- A quasi ottant’anni di distanza, la più grande scoperta archeologica del secolo scorso continua ad appassionare e a riservare novità. Anche al di là della cerchia, relativamente ristretta, degli specialisti.
- È la fine di luglio del 1946 quando inizia la lunga storia dei manoscritti del Mar Morto, grazie a un ritrovamento casuale in una grotta della località desertica di Qumran, sulle sponde nordoccidentali dell’ebraico «mare di sale», uno dei luoghi più desolati di tutta la terra. Lì, secondo il racconto biblico, le città di Sodoma e Gomorra vennero distrutte da una pioggia di zolfo e fuoco.
- La vicenda, dai risvolti romanzeschi, coincide nei suoi primi anni con quella drammatica di uno degli avvenimenti chiave dell’epoca contemporanea: la nascita dello stato d’Israele.
A quasi ottant’anni di distanza, la più grande scoperta archeologica del secolo scorso continua ad appassionare e a riservare novità. Anche al di là della cerchia, relativamente ristretta, degli specialisti.
È la fine di luglio del 1946 quando inizia la lunga storia dei manoscritti del Mar Morto, grazie a un ritrovamento casuale in una grotta della località desertica di Qumran, sulle sponde nordoccidentali dell’ebraico «mare di sale», uno dei luoghi più desolati di tutta la terra. Lì, secondo il racconto biblico, le città di Sodoma e Gomorra vennero distrutte da una pioggia di zolfo e fuoco.
La vicenda, dai risvolti romanzeschi, coincide nei suoi primi anni con quella drammatica di uno degli avvenimenti chiave dell’epoca contemporanea: la nascita dello stato d’Israele. Le due storie sembrano solo svolgersi in parallelo, negli stessi tempi e negli stessi luoghi, ma in realtà sono strettamente intrecciate e mostrano quanto – nella terra che milioni di uomini considerano santa – l’archeologia sia strettamente legata alla politica.
Il senso politico dei manoscritti
Ben Gurion, uno dei padri dello stato che stava per nascere, coglie quasi subito il significato anche politico dei manoscritti: le antichissime pergamene costituiscono una delle prove che gli ebrei sono di nuovo nella loro patria. La portata della scoperta, decisiva per la storia della Bibbia e dell’ebraismo, è poi enorme, come subito si percepisce.
Accanto agli scopritori, alcuni beduini della tribù dei Ta’amireh, entrano così in scena mediatori e mercanti, vescovi orientali e religiosi cattolici, archeologi e politici, giornalisti e mecenati, ma anche spie e truffatori. Una miscela affascinante per immaginare trame e complotti in romanzi più o meno riusciti, dove imprevedibili alleanze tra Israele e il Vaticano cercherebbero di bloccare rivelazioni sconvolgenti per le origini del cristianesimo.
Ma la fantasia viene superata dalla realtà. La scoperta si rivela sensazionale. Alla fine dei grandi ritrovamenti, che si protraggono fino al 1961, i testi sono ben novecento e i manoscritti – molto spesso ridotti a frammenti, a volte non più grandi di un’unghia – ammontano a circa quindicimila. Copiati soprattutto in ebraico e aramaico ma anche in greco, sono molto antichi: risalgono infatti a un’epoca che va dal III secolo prima dell’era cristiana fino alla distruzione del tempio di Gerusalemme. Due anni prima, nel 68, i legionari di Vespasiano e di Tito distruggono Qumran.
L’importanza dei manoscritti del Mar Morto, ormai quasi tutti pubblicati e tradotti nelle principali lingue – in Italia, la raccolta più attendibile è quella dei Testi di Qumran (Paideia) curati da Florentino García Martínez e Corrado Martone – è data dal loro contenuto: si tratta dei più antichi esemplari di molti libri biblici, ma anche di commenti, di opere apocrife, apocalittiche e normative. Soltanto il libro di Ester è assente in questa biblioteca, dove figurano anche testi conservati per intero, come il celeberrimo rotolo di Isaia, più antico di circa tredici secoli di quello fino ad allora conosciuto.
I giornali se ne accorgono
Quasi due anni dopo la casuale scoperta dei primi manoscritti, ormai alla vigilia della proclamazione dello stato d’Israele, i giornali si accorgono della scoperta. Il primato spetta al londinese The Times, che il 12 aprile 1948 nelle pagine culturali centra in pieno la notizia con il titolo “Trovati in Palestina antichi manoscritti. Una copia del libro di Isaia”. Due settimane più tardi, il 25 aprile, è la volta del New York Times, dove si legge di dieci rotoli.
Passano quarantotto ore e The Palestine Post informa – grazie a un’intervista con l’archeologo di origine polacca Eleazar Sukenik, uno dei protagonisti della storia – che l’Università Ebraica di Gerusalemme è entrata in possesso di tre rotoli, il cui significato politico viene colto perfettamente dal giornale. Come appunto avevano capito Ben Gurion, ma anche Albert Einstein.
Da quel momento articoli e pubblicazioni si moltiplicano: libri divulgativi di successo, traduzioni, edizioni critiche, una rigorosa rivista scientifica, La Revue de Qumran, che si pubblica dal 1958, e molto più tardi un ricchissimo sito (orion.mscc.huji.ac.il), tutti ovviamente focalizzati per lo più sui manoscritti e sul loro contenuto. Ma nessuno ha raccontato nei dettagli la storia della scoperta e il suo intreccio con la nascita dello stato d’Israele. A farlo è ora un biblista spagnolo, Jaime Vázquez Allegue, in un libro (Los manuscritos del Mar Muerto, Arzalia) avvincente più di un romanzo e che meriterebbe un film alla Indiana Jones prima maniera.
Il libro di Vázquez Allegue
L’autore, specializzatosi a Gerusalemme e che per decenni ha studiato la comunità di Qumran, ha deciso di lasciare sullo sfondo i manoscritti – che hanno rivoluzionato la storia della Bibbia, dell’ebraismo e delle origini cristiane – e di raccontare le vicende rocambolesche della loro scoperta. Fino ad arrivare alla presentazione, nel 1956, del testo più misterioso: un rotolo inciso su fogli di rame che descrive dov’è sepolto il favoloso tesoro del Tempio, alludendo a un altro scritto mai ritrovato.
Rivive così un intero decennio fitto di colpi di scena in uno scenario politico ribollente che Vázquez Allegue ricostruisce in una «narrazione letteraria» di oltre cinquecento pagine. E queste scorrono, trascinanti come un torrente nel deserto, superando da una parte l’immaginazione plausibile del romanzo storico e dall’altra le asperità dei dati reali, che tuttavia lo studioso spagnolo conosce nei dettagli e incastona nel libro. Le scoperte sono poi continuate, ma dalle ultime campagne di scavi tra il 2011 e il 2012 non si sono trovati altri manoscritti. E non sono mancate truffe milionarie.
Chi erano gli abitanti di Qumran che in undici grotte hanno messo in salvo una biblioteca che permette di risalire ai tempi di Gesù e alla catastrofe del giudaismo antico? Quasi tutti gli studiosi li identificano con il gruppo giudaico degli esseni, descritti da autori sia pagani che ebrei. Filone, Plinio il Vecchio e Flavio Giuseppe li descrivono come appartenenti a comunità ascetiche, quasi antenati dei monaci cristiani che vivranno in queste regioni.
Le scoperte precedenti
Ma le scoperte di Qumran hanno precedenti, in circostanze molto simili. Il vescovo Eusebio di Cesarea racconta agli inizi del IV secolo il ritrovamento a Gerico – che dista pochi chilometri da Qumran – di una traduzione greca dei Salmi trovata «in una giara» al tempo di Caracalla (cioè tra il 211 e il 217). Molto più tardi, intorno all’anno 800, il patriarca nestoriano Timoteo I riferisce che un cacciatore arabo entrò «in una grotta nei dintorni di Gerico» alla ricerca di un suo cane e vi trovò «molti libri» dell’Antico Testamento e altri «in scrittura ebraica».
Oscuro e drammatico è un terzo episodio, raccontato da Vázquez Allegue. Tra il 1878 e il 1884, l’antiquario Moshe Shapira vende al British Museum alcuni manoscritti biblici ritrovati sulla costa nordoccidentale del Mar Morto da un gruppo di beduini, ma un paleografo dichiara che si tratta di falsi. Nascono accuse e polemiche, l’antiquario viene ritrovato morto in un albergo di Rotterdam e da allora i reperti scompaiono.
Più o meno negli stessi anni in cui si svolgeva la vicenda di Shapira era però iniziato il grande movimento ebraico di ritorno nell’antica terra d’Israele: circa mezzo milione fino al 1938, quando il male della persecuzione nazista – una distruzione, shoah in ebraico – inizia ad abbattersi in Europa sul popolo ebraico. Una tragedia che annienta sei milioni di ebrei e rafforza il progetto, in gestazione da decenni, di costituire lo stato di Israele nella terra d’origine, amministrata dai britannici dopo la dissoluzione dell’impero ottomano.
Il 22 luglio 1946 una devastante esplosione fa saltare in aria l’ala meridionale del King David Hotel, cuore, a Gerusalemme dell’amministrazione britannica in Palestina: quasi cento sono i morti e una cinquantina i feriti. Organizzato dal braccio armato del movimento sionista, l’attentato accelera il processo che meno di due anni più tardi porta alla proclamazione dello stato d’Israele.
Proprio negli stessi giorni tre giovanissimi beduini alla ricerca di una capra infilatasi in una delle grotte di Qumran – incredibilmente quasi la stessa scena descritta oltre un millennio prima dal vescovo Timoteo I – trovano in un recipiente cilindrico di ceramica protetto da un coperchio i primi manoscritti di Qumran. E non per caso il Santuario del libro dove a Gerusalemme questi sono ora conservati ha la forma di quel coperchio.
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