In tutta onestà. Tanto prima o poi si capirebbe. Se non è già chiaro. Non sono un esperto di Formula 1. Forse se Gilles Villeneuve non fosse morto quando avevo 16 anni, non mi sarei raffreddato. Della F1 non mi piacciono le macchine, mi piace guardare gli uomini che le guidano. Non so distinguere un pistone da un ammortizzatore. Ma due che si amano: sì. Questi due. Per esempio.
Lui si chiama Jochen Rindt, in questa foto ha 28 anni. È un tedesco che corre con una licenza austriaca perché i suoi genitori sono morti sotto un bombardamento ad Amburgo durante la seconda guerra mondiale quando lui è ancora piccolissimo. È cresciuto con i nonni che abitano a Graz. Raccontano che si presentasse a scuola sfrecciando su un monopattino di legno. Ha ereditato l’attività di suo padre e l’ha venduta per fare il pilota.
Lei si chiama Nina e con la stessa onestà di prima è bellissima. Di un anno più giovane, finlandese, fa la modella ma negli anni 60 si dice indossatrice. È la figlia di Curt Richard Lincoln, un signore straricco che di Rindt è stato l'anziano rivale in certe categorie inferiori all'inizio della sua carriera. Si sa come vanno certe cose. Ciao, come ti chiami, usciamo, chi lo dice a tuo padre, ci sposiamo.
Si sposano nel 1967, l'anno dopo nasce Natascha, due anni ancora e arriva questa foto. Quando viene scattata, Jochen ha corso 60 gran premi di Formula 1 e ne ha vinti sei. Ha una carriera bizzarra. Prima di vincere si è ritirato 31 volte in 49 corse. Quattro dei suoi sei successi sulla Lotus sono invece arrivati tutti di fila, nei 4 appuntamenti che hanno preceduto la foto e la gara per la quale si sta preparando. Con Nina che ha il bloc notes e il cronometro per prendergli il tempo. Siamo a Zeltweg, Stiria, la sua Austria. «È troppa questa fortuna», le sta dicendo lui, «comincio a preoccuparmi perché potrebbe finire».
Il terzo protagonista della foto è l’uomo che non vediamo, quello che sta dalla parte nostra e fa clic, si chiama Rainer Schlegelmilch, diventerà uno dei fotografi più famosi di Formula 1 | Qui si trova il suo sito personale | Dopo aver studiato fotografia d'arte alla Bavarian State School of Photography, ha capito che cosa voleva diventare. Era finito casualmente al circuito del Nürburgring nel 1962. Da quel momento gli vengono attribuite 415 mila fotografie di automobilismo. Sono magnifiche. Pochi altri sport ne hanno di più belle. Pochi sport hanno uno scarto così evidente tra le foto d’epoca e quelle contemporanee.
«L'età dell'oro della F1» ha raccontato Schlegelmilch in una intervista a ESPN una dozzina d’anni fa «è stata quella della mia fase iniziale da fotografo. Tutto ciò che fai quando sei giovane pensi che sia il massimo». Per essere precisi, dirà che considera l’età dell’oro quella tra il 1962 e il 1969, gli anni in cui le sue foto erano in bianco e nero. A partire dal 1970 stava crescendo la richiesta di immagini a colori, Schlegelmilch ha dovuto cambiare la propria maniera di lavorare e non si è più sentito del tutto a suo agio. Oggi ha più di 80 anni. Ha esposto i suoi lavori in 34 mostre, tre solo su Rindt.
Quando Schlegelmilch ritrae i Rindt innamorati, siamo nella settimana di Ferragosto 1970. La pista di Zeltweg, la stessa del GP di domenica, è stata appena costruita perché sostituisca il circuito dell’aeroporto militare lì vicino. Sta per ospitare la prima gara della sua storia e Jochen sta per correre l’ultima gara della sua vita. Ma non lo sa. Stavolta non la vince. Fa la pole position ma al ventunesimo dei 60 giri in programma, “quando era in quarta posizione e stava forzando la sua otto cilindri” - raccontò il Corriere della sera - il motore ha un guasto e non può più proseguire. Prima e seconda arrivano le due Ferrari. Vince Jackie Ickx, e qui ci starebbe la storia di un'altra coppia, perché dieci giorni prima, a Bruxelles, il belga ha sposato Catherine Blaton, diciannovenne ereditiera, dicono le cronache. Dietro di lui si piazza per la prima volta sul podio un giovane svizzero, Clay Regazzoni. Enzo Ferrari dice: «Così ci siamo sdebitati verso chi faceva il tifo per noi anche quando perdevamo». Si va via da Zeltweg quella sera con Rindt in testa alla classifica mondiale, 45 punti, davanti a Brabham che ne ha 25.
Venti giorni più tardi, sabato 5 settembre del 1970, dopo pochi minuti di prove a Monza, qualcuno si accorge che la Lotus numero 22 non passa più. Quando si sente la sirena dell'ambulanza, Nina si sporge per vedere che succede, ma ha già intuito. Sono le 15.20 e il leader del Mondiale è andato sbattere a 250 all'ora contro la parabolica. La macchina ha perso le ruote, il volante è volato via, Rindt è morto per un colpo allo sterno. Due mesi prima era successo a Zandvoort, in Olanda, a Piers Courage, amico suo. Rindt aveva messo per un po' il suo casco nelle gare successive. I giornali scrivono che a Monza c’è qualcuno a bordo pista che ha il coraggio di dire «adesso si riapre il Mondiale».
Il giorno dopo, la domenica, si corre infatti regolarmente. Senza la Lotus. Vince Clay Regazzoni. Al lunedì il compagno di Rindt, John Miles, figlio dell’attore Bernard, decide che per lui è troppo. È finita. Lascia la F1. Diventa primo pilota della Lotus il ragazzo che fino alla settimana precedente era il terzo, la riserva, un brasiliano di 24 anni che si chiama Emerson Fittipaldi, ma che in segno di lutto salta anche il GP del Canada, vinto da Jackie Ickx.
La Ferrari di Ickx è in rimonta nella classifica del mondiale. Il belga potrebbe vincerlo sorpassando il povero Rindt. Alla gara decisiva in America, a Watkins Glen, parte in pole position. Ma alla gara decisiva Emerson Fittipaldi ci va, si presenta. Ci va per provare a impedire che ci sia il sorpasso a Rindt. Ha alle spalle un ottavo, un quarto e un quindicesimo posto nei tre soli gran premi corsi durante l’anno. Fittipaldi non solo va. Va, vince e salva il Mondiale di Rindt.
“Ero a Monza quel sabato 5 settembre 1970, avevo 12 anni e Rindt era il mio eroe, il pilota che ha scatenato la passione per le corse, anzi, per i piloti, più esattamente”, ha scritto Giorgio Terruzzi, firma di automobilismo del Corriere della sera, due volte premio Bancarella: nel 1992 con Curva cieca - Vita di Achille Varzi (Giorgio Nada editore) e nel 2014 con Suite 200 - l'ultima notte di Ayrton Senna (66thand2nd).
| “Negli occhi di chi, come noi, era affascinato dal suo modo di vivere, di correre in un equilibrismo da controsterzo - continuò Terruzzi - resta un bacio lungo e bellissimo con Nina appena sceso dalla sua Lotus dopo la vittoria clamorosa, ottenuta a Montecarlo, e poi la nuvola di polvere e sabbia che lo portò via per sempre a Monza, il muso della Lotus disintegrato i piedi divelti nel silenzio glaciale della Parabolica; Ecclestone che cammina con in mano il casco insanguinato; Stewart che – con una delicatezza assoluta ma inutile – avvisa Nina ai box. Lei che scrutava il rettilineo deserto, trafitta da un presentimento doloroso. Nina è il nome della mia prima figlia. Non lo dico per esibizionismo. Per il nesso. Visto che il nesso c’è”.
[apparso in origine su Slalom il 2 luglio 2020 e rivisitato per Domani, in occasione del GP d’Austria del 2 luglio 2023]
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