Sono sempre di più i ricettari che si avvalgono dell’aiuto più o meno esplicito di modelli. Si tratta soprattutto di quelli incentrati su mode del momento e a basso sforzo autoriale: le ricette non sono protette dal diritto d’autore, che tutela solo i modi creativi in cui sono scritte
L’intelligenza artificiale come un microonde o un roner. A fare questo paragone è stato il basco Eneko Atxa, chef di Azurmendi, ristorante con tre stelle Michelin da dieci anni, che sul palco di “Madrid fusion” ha raccontato come si è approcciato a tecnologie in grado di rivoluzionare la cucina e non solo.
Da tempo, ormai, intelligenze artificiali generative, come ChatGpt, Gemini e Claude, stanno imparando ogni piega del sapere umano, comprese le ricette. I primi libri sono già comparsi: negli Stati Uniti diversi ricettari sono stati segnalati come scritti dall’intelligenza artificiale. Non mancano gli esempi anche in Italia, spesso ispirati dalle mode del momento, a basso sforzo autoriale e autoprodotti. In alcuni casi lo si dichiara apertamente, come La Cucina Intelligente: Il primo libro di ricette ispirate da ChatGpt di Valentino Banfi (autore con all’attivo solo questa pubblicazione). In altri, invece, si cerca di dissimularlo: un esempio potrebbe essere Ricette friggitrice ad aria di Laura Comaschi che è autoprodotto, con ricette stringate, senza immagini e con un’autrice che ha una foto su Amazon presa da qualche archivio stock, visto che compare associata a nomi diversi sul marketplace e persino a un sito spagnolo di promozione dei necrologi.
Ma come sono queste ricette preparate da un cervello elettronico? I primi tentativi sono stati buoni, ma con un particolare: «Manca l’anima», hanno dichiarato gli esperti del New York Times dopo aver assaggiato un menù del Ringraziamento preparato dall’Ia. Oltre all’essenza del piatto, però, ci sono anche altri aspetti che vanno considerati, specie per i ricettari, come i diritti d’autore delle ricette che vengono preparate dall’intelligenza artificiale e il loro posizionamento in un mercato editoriale già oggi saturo, per il quale possono anche rappresentare una minaccia esiziale.
Il diritto d’autore
L’intelligenza artificiale rappresenta una rivoluzione nel sapere umano, non solo in cucina, e soltanto da pochissimo stanno arrivando i primi provvedimenti normativi.
«Con le più recenti evoluzioni i software di Ia sono effettivamente in grado (la maggior parte delle volte con il contributo dell’intelligenza umana) di generare contenuti con un rilievo per il diritto d’autore e quindi da tutelare. In Italia resta valida la legge del 22 aprile 1941 n. 633 e al momento non ci sono disposizioni specifiche per le opere create da intelligenza artificiale. L’Unione europea ha invece adottato l’Ai Act, che tenta di limitare fortemente l’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale, specie quelli ritenuti più “pericolosi” ed “incontrollabili”», dichiara Giovanni Adamo, avvocato cassazionista con studio a Bologna e cultore della materia presso Cattedre civilistiche dell’università felsinea, specialista di Diritto d’autore e intelligenza artificiale.
A questo proposito la posizione dell’Unione europea è quella di «ritenere che le opere create dall’Ia senza intervento umano significativo non possano essere protette dal diritto d’autore, in quanto prive di originalità umana. Tuttavia, se un umano contribuisce in modo significativo alla creazione dell’opera, allora potrebbe effettivamente ricevere protezione», chiarisce l’avvocato. Per il mondo delle ricette, invece, va fatta una distinzione. Per quelle autoriali Adamo ricorda la sentenza del 2013 del Tribunale di Milano, Sezione Imprese, che sottolineò come le ricette gastronomiche possono essere oggetto di tutela «laddove frutto di una ricerca personale, originale e creativa» di chi le ha scritte contro eventuali utilizzi abusivi e riproduzioni cartacee.
Discorso diverso, invece, per le altre. Come spiega Laura Turini, avvocato specializzato in proprietà industriale e nuove tecnologie con studio a Firenze e autrice del libro A chi spettano i diritti sulle opere dell’intelligenza artificiale (2024), «se ad esempio per fare il pesto servono basilico, aglio, pinoli, parmigiano, pecorino e sale, io posso descrivere la procedura per realizzare il pesto con modi, linguaggi e forme di racconto che girano intorno all’uso di questi ingredienti e alla loro miscela. Ho i diritti d’autore solo se è sufficientemente creativa, perché chiunque nel mondo può scrivere la sua ricetta in un modo diverso dal mio. Lo stesso vale per l’intelligenza artificiale».
Il tema lascia molte questioni irrisolte: una di queste è se le opere autoriali possano essere usate per “allenare” l’intelligenza artificiale, in modo tale da farle produrre output realistici ed evitare le allucinazioni, cioè risultati che non sono basati sulla realtà o su verità oggettive. «Il tema è centrale, perché l’Ia ha bisogno di tantissimi dati di addestramento. Negli Usa al momento ci sono dieci cause pendenti tra i titolari di diritti d’autore, che pretendono di essere pagati quando vengono usate le loro opere, e gli sviluppatori, che sottolineano che non possono pagare tutti i dati che utilizzano, perché rischierebbero di fermarsi. Queste cause avranno importanti ripercussioni a livello tecnologico ma soprattutto economico. In Italia, al contrario della Gran Bretagna, si procede verso la soluzione di pagare i diritti agli autori, che hanno anche la possibilità di usufruire del diritto di opt-out, cioè esprimere il loro dissenso a veder usate le loro opere per il training», sottolinea Turini.
Il diritto d’autore può scattare anche in caso di opera derivata, cioè di output prodotti dall’Ia che fanno chiaramente riferimento a opere protette dal diritto d’autore. “Per queste circostanze la giurisprudenza non si è ancora espressa: bisogna valutare caso per caso e capire l’entità del contributo umano, come si sta facendo nelle cause in corso negli Stati Uniti. Il modo nel quale l’Ia rielabora le informazioni è simile al processo di lavorazione della cartapesta, dove si frantuma, si rimescola, si rilavora e si produce un risultato con qualcosa dell’originale, che però è indistinguibile”, dichiara Turini. Ma se da una ricetta sbagliata dell’Ia nascessero dei problemi, chi ne risponderebbe? Secondo Adamo a risponderne sarebbe chi lo utilizza, «poiché su di lui incombe l’onere di vigilare e controllare l’output», ma anche la filiera potrebbe avere le sue colpe. «Per questa ragione gli sviluppatori prevedono delle condizioni d’uso che sottolineano il carattere sperimentale dell’Ia: la volontà è quella di evitare il più possibile tali responsabilità», sottolinea Turini.
L’editoria senza l’Ia
L’intelligenza artificiale rappresenta un serio competitor per tutte quelle case editrici che ogni anno pubblicano tantissimi ricettari, scritti da professionisti del settore o anche frutto di un lavoro di redazione.
Un esempio è Slow Food editore, che nel 2023 ha venduto 120 mila copie e ogni anno pubblica circa 40 titoli nuovi. A curare i ricettari pubblicati dalla casa editrice è Federica Vizioli. «Abbiamo ricettari curati da noi, altri che sviluppiamo con gli autori e poi ci sono le traduzioni di libri stranieri, che ovviamente rispettano i princìpi di Slow Food, come la stagionalità. Quello di cui mi occupo è la scrittura e la cura delle ricette come quelle delle Osterie, su cui Slow Food ha una guida, che ci arrivano spesso in via orale o per messaggio».
Un passaggio importante, nel quale c’è anche uno studio di quello che arriva: «Prima di trascriverla valuto le proporzioni della ricetta e discuto anche con chi l’ha trasmessa perché tutto sia giusto», sottolinea Vizioli. Questo segna la differenza tra uomo e macchina. «Aspetti come l’approfondimento editoriale, la qualità, il lavoro dell’editor nel capire il contesto, il target a cui si fa riferimento, l’attendibilità delle fonti sono qualcosa che l’Ia non può fare propri», rimarca Vizioli. Il mercato editoriale è ad oggi saturo, «e l’aggiunta di pubblicazioni a piccolo prezzo privi di spiccate qualità certo non è una cosa positiva.
L’Ia può aiutare molto, ma non so se può veramente entrare in modo così massiccio nelle redazioni», dichiara la curatrice dei ricettari di Slow Food. In una casa editrice la pubblicazione di un libro segue determinate fasi: «I progetti vengono valutati dalla nostra direttrice editoriale, che valuta le ultime tendenze, e poi si cerca un po’ cosa è stato prodotto sull’argomento. In seguito, si stende un timone del libro, con quello che abbiamo, e valutiamo cosa aggiungere; si definiscono le fotografie e poi viene montato il libro. Infine, si va nel dettaglio, scrivendo concretamente le ricette, a volte di proprio pugno, a volte chiedendo: molte infatti vengono attribuite, anche a persone comuni, magari appassionate di cucina», svela Vizioli.
Gli errori sono sempre possibili. «Può succedere che ci siano magari refusi, come cifre sbagliate oppure unità mancanti, oppure fattori esterni che possono influire, come l’umidità. Noi proviamo sempre a metterci nei panni dei lettori, che comunque sono sempre gentilissimi e ci segnalano le imprecisioni», conclude. L’approccio umano fa ancora la differenza.
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