Rapita dai monti del Caucaso, venduta, sfruttata come manodopera e come balia in Italia: una nuova ricerca sulla madre di Leonardo da Vinci prova a risolvere un mistero che assilla gli studiosi. Ma lo fa con un romanzo
Una schiava, catturata in una colonia veneziana alla foce de Don. La madre di Leonardo Da Vinci non era italiana e soprattutto non era una donna libera, ma una giovane arrivata dal mar Nero per essere sfruttata nelle manifatture tessili attorno a Rialto e poi come balia a Firenze.
Finora Caterina è sempre rimasta poco più di un nome: di certo si sa soltanto che non era sposata con il padre di Leonardo. Ora una nuova ipotesi prova a sciogliere il nodo che da sempre assilla appassionati e studiosi del grande genio rinascimentale: un’ipotesi che (è il caso di dirlo) sembra un romanzo.
Probabilmente è anche per questo che il filologo ed esperto di Rinascimento Carlo Vecce, professore all’università di Napoli L’Orientale, ha scelto di presentare la sua ricerca non con un saggio, ma con un libro di fiction storica, Il sorriso di Caterina, in uscita oggi per Giunti e presentato ieri a Firenze.
Il documento
Caterina, filia Jacobi, de partibus Circassie: Caterina, figlia di Jacob, della Circassia. Secondo Vecce la madre del grande artista e scienziato rinascimentale si cela in questa dicitura, scovata in un atto notarile conservato nell’Archivio di stato di Firenze. È un documento firmato dal giovane Piero da Vinci, il papà di Leonardo. Si tratta di un atto di liberazione. Oltre a restituire informazioni sulla provenienza della donna (la Circassia è una regione storica del Caucaso, oggi parte della Russia), vi si trovano i nomi della padrona di Caterina, Ginevra d’Antonio Redditi, e di suo marito, Donato di Filippo di Silvestro.
Sono una coppia fiorentina un po’ anomala, lei ultraquarantenne, lui ultrasettantenne, ma sposati solo da tre anni. Donato aveva a lungo fatto affari a Venezia, dove aveva manifatture tessili, oltre che vari capitali e proprietà che negli anni il padre di Leonardo avrebbe aiutato a gestire.
Spesso le manifatture di broccato come quella dell’imprenditore fiorentino impiegavano come manodopera schiave provenienti dal Caucaso. Caterina era una di loro, portata da Donato a Firenze nel 1442 quando aveva 15 anni e poi regalata a Ginevra. La libertà le sarà concessa solo dieci anni dopo, il 2 novembre 1452, a pochi mesi dalla nascita di Leonardo nell’aprile dello stesso anno.
Altri documenti mostrano che la giovane da due anni era stata “affittata” come balia da Francesco di Domenico Castelli: un ricco rampollo di una famiglia fiorentina che tra l’altro riporta nel suo diario l’occasione della sua liberazione, in circostanze che coincidono perfettamente con quelle del documento notarile.
I legami
È proprio in questo periodo, secondo Vecce, che Piero, notaio di fiducia di Francesco oltre che di Ginevra e Donato, avrebbe messo incinta la giovane Caterina mentre era al servizio della famiglia Castelli. Una situazione che, ha notato lo studioso, rischiava di essere problematica per il giovane notaio: le donne in schiavitù erano appunto considerate proprietà privata e le pene per chi le metteva incinte erano molto severe.
Dopo la liberazione, Caterina viene data in moglie a un contadino di nome Attaccabrighe, da cui avrà altri cinque figli, vivendo poco lontano da Vinci: è qui che vivrà Leonardo per i primi dieci anni della sua vita, secondo la ricostruzione dello studioso. Madre e figlio si ricongiungeranno per pochi mesi Milano, come attestano alcuni documenti: lì Caterina morirà nel 1494. I taccuini di Leonardo mostrano che l’artista si prodigò per renderle onori funebri degni di una nobildonna.
«Non riuscivo a credere che la madre di Leonardo potesse essere una schiava, straniera, non italiana», ha detto Carlo Vecce durante la presentazione del libro, cui farà seguito anche una biografia scientifica di Leonardo aggiornata con le nuove scoperte.
Vecce non è stato il primo a ipotizzare che la mamma dell’artista potesse essere stata una schiava, vista la difficoltà di diversi studiosi a identificarla fra le donne di Vinci nominate in documenti e archivi di quegli anni e visto che Caterina era un nome spesso usato per le schiave. Ma ha affermato di non aver mai trovato la teoria convincente, prima di leggere l’atto di affrancamento firmato da Piero.
Il romanzo
Rapita, sfruttata, anche sessualmente (per fare da balia nel 1450 a Maria Castellani doveva aver partorito da poco: Leonardo con ogni probabilità non era il suo primo figlio). Se Leonardo è l’uomo universale per eccellenza, bisogna purtroppo riconoscere che c’è un’universalità anche nella travagliata esperienza di vita di sua madre. Un’universalità ancora attuale, come ha sottolineato l’autore, che ha voluto connettere esplicitamente la tragedia di Caterina con quelle attuali di tante donne profughe e vittime della tratta.
Nel libro, Vecce immagina il plausibile percorso della donna fino all’Italia: dalle vette del Caucaso a Tana, la colonia veneziana sul Don che nel XV secolo era il centro della tratta degli schiavi, e attraverso il mar Nero fino alla Costantinopoli in procinto di cadere,
Una storia avventurosa che ben si presta ad essere raccontata a un grande pubblico, con una «docufiction», come l’ha definita lo storico Paolo Galluzzi, in cui la fantasia costruisce gli anelli di congiunzione fra personaggi realmente esistiti e attestati.
Ma in cui Caterina non prende mai la parola: i narratori della storia sono tutti gli uomini che incontra nel suo percorso, perché «a lei è stato tolto tutto, anche la voce», ha detto l’autore.
Influenze su Leonardo?
Dell’infanzia di Leonardo, passata con ogni probabilità proprio a fianco della madre, non sappiamo molto. Ma secondo l’autore sono stati fondamentali e le nuove scoperte sulla possibile identità di Caterina possono aiutare a comprendere meglio alcuni aspetti della personalità e del vissuto dell’artista.
La stessa attitudine al disegno era diffusa tra le donne circasse, che proprio per questa competenza erano spesso impiegate come manodopera nelle manifatture di broccato e altri tessuti. Come anche è possibile, secondo l’autore del libro, che i paesaggi del Caucaso raccontati da Caterina al figlio si possano intravvedere nei suoi dipinti: ad esempio nella sua prima opera, l’Annunciazione degli Uffizi, originariamente destinata al monastero di san Bartolomeo di Monteliveto, la chiesa a cui proprio l’ex “padrone” di Caterina, Donato di Filippo di Silvestro, aveva lasciato in eredità tutti i suoi beni.
A fare da sfondo alla Madonna e all’arcangelo Gabriele in quel dipinto c’è un monte altissimo che si perde nelle nubi e che sovrasta una città affacciata sul mare, piena di navi rappresentate nei minimi dettagli: è suggestivo immaginare, come fa l’autore de Il sorriso di Caterina, che rappresenti i monti da cui la madre di Leonardo è stata strappata ancora bambina.
È stato facile quindi per Vecce ipotizzare che lo spirito libero che si riconosce in Leonardo da Vinci sia dovuto anche dal rapporto con una donna a cui la libertà era stata strappata.
Il sorriso di Caterina (Giunti 2023, pp. 528, euro 19) è il primo romanzo di Carlo Vecce
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