Nella primavera del 1932, fra il 23 marzo e il 4 aprile, il giornalista tedesco Emil Ludwig incontrò quasi quotidianamente Mussolini a palazzo Venezia per intervistarlo. Nei Colloqui con Mussolini Ludwig affronta anche la questione delle “somiglianze” tra Roma e Mosca. Dopo aver affermato che i russi avevano soppresso il capitalismo, mentre il fascismo lo aveva messo sotto controllo, Mussolini evidenzia le analogie: «In tutta la parte negativa ci somigliamo. Noi e i Russi siamo contro i liberali, i democratici, il parlamento».

Queste considerazioni di Mussolini potrebbero servire come introduzione per accostarsi a La via della schiavitù, che Friedrich von Hayek pubblicò in Inghilterra nel marzo del 1944. Hayek studiò giurisprudenza e scienze politiche a Vienna, dedicandosi successivamente all’economia. La lettura dei Principi fondamentali di economia di Carl Menger, e le lezioni di Ludwig von Mises, presso la Camera di Commercio di Vienna, gli consentirono di accostarsi all’individualismo metodologico e di prendere le distanze dalle giovanili idee socialiste.

Dopo una un’esperienza di studio negli Stati Uniti, rientrò in Austria e ottenne la libera docenza nel 1929. Nel 1931 fu chiamato da Lionel Robbins alla London School of Economics, dove rimase fino al 1949. Nel 1938, l’anno dell’annessione dell’Austria alla Germania nazista, prese la cittadinanza inglese. The Road to Serfdom, dedicato polemicamente “Ai socialisti di tutti i partiti”, fu scritto a Cambridge, dove la London School of Economics si era trasferita nel 1940, durante la battaglia d’Inghilterra. Hayek non considerava il nazifascismo una reazione al socialismo, ma una sua declinazione, dal momento che il nemico dei totalitarismi, di destra e di sinistra, si identificava nelle società liberali.

Il laburismo inglese e la socialdemocrazia europea, promuovendo nel dopoguerra l’intervento pubblico, correvano il rischio di rispecchiare, a suo avviso, il dirigismo totalitario contro cui le democrazie liberali avevano combattuto. La sua netta opposizione a ogni forma di economia pianificata e centralizzata lo rese il naturale avversario di John Meynard Keynes.

Lo statalismo tedesco 

Hayek poneva in evidenza come nella cultura tedesca, da Fichte a Hegel, diversamente da quanto era accaduto in Inghilterra, si fossero consolidate teorie politiche che subordinavano la società civile allo stato. Questa peculiarità era considerata, tanto a destra quanto a sinistra, un segno di superiorità rispetto all’individualismo anglosassone, come appare evidente nel pensiero del sociologo Werner Sombart, che in Mercanti ed eroi (1915), vedeva nella guerra uno scontro frontale tra l’utilitarismo inglese e l’idealismo eroico del popolo tedesco.

Molti di questi temi troveranno ampio spazio nell’opera di Arthur Moeller van den Bruck, un esponente della rivoluzione conservatrice che ebbe grande influenza su Hitler. Moeller pubblicò nel 1923 Il terzo Reich, in cui teorizzava un socialismo tedesco che, diversamente dal marxismo, incentrato su una sola classe, era rivolto alla nazione intera.

Il socialismo tedesco, inteso in una dimensione spirituale e non materialistica, come in Marx, avrebbe affermato i valori di una organica comunità di popolo (Volksgemeinschaft) sull’atomismo individualistico, eliminando il liberalismo e il parlamentarismo.

L’accoglienza in Italia

The Road to Serfdom non incontrò in Italia l’accoglienza che avrebbe meritato. Ne ha dato una puntuale ricostruzione Lorenzo Infantino. Nell’autunno del 1944 Hayek, tramite l’ambasciatore italiano a Londra, fece giungere il libro a Benedetto Croce, che lo apprezzò, dimostrandosi interessato a promuoverne la traduzione presso Laterza.

Prima che il contratto fosse firmato, intervenne la casa editrice Einaudi, che acquisì i diritti sull’opera, la cui pubblicazione tardava però a vedere la luce. Hayek cerca allora di comprendere i motivi del ritardo e scrive a Luigi Einaudi, che gli invia la nota, ricevuta dalla casa editrice, in cui si comunica che la lunga attesa era legata alla necessità di provvedere a una nuova traduzione, a causa della inadeguatezza di quella proposta. Il libro, che evidentemente non rientrava nella politica editoriale di Giulio Einaudi, venne poi pubblicato da Rizzoli nel 1948.

L’abuso della ragione 

Per Hayek la conoscenza umana è diffusa e frammentata e non è in grado cogliere la totalità, come pretendono di fare le ideologie che auspicano una riprogettazione ingegneristica della società, ispirandosi allo scientismo positivista o alle filosofie della storia hegelo-marxiste. Si avverte in Hayek una particolare sintonia con l’epistemologia e la filosofia politica di Karl Popper, secondo il quale le basi del sapere poggiano sul terreno instabile delle palafitte e vanno sottoposte a costante verifica.

Hayek, come Popper, denuncia «l’abuso della ragione», che aspira a modellare il mondo e a creare l’uomo nuovo. Il suo metodo critico non poteva che riflettersi in un pensiero antidogmatico e in una società aperta e pluralista, in netta opposizione alla società chiusa, retta da una teologia politica autocratica.

La difesa del mercato ha assunto però in Hayek posizioni talora incompatibili con la difesa della libertà, che non può identificarsi totalmente con le ragioni dell’economia. La sua concezione secondo cui una dittatura favorevole al libero mercato sia preferibile a una democrazia che lo ostacola lo condusse infatti a sostenere la giunta militare cilena di Pinochet, una negazione, sotto ogni aspetto, della società aperta.

Nella filosofia politica di Hayek, non vi è, secondo Ralf Dahrendorf, una adeguata distinzione tra la politica costituzionale, che definisce l’assetto istituzionale e la politica ordinaria, che riguarda la concreta amministrazione della cosa pubblica. Nell’ambito costituzionale, precisa Dahrendorf, le alternative si riducono a due, la società chiusa dei totalitarismi e la società aperta delle democrazie liberali, nella politica ordinaria le scelte sono invece molteplici: garantire il pluralismo è un principio costituzionale, privatizzare o nazionalizzare un servizio può riguardare la politica ordinaria.

A causa della mancata distinzione fra questi due ambiti, Hayek avversò il socialismo anche nella forma socialdemocratica, correndo il rischio di contrapporre un suo sistema a quello che combatteva.

Contro le tentazioni totalitarie

Luigi Einaudi avrebbe detto che dall’ipotesi astratta del liberismo si può passare alla “formulazione precettistica” solo quando ci si trovi dinnanzi a un problema concreto, rispetto al quale un economista «non può essere mai né liberista, né interventista, né socialista ad ogni costo». Lo dimostra il fatto che Smith fu favorevole alla protezione della marina mercantile, Ricardo propose la banca di emissione di stato e Mill, per la sua attenzione alla giustizia sociale, fu considerato socialista.

Su questa linea, anche Isaiah Berlin, spesso accostato ad Hayek, in un dialogo con Steven Lukes, sostenne che, se la libertà positiva è stata «pervertita politicamente» nei totalitarismi, la libertà negativa, con il laissez faire, «ha portato alle sofferenze dei bambini nelle miniere di carbone». Nel 1949, nel saggio sulle idee politiche del ventesimo secolo, Berlin scrisse inoltre che il New Deal di Roosevelt rappresentava «il compromesso più costruttivo tra libertà individuale e sicurezza economica di cui sia stato testimone il nostro tempo».

Il saggio di Hayek porta in sé i segni evidenti del liberalismo della guerra fredda, ma costituisce ancor oggi una difesa efficace contro ogni tentazione totalitaria e ogni “presunzione fatale”. In The Road to Serfdom si prospetta inoltre un ordine internazionale, che oggi potremmo pienamente far nostro, in cui gli stati pongano limiti alla loro sovranità nel quadro di una Federazione europea. Hayek ritiene infatti che il federalismo, in una versione leggera e non burocratizzata, rappresenti «l’applicazione della democrazia agli affari internazionali, il solo metodo che l’uomo abbia finora inventato per attuare cambiamenti in via pacifica».

© Riproduzione riservata