaroscuro, un periodo decisivo per la storia del mondo.
Importante è poi l’apporto delle pubblicazioni dello stesso archivio, che contribuiscono con novità documentarie a storie ancora da scrivere. Come l’ultima, curata da Alejandro Mario Dieguez, sugli archivi della nunziatura di Buenos Aires tra il 1937 e il 1958.
Sono gli anni convulsi dell’ascesa e della prima presidenza di Juan Domingo Perón. E che a loro volta coincidono con un’altra storia: quella dell’adolescenza di Bergoglio, che proprio nel 1958 entra nel noviziato dei gesuiti.
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