La famiglia Liberati tocca il suolo salentino alle 13:23 del 30 luglio, in macchina la temperatura è poco sopra i ventuno gradi, all’esterno di gradi ce ne sono 43 e mezzo. Nella piazzetta di Torre Vado non c’è anima viva.

«Mortacci sua, hanno lasciato acceso er forno».

La battuta di Marco Liberati, marito e padre, non trova risposta. Sua moglie Ilaria si deterge il sudore con un fazzoletto e intanto scruta l’orizzonte.

«Ma quello che ce deve dà casa ‘n do sta?».

Dagli sportelli posteriori si affacciano Cristian, di anni 13, e Martina, anni 9, anche loro perlustrano lo spazio attorno, non dicono nulla.

Da lontano, in lentissimo avvicinamento, un signore attorno ai sessanta, una maglia azzurra su pancia da professionista della tavola.

«Signori Liberati, eccomi, seguitemi con la macchina».

L’agente dell’immobiliare è sudato da fare tenerezza, o pietà a seconda dei punti di vista. Con la mascherina messa a mo’ di sottomento.

Un carosello di sole due macchine si mette in moto, in testa la piccola utilitaria dell’agente, dietro la station wagon targata Liberati.

Il viaggio è breve, brevissimo.

«Te sei superato»

Le macchine si fermano davanti a un bellissimo cancello di ferro battuto. Dietro, spagnoleggiante, la villa che conterrà la famiglia Liberati per le prossime due settimane. Una villa meravigliosa, appena il cancello si apre si può ammirare un giardino curato alla perfezione, un bel gazebo con accanto il forno e un barbecue. La villa è di gran lusso e si vede.

Marco Liberati, non appena il cancello si è aperto, è andato gonfiandosi come un pavone, guarda sua moglie con un sorriso pieno di sufficienza.

«Che dicevi de ‘sta casa? Aspetta, hai detto quarcosa pure de tu’ sorella e dell’appartamento che ha preso a Fregene».

Marco resta in attesa del riconoscimento meritato, almeno pensa lui, ma sua moglie non sembra convinta.

«Aspettamo a entra’ prima, magari dentro è ‘n cesso».

Gli interni della villa sono più belli degli esterni. Ilaria, Cristian e Martina sono senza parole, mentre Marco ha un attacco di megalomania purissima. Gira per il salone doppio, la cucina con penisola, le stanze ariose e climatizzate come se fosse il padrone e non un affittuario di casa-vacanza.

Dalle finestre della stanza riservata ai due figli si vede il mare cristallino che li attende, distante al massimo una cinquantina di metri.

Cristian guarda il padre con occhi febbrili, grato come mai prima.

«Papà stavòrta te sei superato, inizio a fa’ ‘n po’ de foto, devo fa’ rosica’ mezza classe». Poco dopo arriva Martina, stringe il padre nel più tenero degli abbracci: «Papino mio, questa sarà una vacanza da favola».

Un istante dopo, la classica ciliegina: Ilaria si avvicina al marito, gli stampa un bacio in bocca con lieve accenno di lingua, poi gli si avvicina all’orecchio. «Bravo amore mio, stavòrta te posso fa’ solo i complimenti, e poi c’avemo un letto più grande der nostro…nun so se me so’ spiegata».

Ilaria ha soffiato le ultime parole come una gatta ammaliatrice. Marco è al settimo cielo, sta per replicare alla moglie, ma davanti a lui si materializza Cristian. Il figlio guarda il padre con occhi diversi rispetto a quelli esaltati di poco fa. Gli allunga il suo smartphone.

«A pa’, me so messo a fa’ ‘n po’ de foto e ho tentato de mandalle all’amici mia, ma er telefono non prende, da nessuna parte».

Ilaria e Martina Liberati, come richiamate da un segnale silenzioso per quanto potente, drizzano le orecchie alle parole del figlio-fratello, con gesti veloci si dirigono ai rispettivi smartphone.

Marco, dalle parole del figlio, ha cambiato occhi. Ora attende l’esito della ricerca segnale della moglie e della figlia con tensione, anche se fa di tutto per non farla notare.

«Pa’, c’ha ragione er deficiente, er telefono non prende».

«Marco non c’è linea».

Figlia e moglie scrutano il padre-marito con ansia crescente. Lui alza le spalle, sorride: «Ma ve pare che ‘na villa de ‘sto livello c’ha probblemi de segnale, date qua». Marco si fa consegnare la flottiglia di telefoni dei suoi consanguinei, poi a grandi falcate lascia la stanza e si dirige in quella prospiciente. Con ampi gesti delle braccia inizia a cercare campo, controlla uno a uno i display dei tre smartphone che gli hanno consegnato. Il suo sguardo dice tutto. Segnale zero.

Altre ampie falcate. Nella terza stanza del secondo piano. Altri gesti ampi con le braccia. «Guarda che er segnale mica se carica a manovella, è inutile che fai tutto ‘sto movimento».

Ilaria ha gelato tutta la fatica che sta facendo suo marito, perché nel frattempo, tra ampie falcate e ampi gesti delle braccia, ha iniziato a sudare come un disgraziato. Lui smette immediatamente qualsiasi gesto.

Marco abbandona anche questa stanza, con volto scuro e senza dir nulla, mentre gli occhi di moglie e figli si cercano e trovano, sembrano dirsi: è sempre il solito stronzo. Al piano terra, una stanza per volta, poi in tutto il giardino, poi ancora sulla spiaggia riservata della villa da sogno fittasi periodi estivi.

Una vacanza d’inferno

Quando Marco Liberati torna da sua moglie e dai suoi figli andrebbe semplicemente abbracciato e rincuorato. Del ragazzo raggiante non è rimasto niente. Ora c’è un uomo sull’orlo di una crisi nervosa, affannato, sfatto, sfranto. Non trova le parole per comunicare quello che deve.

«Purtroppo… ho provato ovunque, ovunque, ma nun se pia ‘n cazzo, nessun gestore. Zero». Ilaria, Cristiano e Martina, guardano quello che una volta era un loro amato familiare. A parlare, inaspettatamente, è la più piccola. «E ora papà? Come facciamo?».

Parole come frustate sulla schiena. Date con la stessa feroce determinazione. Marco Balbetta.

«Amore de papà, e mo troveremo ‘na soluzione». «Appunto, trova una soluzione, sennò che cazzo famo pe’ du’ settimane».

Altre parole come frustate, questa volta è Cristian a darle al padre.

Lui è piegato, piagato, poi un’illuminazione improvvisa, riprende vigore, slancio: «Mo chiamo a coso, quello de poco fa, come cazzo se chiamava, ‘na soluzione ce la deve trova’… eccheccazzo».

«Quello è l’agente immobiliare e si chiama Alfredo. Chiamalo». Le ultime parole, il colpo di grazia, sono per bocca di sua moglie Ilaria.

Marco corre di nuovo fuori al giardino. Ilaria, Cristiano e Martina restano ad aspettarlo nel salone doppio.

Intanto sorseggiano una Schweppes al limone presa dalla borsa frigo. Sorseggiano e si guardano, sempre senza dire nulla. Un passo alla volta, a capo chino, come un uomo diretto al suo plotone d’esecuzione, senza nemmeno un ultimo desiderio che sia uno.

Marco riguadagna il salone doppio, gli occhi piantati nelle fughe del pavimento, un bel cotto pregiato. Non parla.

«Non c’è soluzione, vero?».

È sempre Martina la prima a parlare, ha le mani sui fianchi, il mento alto.

Marco non risponde.

«Come ar solito, ‘na vacanza d’inferno, vero papà?». La cadenza non muta: ora è stato Cristiano a infliggere i suoi colpi. «Quanno uno nasce stronzo, rimane stronzo». La croce è piantata da Ilaria.

«So’ dovuto annà pe’ strada pe’ trova er segnale, m’ha detto che tutta la zona c’ha sto problema… ma che gli ospiti della villa poi se abituano, anzi, chi viene qui lo fa pure perché così nessuno lo disturba, ce vengono pure un sacco de vip qui, proprio pe’ questo».

Prima Martina, poi Cristian, infine Ilaria.

La famiglia abbandona il salone doppio, diretta alle stanze superiori, lasciando Marco al proprio destino.

Lui resta immobile, poi, con dignità, piccole lacrime iniziano a scendergli lungo le guance. I suoi occhi vanno al bel soffitto della villa da sogno fittasi mesi estivi, ma in realtà guardano oltre. È il Supremo che cercano. «Tu me devi dì perché cazzo hai inventato l’estate».

 

© Riproduzione riservata