Oggi non mi servono aneddoti, perché tanto di storielle ne abbiamo a bizzeffe. Penso che tutti possiamo capire di cosa parliamo quando parliamo di vittimismo in politica.

Un sottoinsieme particolarmente fastidioso del vittimismo in politica è il vittimismo di potere: si verifica quando chi si trova in cima assume la posa del martire. Procederei a un’analisi strategica di questo paradosso adottato soprattutto dalle destre, specie da quelle un po’ estreme.

Contraddittorio

Non è raro osservare individui o gruppi che detengono un potere significativo e che assumono atteggiamenti o linguaggi tipici dell’autocommiserazione.

A prima vista, la combinazione appare contraddittoria: come può una persona o un gruppo di potere presentarsi in quel modo? Eppure avviene. Lo sappiamo fin dalla scuola media: il bullo che piange. Solo che le istituzioni democratiche non dovrebbero essere la scuola media.

Il potere è di solito definito come la capacità di influenzare e controllare risultati, decisioni e comportamenti, mentre la posizione della vittima implica mancanza di controllo, sofferenza e oppressione. Il secondo concetto invoca empatia, oltre a fornire una naturale superiorità morale e a determinare una relativa protezione dalle critiche. Quando queste due posizioni si combinano, il soggetto sta tentando esercitare il proprio potere in maniera in realtà piuttosto estesa e massiccia.

Il vittimismo, in questo caso, non è rivolto per forza a una vera oppressione, ma si fonda sulla percezione (vera o recitata) di essere minacciati o danneggiati. Le persone di potere possono interpretare dei cambiamenti nelle norme sociali o nel panorama politico come sfide alla loro supremazia, e presentare tali sfide come ingiustizie subite. Questo consente di mantenere il controllo, assumendo al contempo una legittimazione morale.

Perché funziona

Ci sono diverse ragioni strategiche per cui entità di potere possono adottare una postura vittimistica. L’ottenimento dell’immunità morale e la deviazione del biasimo è uno dei principali vantaggi.

Chi è percepito come vittima viene trattato con maggiore indulgenza, poiché le sue azioni sono viste come difensive anziché offensive. Si crea l’impressione che il dissenso sia ingiustificato o addirittura oppressivo. Si promuove l’idea che chi si oppone al potere è, sotto sotto, il vero carnefice.

Aziende o politici sotto esame per decisioni controverse possono adottare una retorica che li dipinge come bersagli attaccati ingiustamente. La “vittima” diventa un difensore dei valori fondamentali e della libertà. La postura vittimistica tende poi a provocare una mobilitazione di sostegno. Può suscitare forti risposte emotive: compassione, sgomento o indignazione.

Il potere può sfruttare queste emozioni per rafforzare il consenso. Il fenomeno è evidente nella politica populista, dove i leader che già posseggono una notevole influenza si presentano come assediati dalle élite, dai media, da organismi internazionali.

Assumendo il ruolo di oppressi, consolidano il loro elettorato, dipingendosi come campioni non solo del popolo, ma anche delle emozioni comuni, contro le ingiustizie perpetrate da un non meglio precisato establishment dal cuore di pietra. In casi estremi, il vittimismo può arrivare a legittimare azioni aggressive.

Se la “vittima” riesce a convincere di trovarsi sotto minaccia, le sue azioni prepotenti possono essere percepite come inevitabili. La tattica è comune nelle relazioni internazionali: l’atto di giustificare azioni militari presentandosi come vulnerabili o assediati.

Adottare una narrativa vittimistica può essere anche uno strumento per deviare l’attenzione dalla realtà. Questo avviene spesso negli scandali aziendali, dove le società si presentano come perseguitate dalla regolamentazione o dai concorrenti troppo aggressivi.

La strategia del vittimismo di potere come ovvio comporta dei rischi. A parte il caso in cui si ritorca contro chi l’ha adottata, c’è il fatto che la strategia promuove una visione conflittuale delle relazioni sociali e politiche.

Se entrambe le parti di una disputa si presentano come vittime, diventa difficile avviare un dialogo e trovare compromessi. Il vittimismo uccide le negoziazioni.

Nel lungo termine questo atteggiamento del potere modifica la società nel suo complesso. L’uso ripetuto della strategia appena descritta si traduce via via in una cultura della diffidenza.

La ricerca del consenso democratico viene sostituita dalla lotta per la supremazia morale. In tal senso, la manipolazione vittimistica può trasformare le istituzioni in arene di ostilità pressoché ininterrotta.

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