Qual è il potere dei ricordi? In che modo l’impulso a salvaguardare, preservare e l’ossessione per la serialità e la continuità vengono capitalizzati dalle piattaforme? «Cos’è accaduto alla nostalgia?», si chiede Grafton Tanner, scrittore e docente alla University of Georgia, nel libro Foreverismo. Fenomenologia di ciò che non finisce (effequ).

Il tentativo di ripristinare un passato irrealistico, far scivolare l’utente in un eterno ritorno digitale, con icone che rimandano alla nostalgia dell’internet primordiale e contenuti dal forte impatto emotivo, è amplificato dalle piattaforme che promettono di mantenere vivi i nostri ricordi, digitali o analogici. Ingrediente per slogan e marketing online, la nostalgia, da sentimento è stata trasformata in vuoto da colmare perché improduttiva, tra versioni di noi stessi che non ci somigliano e profili social che vivranno in eterno.

Il progresso, per Tanner, con le variabili e le incognite che cela, è un capitale troppo instabile e scivoloso perché le big tech possano investire. Per questo motivo più spesso si opta per il potere reazionario e immobile delle cose andate, capitalizzando un desiderio impossibile. È quel processo che Tanner ribattezza “persempificazione”. La «rivitalizzazione cioè di ciò che si è deteriorato, è venuto meno o scomparso in modo da mantenerlo attivo nel presente per sempre». Un modo di capitalizzare un sentimento comune, la nostalgia e farne uso, consumo, prodotto, contenuto, nell’era dell’economia del desiderio e della mercificazione delle emozioni online.

Le piattaforme amplificano il senso di eterno ritorno attraverso riproposizioni infinite di ricordi personali o collettivi. Se si pensa alle estetiche e al fascino che il retrofuturismo esercita, tutto ciò è ancora più evidente.
Video nostalgici su TikTok o su Instagram hanno migliaia di visualizzazioni e commenti in cui si rimpiange il passato. I social permettono di esprimere, condividere, creare nostalgia. Il problema, però, è che si tratta ovviamente di una strategia capitalistica che fa leva sulle emozioni affinché gli utenti continuino a consumare. È questa la correlazione tra le piattaforme e la nostalgia. Tutti i media manipolano in qualche modo le nostre emozioni. Odio usare la parola “manipolazione” ma in qualche misura si viene manipolati emotivamente quando ci si confronta con l’algoritmo, si sta costruendo una relazione.

Cos’è il “foreverismo”? Contrarre la distanza tra passato e futuro, un eterno e irreale tempo ibrido. Come abbiamo capitalizzato questa crasi? Pensando alle strategie di marketing si diventa dipendenti della soluzione ancora prima di percepire il bisogno…
È questo il punto. Se riusciamo a riportare in vita il passato e le corporation digitali lo fanno, convincere l’utente ad abbandonarsi alla nostalgia e, come antidoto, riportare in vita i ricordi attraverso prodotti culturali pensati per soddisfare i nostri bisogni è come se vivessimo un tempo dilatato in cui la nostalgia non ha più motivo di esistere. Il capitalismo ci invita a non provare più nostalgia, poiché la nostalgia è l'opposto del progresso. In una società in cui solo ciò che si produce è ritenuto degno di nota, provare nostalgia è visto come indice di regresso. Andare indietro non è produttivo. Il capitalismo suggerisce di liberarsi in qualsiasi modo della nostalgia persino vendendo un passato impossibile da replicare, in modo che nessuno voglia più tornare indietro. Per sempre.

I profili social permettono di pensarsi eterni, quindi senza tempo, e allo stesso tempo guardare eternamente al proprio passato, è un paradosso…
Sì. Uno dei motivi per cui internet e i social esercitano fascino è che permettono alle persone di avere il proprio passato e il passato degli altri utenti e dunque una narrazione collettiva a portata di mano, in qualsiasi momento. Diamo per scontato che i social non siano solo un modo per consumare meme, video e notizie ma anche uno strumento per catalogare il nostro passato attraverso i post pregressi. È un fenomeno senza precedenti nel nostro tempo. Prima dei social, era qualcosa che non si poteva fare facilmente. Oggi guardiamo la nostalgia collettiva scorrere nei nostri feed e anche l’algoritmo continua a proporre contenuti correlati alla nostalgia, sapendo magari che un utente millennial può essere interessato a tornare indietro. Tornare indietro crea dipendenza.

È interessante anche il modo delle piattaforme di capitalizzare il nostro passato biografico.
Le emozioni vengono percepite come una debolezza nella nostra società progressista occidentale, soprattutto negli Stati Uniti. Vogliamo solo fatti e logica. Gli esseri umani provano emozioni, le emozioni entrano sempre nel processo decisionale. Questo spaventa spesso. Esiste una vera e propria paranoia su quanto le emozioni possano farci agire in modo irrazionale. In una società progressista che predica il razionalismo questo non è concepibile.

C’è una correlazione tra la nostalgia e un certo revisionismo politico estremista secondo lei? Come il ritorno al passato è stato trasfigurato per invocare il consenso degli elettori?
È una narrativa ricorrente, quella che invoca il ritorno al passato, un passato perennemente restaurato a proprio piacimento. Al posto di proporre un programma elettorale in nome di un futuro migliore del presente, politiche soprattutto revisioniste di destra sussurrano all’orecchio degli elettori: “Non sappiamo bene cosa ci riserverà il futuro. Potrebbe essere spaventoso. Crisi climatiche, nuove elezioni… Il futuro potrebbe deluderci. C’è molta più stabilità nel passato, perché non facciamo rivivere il passato e lo manteniamo non solo vivo nel presente ma a prova di futuro?”. In questo processo di revisionismo, la nostalgia viene ancora una volta eliminata, perché il passato viene riproposto sempre in nuove vesti. È l'inquietante premessa alla base anche di slogan come Make America Great Again di Donald Trump. La restaurazione di un supposto passato che duri per sempre.

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