Questa è la storia di un marito troppo felice. che non si capacita del motivo per cui, a differenza di quelli di tutti gli altri, il suo matrimonio non sembra andare in crisi. Decide quindi di metterlo alla prova in un modo contorto: non farà più l’amore con sua moglie
Potevo ben asserire che la mia vita sentimentale fosse da cartolina. M’innamoravo di mia moglie ogni volta che strizzava gli occhi in quel suo modo inconfondibile. Aveva le fossette sulle guance, la pelle che sapeva di buono e la forma di un violoncello.
Qualcosa che gli inconsolabili dell’amore, quelli a cui era andato sempre tutto storto (abbandoni, separazioni, lutti o semplicemente troppa malinconia la sera, davanti alla tv), si sarebbero potuti comprare soltanto come un souvenir di un luogo esotico e in fondo inaccessibile.
Non saprei dire con esattezza cosa mi prese. La fregola di scovare una magagna, a costo di causarla io stesso. L’impulso di dimostrare la fragilità di qualsiasi idillio, arrivando a distruggere il nostro – quello mio e di mia moglie – con le mie stesse mani.
Cominciai a sottrarmi ai doveri coniugali, per così dire. Doveri. Solo la parola mi faceva sorridere, visto che non era mai successo per dovere. Il sesso con mia moglie era superlativo esattamente come il resto, se non di più, e fu proprio per questa ragione che m’impuntai.
Volevo metterla alla prova, togliere al rapporto almeno uno degli aspetti che lo rendevano inestimabile. In breve tempo la cosa mi ossessionò. Controllavo mia moglie, non facevo altro che ripetermi: quanto riuscirai ad amarmi ancora? Quanto ci metterai a stufarti di me?
Tornai a essere un adolescente che smaniava per un porno. Dovevo pur sfogarmi, altrimenti non sarei stato in grado di reggere il gioco. All’inizio fu divertente, ripercorrere dal principio le tappe della maturazione sessuale: l’immaginazione galoppante, l’ipersensibilità verso certi argomenti.
Per un periodo a mia moglie non fornii spiegazioni. Mi limitavo a girarmi dall’altra parte o, se proprio la serata prendeva una brutta piega, a mostrare tutto il mio palese disinteresse. Un paio di notti si accanì, ma non c’è niente che offenda e frustri maggiormente una donna dell’inversione tradizionale dei ruoli.
Checché se ne dica spetta all’uomo richiedere certe attenzioni. Anche dopo il matrimonio, anche in una coppia affiatata. Dopo poco la sua prevedibile reazione fu di mettersi in difesa. Non tirò mai fuori l’argomento direttamente, e si limitò ad attendere.
Dal canto mio, avevo in mente sempre le stesse domande: quanto riuscirai ad amarmi ancora? Quanto ci metterai a stufarti di me?
La macchina nuova
Attendevo anch’io. Aspettavo lo scatto d’ira immotivato, la scenata per una questione da nulla, tutte quelle classiche atrocità di cui sono costellati i rapporti degli altri. Quanto si poteva sostenere una situazione del genere? Venti giorni, un mese? Dopo due mesi non avevo ancora notato in mia moglie cambiamenti significativi.
A parte il sesso, tutto funzionava come prima. Anzi. Forse per una sorta di perversa compensazione, dovetti ammettere che in certi frangenti la nostra vita era addirittura migliorata. Mi pareva che mi ascoltasse con più attenzione. Spesso era più gioviale del solito. Immotivatamente gioviale, non c’era neanche da precisarlo.
Stavo per andare su tutte le furie quando mi si presentò d’innanzi con un sorrisetto furbo. Eccoci, mi dissi, siamo arrivati al dunque. Mi preparai a qualunque tipo di scenario: si era fatta l’amante o addirittura chiedeva il divorzio.
«Era un po’ che volevo parlartene…», mi disse.
«Di che cosa?».
«Argomento spinoso».
«Devo preoccuparmi? Parla pure liberamente».
«Davvero posso?».
«Ma certo, tra di noi non ci devono essere segreti».
Prese un respiro e lo disse velocemente, come una bambina che si eserciti con uno scioglilingua. «Avrei intenzione di cambiare la macchina, visto che ho strusciato la fiancata della vecchia, che ne dici?».
Non potevo crederci. Me lo feci ripetere due, tre volte. Annuivo ogni volta. Più annuivo più mia moglie strizzava gli occhi, le venivano le fossette sulle guance dalla contentezza.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Girato dall’altra parte, raggomitolato nel mio cantuccio di letto, non riuscivo a darmi una spiegazione di quello che stava succedendo. Mi stavo negando da settimane.
Se proprio mia moglie avesse voluto accordarmi uno straccio di buona fede, avrei potuto essere comunque impotente. Lo sapeva che gli uomini – anche uomini virili, al di sopra di ogni sospetto – diventavano impotenti dall’oggi al domani? Possibile che la sua unica preoccupazione fosse la macchina nuova?
Il vibratore
Dopo qualche giorno mi tolse da quell’impasse la scoperta di un vibratore. Insoddisfatto dal comportamento gioviale di mia moglie, ormai avevo preso a frugare tra le sue cose. E l’intuizione venne premiata. A dir la verità mi stupì che non l’avesse nascosto.
Certi oggetti, se non condivisi col partner, devono per forza essere occultati. Invece lo trovai dentro una borsetta impilata sopra le altre vicino all’armadio. Avrei preferito da parte di mia moglie una maggior attenzione nella scelta del nascondiglio.
Cercai comunque di abbozzare. Avevo trovato qualcosa, finalmente! Certo, una minuzia tutto sommato trascurabile, visto che mia moglie continuava esattamente ad essere quello che era sempre stata, ma me la feci bastare.
Percorsi il corridoio indispettito e mi presentai al cospetto di mia moglie, dondolando il vibratore davanti ai suoi occhi. «E questo qui?».
Mia moglie scoppiò a ridere.
«A me non fa ridere», dissi.
«Come no?».
«Era nella tua borsa».
«Frughi nelle mie cose? Come mai?».
«Non è questo il punto».
Allora mia moglie cercò di spiegare. Aveva le lacrime agli occhi e ogni tanto una risata irrefrenabile la costringeva a interrompersi. «Me l’hanno regalato per il compleanno. Le sceme delle mie amiche. Non vedi che ha ancora il cellophane?».
Toccai la superficie del vibratore e mi accorsi della sottile pellicola che ancora lo rivestiva. Poi sentii nascere in me qualcosa di violento e fosco.
La resa dei conti
L’astinenza durava ormai da tre mesi e mia moglie era irreprensibile. Mi stirava le camicie. Mi saltava al collo quando rientravo dal lavoro. Mi lasciava scegliere il programma alla televisione. Osservavo attentamente il suo aspetto: non c’erano segni visibili di una debilitazione esistenziale.
Non era ingrassata né deperita. Le camicette e i jeans le facevano le pieghe nei punti giusti. E io non sapevo più che pesci prendere. Dovevo arrendermi alla solidità sempiterna del nostro amore? Ce l’avevamo davvero fatta, al contrario di tutti gli altri? In cosa avevano sbagliato loro, che a noi era riuscito così bene?
Decisi di affrontare la questione di petto. Non ci fu neanche bisogno di deciderlo, in realtà. Vomitai addosso a mia moglie tutto quello che avevo covato in solitudine per tre mesi.
«Non hai notato nessun cambiamento nella nostra vita?», le chiesi.
«Che intendi?».
«Che non lo facciamo più!».
«Certo che l’ho notato».
«Ah sì? E non dici nulla?».
«Che cosa dovrei dire?».
«Lamentarti, arrabbiarti, farmi i dispetti».
«E perché dovrei?».
«Perché funziona così».
«Io paziento».
«Vuoi dire che io sto perdendo la pazienza prima di te?»
Rise. «A quanto pare sì».
Continuammo a parlare. Un discorso veramente ispirato, in cui entrambi dimostrammo assennatezza e maturità. Oltre che un amore invincibile. Troppo grande la tentazione: stavo già cominciando a pensare a quale avrebbe potuto essere una prova più efficace.
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