Alla guida delle grandi istituzioni internazionali ci sono professionisti con anni di esperienza nel settore. In Italia invece si privilegiano profili diversi e la mentalità è aziendalista
Glenn Lowry, lo storico direttore del Museum of Modern Art di New York, ha da poco annunciato che l’anno prossimo lascerà la direzione dopo trent’anni alla guida del grande museo americano, il mitico MoMA. Il mondo dell’arte è già entrato in fibrillazione. Il posto è ambito, forse il più ambito in assoluto, non solo per lo stipendio da capogiro, ma anche per la visibilità e l’enorme capacità di influenzare il mondo dell’arte americano e non solo.
Professionisti del settore
Non sappiamo chi sarà il fortunato o la fortunata, ma di sicuro possiamo dire che sarà un professionista del settore: sarà già stato direttore in un museo d’arte più piccolo, oppure sarà stato capo curatore o vicedirettore in un grande museo, forse sceglieranno un giovane brillante curatore, ma quello che è molto probabile è che sarà uno storico dell’arte. Sì, perché, a guardar bene, la maggior parte dei musei d’arte del mondo occidentale sono guidati da storici dell’arte che hanno avuto un passato di curatori.
Questo è il caso di Max Hollein, direttore del Metropolitan Museum di New, York, di Sasha Suda, direttrice del Philadelphia Museum of Art, di Nicholas Cullinan fresco di nomina al British Museum, di Laurence des Cars, direttrice del Louvre, di Gabriele Finaldi direttore della National Gallery di Londra e di Miguel Falomir direttore del Prado. Sono esempi tra molti altri, ma sono esempi importanti perché si tratta di grandi musei, con collezioni strepitose, moltissimi impiegati e bilanci miliardari.
Sono macchine complesse, con attività ramificate, dalla conservazione alle acquisizioni, dalle mostre alla ricerca, dai servizi educativi fuori e dentro il museo alla comunicazione su tutti i canali possibili, dai processi di trasformazione digitale agli eventi mondani e di fundraising, dalla gestione etica dei canali di finanziamento agli scontri ideologici e politici del wokismo.
Su tutto questo mondo articolato fatto di rapporti fragili tra persone, soldi, arte e cultura presiedono con successo storici dell’arte, e nessuno se ne meraviglia, perché per arrivare sin lì hanno lavorato per anni in altri musei: sono, cioè, dei professionisti del settore.
La situazione italiana
In Italia non è così. Per dirigere i musei si invocano i “manager della cultura” perché i musei sono “aziende” e devono essere gestiti da persone che sanno come far tornare i conti. Sono spesso chiamati a dirigere importanti istituzioni italiane persone che hanno poca esperienza di musei, poca dimestichezza con le collezioni che devono custodire, scarsa affinità con la ricerca che dovrebbero promuovere, poca inclinazione alla conservazione e soprattutto nessuna comprensione del difficile equilibrio tra reputazione e marketing.
Il profilo di manager della cultura è fluido, si basa su curricula variegatissimi in settori molto diversi: dal giornalismo alle relazioni pubbliche, dall’accademia alla televisione. In genere la gestione di impresa non figura molto, ma la gestione di immagine sì. Insomma, in Italia per i grandi musei si scelgono profili molto diversi da quelli che il comitato di selezione del MoMA vaglierà attentamente nel corso del prossimo anno.
Difficile capire le ragioni di questa peculiarità tutta italiana. In Italia i musei esistono da tanto, ma è indubbio che le professionalità museali fanno ancora fatica ad affermarsi. Tra i ruoli del ministero della Cultura, principale canale di assunzioni per i musei statali, ancora non esiste il profilo di educatore museale, né tantomeno quello di registrar (la persona che si occupa della gestione fisica delle collezioni), due aree fondanti di ogni museo.
Anche le competenze digitali sono sacrificate e comprese nella laconica qualifica di tecnico informatico, definizione che ci arriva da ère geologiche passate quando il digitale era confinato al buon funzionamento dei computer negli uffici. Perfino il profilo di curatore è mal definito e rientra nelle categorie di storico dell’arte o di archeologo, che non sono qualifiche professionali di per sé ma solo curricula studiorum.
L’esperienza necessaria
In realtà, seppure con qualche ritardo rispetto al resto del mondo, l’evoluzione dei musei in Italia c’è stata, ciò che è mancato è la consapevolezza al livello amministrativo centrale che i musei per funzionare bene hanno bisogno di professionisti seri del settore, a tutti i livelli fino ad arrivare ai direttori.
Scegliere figure apicali provenienti da mondi diversi con curricula fantasiosi non risolve nessun problema né tantomeno fa quadrare i conti: semmai il contrario, perché i nuovi arrivati spesso si entusiasmano per cose che l’esperienza insegna essere fallimentari. Se i manager della cultura funzionassero davvero esisterebbero anche all’estero, invece ce li abbiamo solo noi. Beato paese.
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