Soprabiti e persone, in fondo, non sono troppo diversi: soffrono della stessa caducità di sentimenti (e stagioni)
- La storia d’amore tra un cappotto di loden e una doglietta, perché in fondo persone e cappotti non sono troppo diversi, e soffrono della stesse impotenze, della stessa caducità dei sentimenti (e delle stagioni)
- Si conobbero in uno di quei ghiacci pomeriggi di novembre in cui la gente comincia a indossare soprabiti pesanti. In quel primo incontro poterono solo guardarsi
- Si ebbero in un modo particolare, come possono aversi un cappotto di loden e una doglietta, senza ambizioni definitive di possesso. Piuttosto il loro era un tubare di lembi, tutto un gioco a toccarsi gli orli
Si conobbero in uno di quei ghiacci pomeriggi di novembre in cui la gente comincia a indossare soprabiti pesanti. Un cappotto di loden verde e una doglietta beige. In quel primo incontro poterono solo guardarsi e cominciare a desiderarsi. Il cappotto di loden rimase folgorato dalla doppia fila di bottoni di lei, e da quel suo taglio a vestaglia che la rendeva sexy; la doglietta impazziva per le linee semplici e nette di lui, e per la sua lana calda che era una promessa di felicità.
Si rividero abbastanza spesso in quei giorni di buio nuovo, e finalmente si ebbero. Si ebbero in un modo particolare, come possono aversi un cappotto di loden e una doglietta, senza ambizioni definitive di possesso. Piuttosto il loro era un tubare di lembi, tutto un gioco a toccarsi gli orli, avvicinarsi e allontanarsi. D’altronde la soglia è il concetto più importante del campionario erotico e amoroso, perché rammenta che le cose hanno un prima e un dopo, iniziano e finiscono.
Il luogo privilegiato erano le panchine dei parchi, da cui si srotolavano tappeti di foglie accartocciate, red carpet sfrangiati e già andati in malora. La ruggine delle panchine era baciata da un sole pallido, che a poco a poco affondava nella bruma della sera. Ma si poteva flirtare anche sui mezzi pubblici, magari con il vantaggio di una frenata improvvisa. Una volta, dentro un cinema, il cappotto e la doglietta vennero messi una sopra l’altro, e per quasi due ore rimasero così, stretti nella penombra della sala, avvinti da una passione assoluta.
Una festa sciagurata
Trascorsero settimane perfette in quel novembre bacato che è la vera primavera dei temperamenti inquieti, quando le giornate si accorciano e i cuori si allargano. Le luci delle case s’accendevano presto, e creavano un dialogo muto con i lampioni fiochi che traballavano al vento. Esisteva una stagione migliore dell’autunno per amarsi? Impossibile visto che sia l’autunno sia l’amore erano una riflessione incessante sulla stessa cosa: la perdita.
Ma poi, dopo una festa sciagurata, i proprietari dei soprabiti litigarono per futili motivi. L’amore spesso funzionava così: più era intenso più tendeva a vacillare per un nonnulla.
L'uomo, afferrando il cappotto di loden, disse: «Non ti voglio vedere mai più».
La donna, rinfilandosi velocemente la doglietta, rispose: «Mai più è poco per me».
E così passarono giorni in cui il cappotto di loden sospirava ripensando alla imbottitura di seta di lei, e la doglietta si consumava nella nostalgia del bavero di lui. Cominciarono le piogge d’autunno che non hanno niente a che fare con i temporali delle altre stagioni. D’inverno la pioggia è neve sciolta, di primavera è la festa delle lumache, d’estate è rinfrescante come la menta. Quelle gocce cupe e ossessive di novembre invece diventarono le lacrime del loden e della doglietta, e bagnarono i loro bordi, quelle falde che inavvertitamente sbucavano da sotto gli ombrelli.
Perché quei due pazzi dei rispettivi proprietari non facevano pace? Perché l’amore era un sentimento così totalizzante da non ammettere il minimo errore? Perché non si poteva amare chi, semplicemente, ci voleva soltanto bene? Di sera il cappotto di loden, issato su un appendiabiti, guardava l’uomo tenersi la testa tra le mani, e avrebbe voluto dirgli: scrivile, chiamala; allo stesso modo la doglietta beige, dal pertugio di un armadio, osservava la donna riempire la stanza di sospiri, e avrebbe voluto spronarla: scrivigli, chiamalo.
Niente ritorna uguale a prima
Alla fine uno dei due, tra l’uomo e la donna, fu sopraffatto dalla mancanza, e capì che il nemico principale dell’amore era l’orgoglio. Venne inviato un messaggio: «Mezzanotte è l’ora più felice se sei felice o più triste se sei triste». E subito giunse la risposta: «Sono triste, se è quello che volevi sapere, perché non sei qui con me». Gli umani fecero pace, e il cappotto di loden rivide il parco dove aveva incontrato la doglietta per la prima volta.
Ma la donna adesso indossava un altro soprabito, un trench cammello antipatico e altezzoso: maledetto il genio muliebre dei guardaroba ricchi di capi e alternative! Per giorni il cappotto di loden non incontrò la sua doglietta, e imprecando uscì quasi di senno, arrivando a pensare che si fosse innamorata di qualche altro soprabito, un montgomery coi bottoni di legno o un paltò di fustagno.
Passata qualche settimana riuscì a rivederla, ma durante un appuntamento frettoloso, dove l’uomo e la donna parevano assorbiti da altre preoccupazioni, lavori pressanti, l’incombere del Natale. L’incontro durò giusto il tempo di un cartoccio di caldarroste, e il cappotto di loden restò chiuso in un’impotenza carica di gelosia, anche perché sapeva fin troppo bene cosa sarebbe successo di lì a poco. L’autunno stava finendo, e le temperature più rigide avrebbero indotto l’uomo a preferirgli un soprabito più caldo.
La lunga attesa
Il cappotto di loden finì nell’armadio, appeso alla solita gruccia, e pazientemente aspettò. Rimase in ascolto del silenzio invernale, che ha un timbro tutto suo, di gelida impasse, e poi dei cinguettii primaverili, e poi degli schiamazzi estivi. Giunse di nuovo il momento, lo sapeva, l’autunno era tornato con la sua musica inconfondibile: un sussurro che troppo spesso si tramutava in un sospiro.
A novembre, puntuale, l’uomo lo tirò fuori dalla solita gruccia, se lo infilò, e infine percorse la strada per il solito parco ricoperto già di foglie rosse, arancioni e marroni, che stavano attendendo come ogni anno il solstizio per sgretolarsi. Arrivò anche la donna, per fortuna sempre la stessa, ma della doglietta non c’era traccia. L’uomo e la donna parlarono a lungo e molto grevemente. Dov’era andata tutta la leggerezza di un anno fa? Anche in loro esistevano stoffe scucite, cerniere guaste, bottoni saltati, zone che con l’andare del tempo, implacabilmente, si erano logorate?
Il cappotto di loden era disperato, quando sentì pronunciare all'uomo la seguente domanda: «Ma quella doglietta che ti mettevi sempre all'inizio della nostra storia dov'è finita?».
La donna sorrise: «L’avevo presa a un mercatino vintage, era piena di buchi e l'ho buttata».
L'uomo scosse la testa: «Non avresti dovuto».
«Perché?».
«Perché è un nostro ricordo, il ricordo di quando tutto è cominciato. Tu eri un po’ anche quella doglietta».
L’affermazione parve una sorta di triste vaticinio che puntualmente si avverò.
La fine dell’autunno
Successe di lì a poco. L’uomo e la donna si lasciarono dopo una serie di parole che nessuno dei due riuscì a trattenere. Le parole cattive scavavano un fossato, e poi era impossibile ritornare dall’altra parte.
«Sono diversa da un anno fa», disse la donna.
«E questo che vuol dire?», ribatté l’uomo. «Anch’io sono diverso, tutti cambiamo».
«A volte il cambiamento include l’amore».
«Le storie d’amore dovrebbero essere semplici: chi si ama non si abbandona».
«Non giudicare il mio sentimento, si può amare e poi smettere d’amare».
«Se smetti d’amare non hai mai amato. Ci vorrebbe il misuratore di profondità del “ti amo”».
Così adesso l’uomo non avrebbe più rivisto la donna, così come il capotto di loden la sua doglietta.
«Esseri umani e cappotti non sono troppo diversi», pensò il cappotto di loden, mentre l’uomo lo riportava a casa, nonostante tutto, sferzati entrambi da un vento diventato troppo freddo per i dolci languori dell’autunno.
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