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Gli ex sono quelli che guardano indietro. Come si chiamano le persone tenacemente ostinate a guardare avanti comunque, com’è stato tutta la vita Citto Maselli?
- Ennio Flaiano lo soprannominò il “patito comunista italiano”. È morto a 92 anni il regista che aveva fatto del cinema una missione politica: un cinema d’autore per capire il mondo di cui si è persa memoria
- Ad annunciare la sua scomparsa il segretario del suo partito di elezione, il Partito della rifondazione comunista: «La sinistra perde un intellettuale militante e un esempio di rigore e di coerenza»
Praticamente ogni momento della vita d’artista di Citto Maselli (Francesco all’anagrafe, ma a chiamarlo così neanche rispondeva) è legato a una qualche battaglia.
È complicato spiegare alle generazioni arrivate dopo i boomer, cioè alla generation X e ai millennial, tanto per abusare delle etichette correnti, cos’è stato il cinema di sinistra nella seconda metà del nostro Novecento. È complicato perché la sinistra è un oggetto poco identificabile e anche il cinema, tanto per dirla con Woody Allen, non si sente troppo bene. Gli ectoplasmi che oggi si aggirano per le nostre contrade non hanno niente a che fare con il passato.
Frivolezza
La cosa strana è che di tanti anni di frequentazione assidua con Citto il ricordo più tenero è legato a una frivolezza. Tra gli infiniti aneddoti che dispensava, tra molte risate, agli amici c’era quello della canzone composta al volo, a tarda notte, perché serviva un condimento musicale per I Delfini, il film del 1960 che stava montando.
La canzone era What a sky, e finì per diventare una hit di Nico Fidenco, voce che ha cullato gli amori di molti vecchietti di oggi. L’idea che nelle more l’impegnato Maselli riuscisse anche a improvvisarsi compositore mi ha sempre fatto sorridere. Impegnato comunque non è la parola giusta.
Comunista è il termine esatto. Essere comunista, per uno che faceva il suo mestiere, voleva dire fare cinema d’autore per leggere il mondo con uno sguardo critico e per cambiarlo, possibilmente. Quel tipo di speranza oggi ce l’hanno solo gli ultimi decani del cinema sociale, e forse nemmeno loro. «Patito comunista italiano» aveva spiritosamente definito Citto il vulcanico Ennio Flaiano: definizione che lui rievocava puntualmente con immenso divertimento.
Europeo
Cinema d’autore, diceva Maselli, è sinonimo di cinema europeo. È la sua patente di diversità dal cinema americano, nato industriale per il commercio. E precisava che il primo film dei Lumière mostrava l’uscita di un gruppo di operaie dalla fabbrica: i temi sociali sono connaturati alla nascita del cinema. Ho ritrovato un’intervista del 2021 a Gabriella Gallozzi, per BookCiak Magazine, in cui Maselli ammette serenamente anche certe limitazioni del proprio lavoro: «Le corde della commedia non le ho mai avute. E l’ho capito molto bene con i miei due unici tentativi, Fai in fretta ad uccidermi..ho freddo! e Ruba al prossimo tuo. Quando Flaiano ha visto il primo si è messo a letto malato!».
Flaiano, storico sceneggiatore di Fellini, aveva invece collaborato ai dialoghi de Gli sbandati, il suo esordio alla regia del 1955. Maselli aveva 25 anni ed era già stato aiuto regista di Visconti e Antonioni, ma aveva già chiara la propria strada: la Resistenza come sfondo, la critica antiborghese e personaggi femminili potenti.
Quando girò Gli Indifferenti, dal primo romanzo di Alberto Moravia, poté permettersi di reclutare Brigitte Bardot e Michel Piccoli perchè il successo de I Delfini aveva già varcato le Alpi. C’era nato, del resto, in mezzo agli artisti. Il padre Ercole era il critico letterario del Messaggero, sua sorella Titina era pittrice, aveva Pirandello in famiglia e a lui doveva quel nomignolo, Citto, che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.
Per casa giravano Massimo Bontempelli, Corrado Alvaro, Silvio D’Amico, Guido Piovene, Emilio Cecchi. Il salto nella politica è stato la sua aggiunta personale, e decisamente precoce. Al liceo Tasso di Roma, sotto il fascismo, si era legato a Luigi Pintor, Aggeo Savioli, Luciana Castellina, Alfredo Reichlin, Sandro Curzi. E l’ortodossia di partito, ben presto, gli è risultata una gabbia.
Vero rompiscatole
Fece scalpore nel 1970 Lettera aperta a un giornale della sera, perché rimestava nei sensi di colpa dei comunisti imborghesiti, pronti a fare grandi sparate eroiche ma aggrappati al proprio benessere. Il film racconta l’iniziativa di un gruppo di intellettuali comunisti, che scrivono una lettera al giornale di partito dichiarandosi determinati a partire volontari per il Vietnam. Quando il megafono mediatico li mette di fronte alla possibilità di partire davvero, il dibattito salottiero diventa patetico.
Era, per l’epoca, un vero film da rompiscatole, disturbante e coraggioso, ma lo ricordo anche come uno dei film più brutti della mia vita. Tant’è: è il Citto Maselli mai allineato, ansioso di pungolare una sinistra troppo ufficiale e troppo sorda ai movimenti, deciso a frugare nelle contraddizioni insanabili, come farà più tardi anche con Il sospetto di Francesco Maselli ( per evitare confusioni con il film di Hitchcock ).
Ambientato nel 1934, protagonista Gian Maria Volonté, era uno spaccato di conflittualità interna alla sinistra, di diffidenze autolesioniste nella lotta clandestina contro il fascismo che aveva chiarissimi riferimenti alla frantumazione ideologica di quel 1975.
Mentre la parabola politica di Citto inseguiva la parola “comunista” nei suoi successivi spostamenti sempre più numericamente circoscritti, la sua parabola artistica si è andata sempre più avvicinando alla forma del documentario, alla registrazione dei movimenti in presa diretta, senza mediazioni, come a Genova, nel 2001, nel collettivo Un altro mondo è possibile.
Nel cinema italiano di questo millennio non si riconosceva. «Gli autori oggi non hanno più forza», diceva ancora nell’intervista del 2021, «non ci sono leggi che tutelino il cinema d’autore, la cultura in generale e lo sguardo critico di cui invece c’è un gran bisogno». Il cinema d’autore, secondo lui, si era fermato «con l’avvento del pensiero unico, della finanza globalizzata e del suo dominio su tutto».
Sempre avanti
È significativo che quando, proprio due anni fa, la Mostra di Venezia ha reso omaggio alla cinematografia firmata Maselli l’opera scelta dalla Biennale per la proiezione ufficiale non sia stato un film esplicitamente politico ma quel Jules et Jim proletario dal titolo Storia d’amore, un triangolo del sottoproletariato urbano che nel 1986 fece vincere a una diciassettenne Valeria Golino la Coppa Volpi per la migliore attrice. Da rompiscatole ( inteso come il più grande dei complimenti ) Citto ha dato del resto un notevole contributo a svecchiare la Biennale Cinema, non solo nel fatidico ‘68, anche per tutti gli anni a venire, battendosi per l’indipendenza degli autori, alla testa dell’Anac, e tenendo a battesimo la sezione nuova di zecca delle Giornate degli Autori.
La notizia della sua morte è stata diffusa, per estrema coerenza, dal segretario del Partito della Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo. Ma sulla rivoluzione permanente che è stata la sua appassionata esistenza Stefania Brai, sua instancabile compagna, potrebbe scrivere il più struggente dei libri. Gli ex sono quelli che guardano indietro. Come li chiami quelli tenacemente ostinati a guardare avanti comunque?
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