- Quando Fiorello a Viva Raiplay, ha lanciato l’idea di intitolare a Luciano Rispoli l’anonima Sala A di via Asiago mi è sembrata un’idea geniale
- Rispoli aveva un’etica ferrea (mai rubare tempo al pubblico ma arricchirlo): ha sempre proposto format all’insegna della estrema civiltà, del buon gusto, del senso della misura
- Entrato in Rai nel 1954, quello di Rispoli era un intrattenimento per il vasto pubblico, ma sempre con suggestioni colte, apporti di grandi accademici, personaggi qualificati
La sera in cui il grande Fiorello, ospitandomi – bontà sua – a Viva Raiplay, ha lanciato l’idea di intitolare a Luciano Rispoli l’anonima Sala A di via Asiago, per quanto il popolare conduttore calabrese amasse maggiormente la televisione, mi è sembrata un’idea geniale.
Non così all’attonito direttore di Radio Rai, seduto in platea, che forse non sa chi sia stato davvero Rispoli; ovvero l’inventore di quella radio moderna su cui moltissimi vivono di rendita. Non si capisce perché pur meritevoli dirigenti come Biagio Agnes, soubrette come Raffaella Carrà, produttori di spettacoli come Bibi Ballandi o presentatori come Fabrizio Frizzi abbiano avuto l’onore dell’apparentamento del loro nome a un luogo simbolico (addirittura interi complessi produttivi) della Rai, e un nobile sostenitore del migliore servizio pubblico debba essere ignorato.
Un inventore impavido
A novant’anni dalla nascita (12 luglio 1932) di quello che divenne per tutti, su intuizione della cantante pianista Rita Forte al celeberrimo Tappeto volante su Telemontecarlo, lo “zio” Luciano degli italiani, ho ritenuto utile scrivere un libro che ne rievocasse vita e attività professionale-artistica. Ne parlo, derogando alle più ovvie norme di fair play, solo perché questo genere di pubblicazione non ha – e lo si può intuire – fini di lucro, bensì di documentazione e doveroso monito.
Il volumetto, apprezzato dalla famiglia, dalla moglie e dai figli, oltre che dai molti che ancora rimpiangono le sue trasmissioni, s’intitola Ma che belle parole! Luciano Rispoli: il fascino discreto della radio e della Tv (ed. Vallecchi Firenze) e rievoca la formidabile parabola professionale di un uomo che in oltre un sessantennio ha dedicato il 95 per cento delle sue energie alla professione, tra radio e televisione, inseguendo un’etica ferrea (mai rubare tempo al pubblico ma arricchirlo) e proponendo format all’insegna della estrema civiltà, del buon gusto, del senso della misura. Ma non basta, anche se è già moltissimo.
Rispoli è stato un inventore impavido, oltre che un talent scout del valore commisurato ai nomi di Raffaella Carrà, Paolo Limiti, Antonio Lubrano, Gianni Boncompagni, Maurizio Costanzo, Paolo Villaggio, Paola Saluzzi, Livia Azzariti…
Molte cose, oltre all’intitolazione di un luogo simbolo di quella Rai a cui ha dedicato quarant’anni di vita, non gli vengono naturalmente riconosciute e forse è arrivato il momento d’invertire la tendenza. La smetta, mamma Rai di fare figli e figliastri. A parte il fatto che in quel serbatoio della memoria televisiva dei soliti noti (sempre gli stessi!) che è Techetechetè è apparso per pochi secondi e sembrerebbe quasi per sbaglio, laddove avrebbe meritato almeno nel giorno della dipartita un congruo ricordo, dobbiamo cominciare a ribadire che fu lui a inaugurare la radio come la conosciamo oggi. Ideò e tenne a battesimo format come Chiamate Roma 3131, dove per la prima volta protagonisti erano i radioascoltatori con la loro viva voce, Bandiera gialla (suo il titolo), La Corrida, Gran varietà.
E l’uso spregiudicato, coraggioso, rivoluzionario del telefono ha condizionato, ibridato, favorito anche moltissima televisione; non solo per “gli aiutini” richiesti nei giochi con le bocce di fagioli, ma anche per una trasmissione storica e pregevole come Telefono giallo, dove le rivelazioni dei telespettatori in linea erano alla base della ricostruzione di casi di cronaca importanti. Pensiamo a Ustica.
Popolare e colto
Intrattenimento popolare, quello di Rispoli, alla portata di un vasto pubblico indifferenziato, ma sempre con suggestioni colte, apporti di grandi accademici, personaggi qualificati. Entrato in Rai nel 1954 per concorso, previo provino del mitico Vittorio Veltroni, da radiocronista esordiente batté l’Italia in lungo e in largo (facendo debuttare persino un giovanissimo Pippo Baudo) al seguito delle Radiosquadre, dove aveva militato anche Enzo Tortora, per le quali organizzava spettacoli di piazza coi talenti locali. Per convincere gli italiani a fidarsi della Rai e a sottoscrivere l’abbonamento. Un vero padre fondatore della Rai, dunque.
Passato alla tv, si deve a Luciano Rispoli l’invenzione di quello che il Radiocorriere definì, l’articolo è di Giuseppe Tabasso, il primo talk show: L’Ospite delle due, realizzato con ospiti della statura di Carlo Rambaldi, Mario Bava, Renato Carosone, Ingrid Bergman, Amedeo Nazzari, teneva compagnia agli italiani durante i pomeriggi di tarda austerity. Era il 1975 e Bontà loro di Costanzo arrivò l’anno dopo.
Ai primi degli anni Ottanta portò gli ospiti a tavola, a Pranzo in Tv, il primo dinner talk della televisione con buona pace di Maria Latella che ne fa uno identico oggi su Sky. Ma il successo ampio, granitico, oceanico arrivò con le tre edizioni (1985-88) di Parola mia, magnifico talent show della lingua italiana su etimologie, modi di dire, definizioni, belle pagine della letteratura, testi stilati in diretta da concorrenti universitari. Giudice-arbitro della gara in cui si vincevano enciclopedie era un docente, divenuto presto una star accademica, Gian Luigi Beccaria.
Solo per questo format mammastra Rai dovrebbe riconoscergli ciò che gli spetta di diritto. Rispoli è mancato sei anni fa esatti, in una ideale antologia di Spoon River del piccolo schermo lo immaginiamo puntare il dito verso quei dirigenti distratti, insensibili, (forse ignoranti?), che badano più all’emotività e al tornaconto immediato di chi è abituato a cavalcare l’onda che a perseguire un ideale di correttezza e giustizia.
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