È sorprendente, e indice di riprovevole inerzia nell’azione di proselitismo, che nessun nerd dell’orgogliosa resistenza al vaccino abbia ancora provveduto a brevettare un Monopoly No-vax. Impresa tutt’altro che ardua, peraltro.

Nelle caselle più remunerative del tabellone, tradizionalmente Viale dei Giardini e Parco della Vittoria, potrebbero figurare i mitici green pass universali, cedibili a ogni giocatore sprovvisto e riottoso, s’intende ad altissimo prezzo.

Le carte degli Imprevisti solo in caso estremo – tipo l’invasione di sedi sindacali – ti riserverebbero il salto diretto in Prigione. Ma le carte delle Probabilità ti conforterebbero con numerose occasioni di imbatterti nel Filosofo o nel Virologo Nobel dispensatori di illuminate certezze a sostegno della tua rivolta contro la Dittatura dell’inoculazione forzata, e magari – aspirazione suprema – nell’utopia di un Trump italiano, portatore della medesima faceta disinvoltura sull’inesistenza del morbo, a presiedere il Governo.

Le casine in miniatura che identificano il tuo patrimonio di giocatore sarebbero di volta in volta i luoghi (alberghi, ristoranti, discoteche, palestre, stadi) che riesci a sdoganare dall’obbligo di certificazioni e mascherine.

Obiettivo finale: un bel rogo di tutto l’armamentario dell’Oppressione. Chi vince è l’Uomo della Provvidenza, che riscatta la pavida umanità soggiogata dal rispetto alle regole.

Se questo prezioso strumento di diletto e conoscenza non è ancora stato prodotto, a certificazione della guerra civile alimentata sui social, nelle  piazze e negli ospedali, ma con ramificate protezioni dirette nei luoghi della politica, probabilmente è solo perché un gioco da tavolo risulterebbe una concessione alle perverse logiche del lockdown: giocare in casa propria – e non nelle resse pubbliche giocondamente ribelli – suonerebbe come una resa al nemico.

Complottismo delle sinistre

In assenza di questo trastullo di nuovo conio, si accreditano le dicerie che vogliono le variazioni di questo innocuo gioco da aspiranti capitalisti (a lungo fuorilegge nella vecchia Unione Sovietica) preda innocente del forsennato complottismo ideologico delle sinistre.

Così molti fogli di opposto orientamento hanno tacciato di manipolazione settaria il nuovo Monopoly delle disuguaglianze promosso in Francia dall’Observatoire des Inégalités e destinato in prima istanza ai bambini delle scuole primarie.

È chiaramente propaganda perniciosa pro-immigrazione – ha scritto ad esempio il Giornale – suggerire risorse e strade «per rendere il mondo un posto più equo».

Il misfatto di questo Monopoly consiste nel prevedere a inizio partita la distribuzione di carte-personaggio che individuano una gerarchia sociale. La categoria A (maschio, bianco, sopra i 50 anni) è la più privilegiata, parte con uno stipendio garantito di 300 euro e un patrimonio di 2.000, ha in dotazione due case e può giocare con due dadi. Ogni volta che passa per il “via” viene automaticamente rifinanziata.

La categoria C, la più povera (che l’immigrato medio incarna per antonomasia), parte con uno stipendio di 100 euro e un patrimonio di 600, e può contare su un solo dado per avanzare. Verosimilmente, non vincerà mai. Diabolica, questa sinistra, che sotto mentite spoglie istiga l’infanzia indifesa a odiare “il maschio bianco privilegiato”. 

Disadattarsi

Immagino che questi indignati censori del gioco didattico francese non abbiano mai messo piede nel National civil rights museum di Memphis, pregevolissima istituzione che sorge a fianco del Lorraine Motel, dove sul balcone del secondo piano fu assassinato Martin Luther King. Se mai lo facessero, giudicherebbero l’apparato di simulazioni che ospita almeno altrettanto tendenzioso ed efferato.

Al Museum non si offrono opzioni di razza. Da nero ad honorem, puoi salire sull’autobus di Rosa Parks ed essere respinto da una voce stizzita sugli ultimi posti in fondo, pena l’arresto. Da nero, puoi sederti sullo sgabello di un bar dei bianchi e subire le conseguenze del caso. La simulazione, voglio dire, può essere davvero molto istruttiva. The human salvation lies in the hands of the creatively maladjusted, l’umana salvezza è nelle mani dei creativamente disadattati, diceva King. Disadattarsi, anche solo per prova, fa bene alla salute mentale.

Non che siano mancati esercizi di segno diverso. Qualche anno fa ha fatto inorridire un Monopoly empire che erudiva i giocatori sui meccanismi del libero mercato, proponendo la speculazione in Borsa e l’equilibrismo sfrenato tra gli stock finanziari. In proposito si ricorda una sollevazione di parlamentari Pd che chiesero di arginare l’iniziativa della storica produttrice americana Hasbro.

Circolano aneddoti infiniti sul gioco importato da noi solo nel 1935, sotto il fascismo, che tra l’altro impose l’italianizzazione del nome in Monopoli. Memorabile l’iniziativa di rilancio adottata in Francia dalla Hasbro. Furono immesse sul mercato ottanta scatole con 20.580 euro di banconote vere (l’ammontare classico della banca del Monopoly) al posto di quelle fittizie. A comprare la scatola giusta, era un bel colpo.

Mi duole sinceramente per i No-vax, che difettano di fantasia e non escogitano le subdole tecniche di egemonia culturale  da sempre imputate alla sinistra.

Ricordo che trovai folgorante, alla fine degli anni Settanta, in un breve tour compiuto negli Usa tra le formazioni radical, l’idea di Class struggle, anti-Monopoly marxista ideato dal prof. Bertell Ollman, che opponeva workers e capitalists «per preparare alla vita nell’America capitalista». Come simbolini, c’erano i martelli contro i cilindri. Obiettivo, ovviamente, la presa del potere.

Con il faccione di Karl Marx sulla scatola, in America era un gioco fatalmente condannato alla nicchia, ma in Italia, anche in quegli anni di sensibilizzazione politica, non fece molta più strada del contemporaneo Corteo, in cui le pedine rappresentavano reparti di forze dell’ordine e gruppi di manifestanti.

La solita sinistra mestatrice: copie del gioco vennero sequestrate e finirono agli atti del processo “7 Aprile”. Prosciolte poi da ogni accusa, non c’è bisogno di precisare.

Mettere al bando

Va detto che allora la controparte politica era più vivace e reattiva. Nel 1980 il settimanale Panorama rispose alla sfida con un wargame chiamato Il golpe, per simulare un colpo di stato dal salotto di casa. Il golpista di turno sceglieva gli obiettivi strategici tra basi Nato, sedi Rai e palazzi del governo, reclutando via via reparti dell’esercito. Sui carabinieri però, l’arma fedele per definizione, non poteva contare. 

Il vis-à-vis finì in satira, su una striscia di Sergio Staino per Linus, nel maggio del 1980. Interrotti e portati via in manette mentre tirano dadi e muovono pedine in tinello, Bobo e il suo amico protestano: «Maresciallo, c’è un equivoco. Questo gioco si chiama Il golpe e lo regala Panorama. Quello di Toni Negri si chiama Corteo!».

Questo per dire che il cortocircuito tra cronaca e simulazione vanta esempi cospicui. Tornando al punto, si sta consumando una palese ingiustizia.  Perché privare la propria prole di un istruttivo trastullo domenicale in famiglia, e del brivido di indottrinare i pargoli coetanei sugli arbitri di stato, proprio come si accaniscono a fare senza requie mamma e papà?

L’interlocuzione con i dissenzienti è defunta: la radicalizzazione ereditaria del terrapiattismo, dei complotti intrecciati tra Cina e multinazionali farmaceutiche, del falso sbarco sulla Luna e delle bugie sulle Twin towers potrebbe essere affidata via entertainment alle nuove generazioni. Tanto un Monopoly sulla lotta di classe nessuno al mondo se lo comprerebbe più.

Anche al cinema puzza di naftalina. Solo la Spagna ha avuto il fegato di candidare agli Oscar il paternalismo peloso de Il capo perfetto, con l’industriale Javier Bardem che domina ricattandoli i suoi “figli” e amici operai.

Il titolo originale del film è El buen patròn. Ma la parola “padrone”, da noi, è al bando dal vocabolario politico.

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