Nel cimitero di Charleville-Mézières nelle Ardenne francesi, la cittadina natale in cui è pure sepolto, la vecchia cassetta della posta era stata distrutta da un temporale. Poco tempo fa, il vincitore di un bando di concorso, monsieur Blanchamp, ne ha creata una nuova intrecciando le lettere iniziali del poeta. Hanno il compito di raccogliere la posta che Arthur Rimbaud non leggerà mai
Charleville-Mézières è una cittadina esiliata nella parte orientale delle Ardenne francesi, al confine con il Belgio. Poco più di 46.000 abitanti e il fiume Mosa che gli passa in mezzo come una riga di sangue. Da una parte c’è Charleville, dall’altra Mézières: nel 1966 sono diventate un’unica città. Poco tempo fa nel capoluogo delle Ardenne è stata inaugurata la nuova cassetta della posta dedicata ad Arthur Rimbaud, il poeta nato qui il 20 ottobre del 1854. A 170 anni dalla sua venuta al mondo, Rimbaud riceve ancora centinaia di lettere e pacchi indirizzati alla cittadina dove è pure seppellito.
Distrutta da un temporale, la vecchia cassetta della posta aveva lasciato un vuoto nel cimitero di Charleville. Lettere, fogli, oggetti sparsi, depositati sulla tomba o spediti da angoli remoti, si accumulavano nelle tasche dei guardiani. La nuova cassetta è opera di un artista ardennese. Vincitore di un bando di concorso, Blanchamp ha cercato di dare forma a una struttura di avanguardia intrecciando le due lettere iniziali del poeta. Adesso all’ingresso del cimitero di Charleville-Mézières, c’è un simulacro a forma di due lettere che hanno il compito di raccogliere la posta che Arthur Rimbaud non leggerà mai.
No al Pantheon
Jean Nicolas Arthur Rimbaud riposa sulle pendici di Charleville insieme alla sorella più giovane, e a sua madre, la vedova Vitalie Rimbaud. Sulla tomba di pietra bianca si trovano fiori, penne, candele, occhiali da sole, fiaschette, sassi con iscrizioni di versi: il poeta è un ladro di fuoco; c'est la mer mêlée au soleil. Ha avuto vita breve una petizione che chiedeva di spostare al Pantheon i resti di Rimbaud insieme a quelli di Verlaine. Il poeta è rimasto a Charleville, in disparte – ed è commovente che Rimbaud sia seppellito in questo angolo di Ardenne e non in un cimitero di Parigi; altrettanto straordinario che il futuro se lo ricordi.
La sua opera
Con la sua breve incendiaria opera poetica, Arthur Rimbaud ha suscitato un culto sotterraneo abbastanza unico: è diventato una specie di Cristo della passione poetica, l’idolo della giovinezza bruciata, l’ispiratore di controculture e avanguardie, il fantasma che ha infestato correnti elettriche e alternative, dalla generazione beat alla new wave rock e l’infrarealismo. Molti si sono lasciati possedere dallo “sregolamento” rimbaudiano. Bob Dylan scriveva in fretta sotto l’influsso del poeta veggente. Patti Smith gli ha dedicato tutto il suo amore e un album, Radio Ethiopia. Roberto Bolaño ha preso il suo alter-ego Arturo Belano dal nome del poeta più selvaggio. Sulla copertina del primo 45 giri dei Diaframma, Pioggia/Illusione Ottica, c’è la faccia di Rimbaud, faccia che ritroviamo nelle visioni contemporanee di Pignon-Ernest, faccia trasfigurata al cinema nei volti di Stamp e Di Caprio. Sterminati anche gli scritti che hanno provato a fare i conti con il grande arcano della poesia francese – dal visionario Rimbaud canaglia di Benjamin Fondane ai saggi di Bonnefoy e Michon.
Il grande disertore
«Se un Rimbaud non venisse di tanto in tanto a diffondere il turbamento nell’idea che lo spirito si fa di sé, l’uomo potrebbe dormire tra due guanciali» ha scritto Fondane. Rimbaud è una sommossa, una ribellione al senso comune. Ancora oggi continuiamo a leggerlo perché non possiamo fare a meno della sua lingua. È il grande disertore, il poeta illuminato che si è estinto nel silenzio africano. Ancora oggi i posteri vanno in cerca di un verso, parlano nel sonno con Rimbaud, gli scrivono lettere da tutto il mondo, destinazione Charleville-Mézières, dove la pietra gialla dei palazzi di Place Ducale appare maestosa sotto il cielo grigio, e i muri della chiesa portano il segno appannato della scritta “Merda a Dio!” infissa dal giovane Arthur in sprezzo a Charleville.
Da questo posto Rimbaud è sempre fuggito. La prima fuga è verso il sogno, Parigi, dove viene arrestato per vagabondaggio e rispedito indietro. Saliva su un treno, andava a piedi. Cercatore di silenzi, annotatore di vertigini, fuggiva dovunque si potesse andare. A Parigi, ancora, dove si narra volesse unirsi alla Comune, o tra le locande di Charleroi e Bruxelles, per sfamarsi di formaggi, prosciutto e strade. Scappava a casa del professore Georges Izambard, e scorrazzava in compagnia di Paul Verlaine, amante e amico intimo di versi. Rimbaud fuggiva da Charleville, ma finiva sempre per tornarci a cercare le parole che aveva visto altrove: bisogna essere assolutamente moderni, arrivare all’ignoto, trovare una lingua.
Dopo aver passato la stagione all’inferno della sua giovinezza – aver sanguinato, sofferto, ferito da colpi di pistola, disilluso dalla parola – Rimbaud si ammutolisce. La sua opera è una violenta consumazione che si conclude tra i 19 e i 20 anni. Per dire addio alla poesia scrive versi di rara bellezza: ma journée est faite; je quitte l'Europe. Davanti a lui c’è un irrequieto peregrinare che lo condurrà fino all’Etiopia e allo Yemen, alla ricerca della libertà libera e della vita vera.
L’Africa
Dall’Africa scrive solo ordinaria corrispondenza, lettere di affari e lettere per la famiglia dove non si trova nessun accenno alla poesia. Il giovane arrogante provinciale che aveva rivoltato la parola, colorato le vocali, fatto scorrere battelli ubriachi su mari trasognati, colui che si era detto Io è un altro, compie l’ultima protesta contro la parola scritta e si commiata.
A questo punto la parabola avrebbe potuto concludersi nel nuovo continente. Rimbaud non ha intenzione di tornare. Soffre gli inverni freddi, in Africa ha i suoi affari, traffici di armi e caffè. Ma le combinazioni della vita sono impreviste, e per paradosso Charleville-Mézières richiama suo figlio a casa nei giorni finali.
Rimbaud deve curare una gamba, viene portato in ospedale a Marsiglia. Dopo l’amputazione della gamba perde poco alla volta le speranze di tornare verso Harar. Al suo fianco c’è la sorella Isabelle, si sfoga con lei: io andrò sottoterra, e tu camminerai nel sole – le dice nei momenti di disperazione.
Isabelle Rimbaud resta al capezzale del fratello con una dedizione assoluta, spera di salvargli l’anima dalla dannazione. Lo porta a Roche, nella fattoria di famiglia che Patti Smith ha comprato qualche anno fa per preservare lo spirito del granaio dove sono nati i versi dell’ultima stagione di dissipazione poetica. Isabelle non sa niente delle poesie di Arthur, ignora che Verlaine abbia dato alle stampe la raccolta I poeti maledetti, e che tra i poeti assoluti c’è anche suo fratello.
La morte
Arthur Rimbaud muore nell’ospedale di Marsiglia il 10 novembre 1891, a 37 anni. In una lettera alla madre, Isabelle racconta la conversione del fratello in punto di morte. Non si sa molto di più, gli occhi azzurri si spengono in un collasso, il corpo viene seppellito a Charleville nella tomba di famiglia. Per tanto tempo non va nessuno a trovarlo. Poi il mondo esce dall’amnesia.
Oggi a Charleville le tracce di Arthur Rimbaud sono per tutte le strade. Ci sono i luoghi dove il poeta ha vissuto, la chiesa dove è stato battezzato, le targhe sui muri di sangue sotto i tetti ardesia della città, murales di versi – dappertutto si trovano graffiti e bottiglie di birra con il volto del giovane poeta immortalato nella celebre fotografia di Carjat. Negli anni Charleville-Mézières è diventata meta di passaggio per sparuti pellegrini incendiati dalle parole di Rimbaud, uomini e donne dalle ginocchia scoperte, camminatori che attraversano la città doppia alla ricerca di granai invisibili.
Nell’edificio del Vecchio Mulino di Charleville è stato allestito il Museo Rimbaud, dove si trovano manoscritti, oggetti, lettere, le mappe delle città che si portava negli spostamenti, mappe di Vienna cadute da una tasca, collezioni di libri e iridescenze. Centosettant’anni dopo la venuta al mondo del suo messaggero, Charleville-Mézières ha messo a nuovo anche la cassetta della posta per raccogliere la babele di lettere, sogni, oggetti, preghiere, infatuazioni e parole, di questo culto minore che percorre vicoli traversi. Un’altra prova della grande diversità di Rimbaud, con il suo silenzio bianco e la sua rivolta alle vocali.
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