Spesso si pensa alla musica come a un luogo di espressione e libertà, dove trovano spazio la rivoluzione sessuale del rock’n’roll, le denunce sui diritti civili di Nina Simone, i gesti sovversivi del punk. In realtà, dietro le quinte c’è un mondo del lavoro come gli altri che oggi comincia ad affrontare – meglio tardi che mai – un’annosa questione: il gender gap, cioè il divario fra uomini e donne.

Uno studio della University of Southern California monitora la situazione dal 2012, tenendo conto non solo di chi si esibisce sul palco, ma anche di chi scrive i testi e di chi sta dietro al mixer, contribuendo alla direzione artistica con le sue scelte sul suono e la sua sensibilità. Ebbene, più ci s’inoltra dentro le maglie dell’industria discografica, più il divario si allarga. Nel 2023, sulle cento canzoni nella classifica Billboard di fine anno le cantanti erano il 35% del totale, le autrici il 19% e le produttrici solo il 6%. Nonostante il dato sia in chiaro aumento per la prima volta in undici anni, la situazione è ancora molto sbilanciata. Enormemente sbilanciata, quando si guarda l’ultima cifra. Per di più si riferisce al mercato anglosassone, che nel mondo della musica funziona come una sfera di cristallo per predire il nostro futuro. In poche parole, in Italia siamo messi male.

Marta Salogni è una produttrice di Capriolo, in provincia di Brescia. A soli 34 anni ha già lavorato con nomi come Björk, Depeche Mode e Bon Iver: è stato facile assegnare a lei il premio come Producer of the Year alla prima edizione italiana dei Billboard Women in Music, tenutasi lo scorso settembre a Milano. Naturalmente vive a Londra, dove si è trasferita dopo il liceo.

Marta Salogni

«Considerando che ci sono posti nel mondo dove le donne non hanno nemmeno i diritti umani, non direi che qui si respiri un’aria così diversa rispetto all’Italia» commenta Salogni, che il mestiere l’ha imparato sul campo a partire dal centro sociale Magazzino47 e da Radio Onda d’Urto fino ai migliori studi di registrazione inglesi. «Siamo sotto il dieci per cento, c’è molta strada da fare per arrivare a cinquanta».

Lo scoglio

Ai suoi livelli Marta Salogni non vive più alcuna forma di discriminazione, ma in passato è successo. «Non si tratta per forza di comportamenti espliciti: agli inizi, quando venivo assegnata dal mio superiore a una sessione di registrazione, a volte gli artisti e il team entravano in studio e nessuno di loro immaginava che l’ingegnere del suono fossi io. Serviva un momento di assestamento per capirlo e accettarlo» racconta. «Mi sono sentita a disagio. Per fortuna non sono una che si fa abbattere da queste situazioni, anzi mi fanno venire voglia di andare ancora più avanti alla faccia di tutti quelli che non immaginano una donna alla produzione. E poi penso che lo sto facendo anche per qualcun altro, magari altre ragazze che potranno fare questo lavoro senza problemi, magari al di là delle distinzioni binarie».

La mancanza di modelli, in particolare, può costituire uno scoglio implicito, silenzioso, per le giovani appassionate di musica. Lo sostiene Alessandra Micalizzi, sociologa e dottoressa di ricerca in Comunicazione e nuove tecnologie da anni impegnata sul tema del gender gap nel settore musicale: «L’effetto emulatorio è fondamentale per la costruzione dell’identità di un adolescente. Per esempio, una figura come Samantha Cristoforetti ha inciso tantissimo sul concepire come possibile per le ragazze un percorso in ambito ingegneristico, nell’ambito della fisica astronomica e così via».

Zero iscritte

Oltre a occuparsi di ricerca, Micalizzi insegna al Sae Institute di Milano, una delle scuole più rinomate per i futuri professionisti del settore audio-video, fondata a Sidney nel 1976 e oggi diffusa in tutto il mondo. «Quando sono arrivata nel 2017, c’erano annate in cui non avevamo nemmeno una studentessa» racconta, «oggi le cose piano piano stanno cambiando».

Secondo i numeri condivisi dal direttore del Sae Institute italiano Emiliano Alborghetti, attualmente le iscritte al corso di produzione audio sono appena il 4%. «Da qualche tempo, stiamo cercando di avere una maggiore rappresentanza femminile fra le docenti e le tutor» spiega Alborghetti, per quanto a insegnare le materie tecniche nel corso triennale di produzione audio siano ancora tutti uomini. Nel frattempo, sono state introdotte una serie di buone pratiche, concrete e lungimiranti, come il programma di borse di studio Women in Music. «Il cambiamento è stato sollecitato dall’alto, dalla nostra sede centrale, perché nel mondo anglosassone di cui facciamo parte si fa attenzione al fenomeno già da tempo, e anche dall’Europa, che ha diffuso il Gender Equality Plan, a cui da quest’anno facciamo riferimento. Ma è stata molto importante anche la spinta interna, dal basso, da parte di persone come la professoressa Micalizzi e delle stesse studentesse» aggiunge Alborghetti.

Come mai allora la questione non è stata sollevata prima? «Nessuno, io per primo, si interrogava sull’assenza di donne nell’industria. Era come uno status quo» racconta il direttore, il quale prima di questo ruolo ha avuto «l’onore di lavorare alla Sugar Music, capitanata da Caterina Caselli, dove le tematiche del “soffitto di cristallo” erano già state superate». Coniata dalla manager statunitense Marilyn Loden nel 1978, l’immagine del “soffitto di cristallo” definisce quell’insieme di barriere sociali, culturali e psicologiche, spesso invisibili, che impediscono alle donne di raggiungere ruoli apicali. Quasi cinquant’anni dopo, descrive ancora bene la situazione.

Come al calcetto

Equaly è un’associazione nata nel 2021 con il preciso intento di promuovere la parità di genere nell’industria musicale italiana. Fra le socie fondatrici, tutte professioniste del settore, c’è anche Francesca Barone. «La musica è come qualunque altra industria produttiva: appena cominciano a entrare in ballo i soldi, le donne spariscono» afferma. E il trend non muta con il continuo crescere del mercato, che, secondo la Federazione Industria Musicale Italiana, ha mosso circa 440 milioni di fatturato nel 2023.

«Nelle più grandi etichette la situazione dell’organico è abbastanza equilibrata fra maschi e femmine, ma se si va a vedere da vicino, le donne occupano posizioni non di potere. In tutte le major, per esempio, i dirigenti sono uomini». Barone ha lavorato come manager in Universal e Sony per più di dieci anni. «Sono stata negli studi di registrazione tante volte e, soprattutto nei primi anni della mia carriera, c’era l’atmosfera di un club privato, degli spogliatoi di calcetto, dove, quando entra una donna, non si può più fare quella battuta, quello scherzo. Si crea un po’ un’atmosfera da branco» spiega. E propone un’interpretazione verosimile sul perché sia così difficile, pressoché impossibile incontrare una produttrice: «Il producer di solito è visto come un nerd, esperto di elettronica, di sintetizzatori. Allora, oltre ai pregiudizi esistenti, si aggiunge l’elemento tecnico e quindi un altro strato di pregiudizio, quello per cui le donne non sono portate per le materie scientifiche».

Le pioniere

Una vecchia storia, confutata dall’ormai lunga tradizione che ha visto pioniere quali Bebe Barron, Delia Derbyshire, Pauline Oliveros e tante altre sperimentare sui sintetizzatori dagli anni ‘50, rivoluzionare il mondo della musica con le loro visioni illuminate e originali, con le loro competenze tecnico-elettroniche, come racconta il documentario Sisters with Transistors. Certo, erano tutte all’estero.

Plastica

Eppure in Italia qualcosa si muove. Elasi e Plastica, nomi d’arte rispettivamente di Elisa Massara e Matilde Ferrari, hanno fondato a Milano un collettivo di giovani produttrici della scena indipendente. Si chiama Poche. Nomen omen. «Ci auguriamo di essere tante un giorno. Per questo cerchiamo di essere propositive, preferiamo fare piuttosto che lamentarci» dice Elasi, nota nel mondo del pop elettronico. «Vorremmo creare un luogo di incontro, un punto di riferimento per le professioniste e i professionisti di questo settore in cui non sai mai da dove iniziare, spesso ti senti sola, c’è tanta competizione e le scuole sono poco accessibili a livello economico. Per esempio, offriamo workshop gratuiti grazie al supporto di brand e istituzioni». Del collettivo fanno parte produttrici sparse su tutto il territorio italiano, specializzate ciascuna in un ambito diverso, dalla musica per il teatro alla techno. Federica Furlani, Ginevra Nervi, Giulia Tess, Idra, Whitemary, Any Other, Matilde Davoli sono solo alcuni nomi, a dimostrazione del fatto che un humus di ragazze capaci di costruirsi la loro musica, non solo a livello compositivo ma anche tecnico, esiste.

Elasi

«Ci sono dei cambiamenti strutturali da fare» conclude Alessandra Micalizzi. «Quando si parla di colmare il gender gap, si parla di una prospettiva culturale a lungo termine. E quello che temo è che ci si stia stancando, che l’attenzione data alle donne sia vista come un privilegio. Per fortuna se ne parla di più, ma oltre alla consapevolezza bisogna agire. Ogni anno si finisce a dire che il Festival di Sanremo ha un problema con le donne… e allora, che si fa?».

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