Pubblichiamo un estratto dal nuovo libro di Antonio Talia: Milano sotto Milano. Viaggio nell'economia sommersa di una metropoli, appena uscito per Minimum Fax.

Alcune storie di cronaca nera possono riassumere le caratteristiche di un’epoca e di un ambiente, ma quando un caso significativo passa inosservato forse significa che non abbiamo ancora fatto i conti con il clima di quel periodo. È quello che è successo nella Milano degli anni Dieci.

Poco prima delle 9 del 19 luglio 2013, un venerdì più trafficato del solito a causa dei cantieri di Expo che stanno attraversando diversi quartieri di Milano, Alla Zahasaylo, quarantacinque anni, cittadina ucraina, imbocca il portone al numero 4 di via Bernardino Ramazzini, una strada defilata stretta tra arterie ad alto scorrimento come viale Regina Giovanna e corso Buenos Aires.

Arrivata al settimo piano, l’ultimo, Zahasaylo percepisce subito alcuni dettagli inusuali: la porta dell’appartamento dove lavora come colf due giorni a settimana è socchiusa e sulla soglia si percepisce un brusco calo di temperatura, segno che l’aria condizionata è rimasta accesa tutta la notte, mentre dalla stanza da letto provengono le voci del televisore sintonizzato ad alto volume su un programma del mattino.

Il ritrovamento

Zahasaylo entra nell’appartamento e trova soprammobili e pezzi d’argenteria sparsi sul pavimento, ancora avvolti nel cellophane. Alcuni quadri sono stati staccati dalle pareti e disseminati in varie stanze. Sul pavimento del soggiorno, sdraiato sul fianco destro, c’è il corpo della proprietaria: Nicoletta Figini indossa una camicia da notte bianca, bocca e naso sono stati parzialmente coperti con vari giri di nastro adesivo, ma le labbra sono avvolte anche da un lenzuolo beige che scorre intorno al collo, ai polsi e alle caviglie, immobilizzandola completamente con il rinforzo di due cinghie borchiate in pelle nera, tese tra collo, braccia e gambe. Il volto è segnato da molti lividi.

Alla Zahasaylo, terrorizzata, corre al piano terra per avvertire la portinaia e insieme chiamano il 118: alle 9:05 precise arrivano in via Ramazzini i primi poliziotti, due agenti della volante del commissariato di Città Studi, seguiti subito dopo dai soccorritori della Croce Sos Milano. Nella concitazione l’infermiere-capo scivola all’entrata del palazzo ferendosi a una mano e sgocciola nell’androne e sull’ascensore, lasciando una scia di sangue che la scientifica referterà immediatamente per evitare confusione nelle indagini successive.

Alle 9:35 il dottor Danilo Giardini decreta la morte di Nicoletta Francesca Maria Figini, nata a Milano l’11 luglio 1958; il primo verdetto è di «arresto cardio-circolatorio da soffocamento».

Fotografie

Sul posto intanto sono arrivati gli investigatori della Squadra mobile, il magistrato incaricato delle indagini Mauro Clerici e tutto il giro dei cronisti di nera. Qualcuno riesce a recuperare le prime informazioni sulla vittima e anche due foto: Nicoletta Figini, vedova da quasi quattro anni dopo la morte del marito in un incidente stradale, non aveva figli e viveva da sola nell’appartamento all’ultimo piano del palazzo di via Ramazzini, a pochi passi di distanza dal negozio di telefonia “Technomanie” di cui era socia e nel quale lavorava quasi ogni giorno. Due o tre conoscenti – che la definiscono «elegante» e «riservata» – lasciano intuire che la vittima avrebbe potuto vivere di rendita, elemento che sarà confermato dalle successive indagini bancarie e catastali.

La prima foto di Nicoletta Figini mostra una donna castana, di corporatura media, lo sguardo schermato da costosi occhiali neri, colta al centro di una manifestazione indetta da commercianti della zona contro un parcheggio voluto dal sindaco Giuliano Pisapia. Nella seconda, forse una fototessera, Nicoletta Figini evita di fissare lo sguardo nell’obiettivo e rivolge gli occhi, slavati e stanchi, verso qualcosa o qualcuno alle spalle del fotografo.

Le ipotesi

I primi riscontri sembrano suggerire una rapina in casa condotta da semi-dilettanti poco lucidi o da professionisti molto feroci, perché gli investigatori ritrovano sulle antenne del terrazzo una fune da alpinista che i ladri avrebbero usato per calarsi nell’appartamento di Figini; i sospetti si concentrano su alcune bande di georgiani responsabili di diverse rapine in altre zone della città, scatenando per qualche giorno quotidiani e programmi tv su un presunto allarme sicurezza e immigrazione nella Milano di Pisapia, già scioccata nel maggio precedente dalla violenza di Adam Kabobo, un immigrato clandestino ghanese che aveva ucciso tre persone a colpi di piccone. Purtroppo via Ramazzini è priva di telecamere di sorveglianza, e gli investigatori non riescono a ottenere alcun filmato dei sospettati.

Quasi subito, però, emergono diversi elementi disturbanti: se il movente dell’omicidio Figini è una rapina, perché i ladri hanno lasciato in casa diversi pezzi d’argenteria, collane d’oro e un Rolex Datejust Lady? Perché due dei cinque telefoni della vittima sono stati gettati nel water e resi inservibili, mentre il quinto è stato portato via? È possibile che gli assassini si siano accaniti su Nicoletta Figini – che non riversava mai i suoi dati su cloud – per farle rivelare in quale dei suoi telefoni si trovassero certe informazioni? E di che informazioni si trattava?

«La signora Figini aveva delle frequentazioni borderline, stiamo indagando a tutto campo», dice ai cronisti il pm Mauro Clerici alcune ore dopo il ritrovamento del cadavere, e da questo momento in poi le piste si moltiplicano all’acceleratore, proiettando il caso Figini allo snodo preciso tra tante Milano diverse, ma contigue.

Il ritrovamento di alcuni oggetti da bondage e di diversi messaggi dai cellulari superstiti suggeriscono una frequentazione non assidua – ma neanche occasionale – della scena sadomaso milanese. I rilievi patrimoniali dimostrano che dei cinque appartamenti intestati a Nicoletta Figini uno era rimasto sfitto da tempo; quelli tossicologici disposti dal pm sulla sostanza scura trovata in un beauty case nel bagno della vittima svelano che si tratta di 21,3 grammi di eroina purissima per il valore di circa 750 euro. Poi, all’improvviso, le indagini mostrano un’angolazione ancora più feroce: il socio ed ex amante di Nicoletta Figini, Giampiero Maisetti, ha abusato sessualmente della figlia quattordicenne di una coppia di conoscenti; Figini aveva scoperto gli abusi e manifestava l’intenzione di denunciarlo. Maisetti verrà scagionato dai sospetti per l’omicidio e condannato per pedofilia, ma questa sovrabbondanza di piste manda in sovraccarico l’intero caso, che viene dimenticato velocemente dalla stampa, archiviato dagli investigatori, e rimane ancora oggi insoluto.

Realtà sommerse

Molti ritengono che i tratti salienti della Milano degli anni Dieci si possano riassumere nella vicenda della “coppia dell’acido”, Alexander Boettcher e Martina Levato, che con la complicità di Andrea Magnani hanno sfigurato gli ex-amanti di Levato e un estraneo, in un delirio di sottomissione e onnipotenza.

Per altri la storia di “terrazza sentimento” – stupri bestiali commessi nell’ambiente glamour delle start-up miliardarie, sotto l’effetto di droga in quantità industriali – inquadra con precisione il lato sbagliato della città.

Ma tutte queste storie rimangono quasi in superficie a confronto con il caso Figini, perché non permettono di accedere all’essenza della Milano degli anni Dieci: una metropoli il cui tasso di omicidi annui e altri reati violenti è in calo continuo, che attira più di un terzo degli investimenti esteri d’Italia e il cui Pil cresce al doppio della media nazionale, ma dove bisogni sempre più costosi, avidità, desiderio e la necessità di mantenere costantemente un’immagine pubblica di successo spingono molti cittadini a condurre doppie e triple vite, tra sarti ufficiali dell’Inter che custodiscono carichi di cocaina per boss di Quarto Oggiaro, immobiliaristi del centro pronti a riciclare i soldi della camorra, starlette televisive in affari con ex trafficanti e sceicchi mediorientali che fanno insider trading a piazza Affari.

Forse il suo omicidio è destinato a rimanere senza un colpevole, ma Nicoletta Figini non era un caso eccezionale di milanese dalle “frequentazioni borderline”: era una donna al centro preciso di una città in cui ambienti all’apparenza molto distanti si sovrappongono di continuo.


Antonio Talia è autore del libro Milano sotto Milano. Viaggio nell'economia sommersa di una metropoli, edito da Minimum Fax

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