Quattro anni fa, i Mondiali li vinse il Galles. No, non i Mondiali di rugby veri e propri. Il Galles vinse i Mondiali degli inni nazionali. Lo stabilì il quotidiano New Zealand Herald dopo un tabellone serio, una gara, sfide uguali alle partite vere, ma chiuso da una finale tra Hen Wlad Fy Nhadau contro la Marsigliese della Francia. Bei tempi. Ora che i Mondiali di rugby sono ricominciati proprio in Francia, l’esecuzione degli inni prima delle partite sta diventando un caso.
Quando tutto è iniziato venerdì scorso, allo Stade de France, il piccolo mondo antico della palla ovale s’è guardato attorno e s’è domandato: sul serio? Dobbiamo sentirli così? «Un'ondata di commenti desolati, anzi inorriditi» riassume il quotidiano francese L’Équipe.
Gli inni sono stati affidati a un coro di voci bianche, ma molti spettatori hanno cominciato a protestare, con la sensazione che mancasse ogni tipo di sintonia tra il canto dei bambini sul prato e quello del pubblico in tribuna, fino a rovinare la liturgia. In Francia ci sono rimasti particolarmente male perché la Marsigliese a cappella è diventata un must in questi anni, «una macchina da brividi prima delle partite della nazionale». Invece, Julien Benneteau, capitano della squadra francese di Federation Cup, su Twitter o come si chiama adesso, se n’è lamentato. Altri cori nei giorni successivi sono stati diffusi in registrazione. Mirco Bergamasco, ex azzurro, ha brontolato parecchio pure lui per l’esecuzione prima di Italia-Namibia, a Saint-Étienne. «Non possiamo farli cantare normalmente, per favore?». L'ex mediano d'apertura dell'Inghilterra, Andy Goode, non ha apprezzato il God Save The King che ha preceduto Inghilterra-Argentina: «Il responsabile può fermare questo massacro?».
Il progetto era già nato fra le polemiche. È un’idea di Claude Atcher, ex direttore generale del comitato organizzatore, licenziato in tronco nell’ottobre 2022 con un impasto di accuse che va da favoritismi e conflitti di interessi con gli sponsor, fino ad abusi e creazione di un ambiente tossico sul lavoro. Atcher aveva preso accordi l'Opéra Comique attraverso Mika, testimonial del progetto. Trecento bambini divisi in 26 formazioni, hanno provato per mesi finché non sono stati informati il 13 marzo che il progetto di Atcher aveva avuto un ostacolo, ehm, il direttore era andato a processo.
Per questioni logistiche, con i tempi ormai ridotti, la federazione internazionale World Rugby ha chiesto di salvare il programma ridimensionandolo. Eppure, inizialmente, anche lì c’erano delle posizioni contrarie. I cantanti sono stati ridotti a 170 ma il problema vero è stato scoprire che l'impianto audio in alcuni stadi era insufficiente. Solo nove partite, tra lo stadio di Saint-Denis a Parigi e quello di Marsiglia, sono allora parsi in grado di offrire in effetti l’esecuzione degli inni dal vivo. In tutti gli altri stadi si è deciso di mandare in onda una versione in studio registrata. In primavera ha cominciato a circolare una petizione degli insegnanti di canto per il ritorno al progetto originario. Invano.
Scrive il quotidiano francese che oggi nessuno si sogna di dar la colpa ai bambini. Ma l’accoglienza più che gelida sta costringendo il comitato organizzatore dei Mondiali a riconsiderare ogni cosa, insieme con il ministero dello sport. Nessun vuol dire ai piccoli di farsi da parte, ma nessuno vuol correre il rischio di passare alla storia per il fiasco della Marsigliese che non si sente, non si capisce, diventa un pasticcio. Un’ipotesi è lasciare alle singole nazionali la scelta dell’esecuzione: questi bambini li volete o preferite la banda?
La faccenda è diventata un caso internazionale. Secondo il Guardian alla fine non cambierà niente. Gli arrangiamenti sono questi: arrangiatevi.
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