La foto di Kate Middleton è stata analizzata e interpretata fino a raggiungere livelli di follia finissima. Ma siamo ancora in grado di guardare le immagini e attribuire loro il giusto senso e peso?
La zona di interesse, come saprete, è il titolo del libro di Martin Amis dal quale è stato tratto il film di Jonathan Glazer, quello in cui i nazisti se ne stanno tranquilli nella loro villetta con l’orticello mentre al di là del muro c’è il campo di concentramento con i suoi rumori e i suoi fumi.
Un film che ha creato cortocircuiti, che ha vinto l’Oscar e che si colloca nel punto esatto dal quale possiamo osservare una moltitudine di sentieri che si diramano. Spaziali e temporali. Agli Oscar il regista ha fatto un discorso difficile e intelligente. Se non l’avete ascoltato, recuperatelo.
Molte persone ormai hanno visto il film. E al di là delle opinioni e delle sfumature, anche perché non se ne può più delle sfumature, quelle stesse persone in questi giorni si stanno chiedendo se forse non ci troviamo tutti dentro la zona d’interesse, visto che mentre nel mondo accadono molte cose orrende noi stiamo a occuparci della foto di Kate Middleton.
Il concetto è stato messo nero su bianco dalla scrittrice Lorenza Pieri su Facebook. Ma il dubbio è diffuso.
Photoshop reale
La foto di Kate Middleton è stata analizzata e interpretata fino a raggiungere livelli di follia finissima. Le teorie dei complotti, le polemiche, il fondo del barile. È questo un buon uso del nostro tempo? Non si tratta di dire che sono ben altri i problemi. Si tratta di capire se siamo ancora in grado di guardare le immagini e attribuire loro il giusto senso e peso. Prima di tutto il giusto senso. Una volta ci riuscivamo un po’ di più, sembra.
Negli ultimi tempi in realtà si sono affastellate alcune immagini che hanno creato controversie. L’altro giorno ho iniziato a chiedermi se non siamo assistendo a una sorta di analfabetismo funzionale: quell’incapacità di comprendere un testo, ma applicata alle immagini.
Siamo abituati all’idea che le nostre capacità di interpretazione di un testo si siano ridotte, insomma sappiamo che linguisticamente siamo sempre più rintronati, ma possiamo dire che lo stesso problema si stia verificando con le immagini? Ma come, siamo nell’epoca delle foto, dei video, dell’economia dell’attenzione visuale. Una buona parte del capitalismo mondiale (la parte basata sugli schermi) è fondata sui nostri occhi e sulle nostre capacità interpretative quantomeno istintive, animali.
L’indignazione
Andiamo a prendere la famosa copertina con Chiara Ferragni, ormai la conoscono anche le pietre, quella in cui lei indossa una giacca grigia ed è truccata come un pagliaccio o (meglio) come Joker. Per questa copertina è stato scomodato il sessismo: è maschilista usare il corpo di Chiara Ferragni per criticarla. Eppure per noi donne che eravamo ragazzine negli anni Novanta, gli anni in cui L’Espresso e Panorama mettevano tette e culi in copertina per parlare di macroeconomia, questa immagine è una ventata di aria fresca. Un bellissimo cambiamento.
Mi rilassa oggi vedere una donna vestita di tutto punto e con la faccia resa grottesca, una donna trattata insomma come un tempo si trattavano solo i maschi capitani d’industria, quando gli si faceva la guerra. Tutto questo fatica a sembrarmi sessista. Mi appare (ad alcune di noi appare) come una paradossale forma di riconoscimento. Dopodiché, certo, la diretta interessata fa bene ad arrabbiarsi, appunto perché è la diretta interessata, e dunque combatte. Ma che le persone qualsiasi, non coinvolte in prima persona, parlino di sessismo, mi sembra bizzarro.
Altra vicenda recentissima: il video in cui un’attivista pro Palestina prende un coltello e fa a pezzi un quadro. Non un quadro a caso, un quadro significativo, che ritrae Lord Balfour. Subito alcune persone commentano accostando questa forma di protesta alle proteste degli ambientalisti che lanciano la salsa di pomodoro sui dipinti protetti dal vetro.
Non mi interessa entrare nel merito dell’una e dell’altra protesta, ma le modalità sono diverse, e anche il messaggio è diverso. In un caso si distrugge un quadro per distruggere l’effige del personaggio ritratto. Nell’altro caso si imbratta, e basta pulire, perché il senso è mostrare l’ipocrisia di proteggere l’arte ma non l’ambiente.
Anzi, qui lo dico: mi metto ufficialmente a disposizione degli ambientalisti, qualora volessero qualcuno che pulisca dopo il loro passaggio. Avendo figli piccoli, passo molto tempo a pulire superfici riflettenti dalle ditate. Sono preparata.
Viviamo nella zona d’interesse, ci arrabbiamo per le immagini e le commentiamo con indignazione quando là fuori succede di tutto. E per giunta queste immagini neppure le comprendiamo. Coltiviamo l’orticello, e ammazziamo pure le piante.
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