- Il successo dei Måneskin ha aperto molte riflessioni, anche nel mondo della letteratura. Si può immaginare un fenomeno simile nel mondo dei libri?
- Si tratta di una suggestione interessante, perché è innegabile quanto il successo planetario che attualmente vede coinvolti i Måneskin sia qualcosa di inaspettato per la cultura di un paese come l’Italia.
- Attualmente sembra necessaria la ricerca di prospettive e posture davvero (davvero!) inedite, ma anche concretamente popolari (senza snobbare mai più questo concetto), per offrire alla platea di persone che leggono uno sconvolgimento che forse, in letteratura, non si prova da troppo tempo.
Il successo dei Måneskin – vincitori di Sanremo e, al momento, la band italiana più famosa al mondo, grazie anche alla vittoria sul palco dell’Eurovision – ha aperto a tantissime riflessioni. Una in particolare si è fatta largo nelle bolle online di “chi fa cose di libri”, dove rimbalza sempre più frequentemente una sorta di concetto/istanza: anche in letteratura, per il suo bene, ci vorrebbe un fenomeno come quello dei Måneskin. Ci si è chiesti: e se fosse possibile scuotere così altri ambiti culturali?
L’argomentazione più solida attorno al discorso Måneskin-letteratura, attualmente, è il lucidissimo longform di Stefano Trucco, dal titolo “Scusami, ma ci credo tanto”, pubblicato su singola.net – ma sono numerosi gli interventi (a volte estemporanei, come post sui social o commenti ad articoli online) in cui si prova a organizzare una qualche possibile adiacenza tra l’esplosione della giovane rock band e lo stato della letteratura italiana circostante.
Bruciare la critica
Si tratta di una suggestione interessante, perché è innegabile quanto il successo planetario che attualmente vede coinvolti i Måneskin sia qualcosa di inaspettato per la cultura di un paese come l’Italia: giovani musicisti che suonano un rock solo all’apparenza datato, con una presenza scenica splendidamente fluida, capaci di risultare fighissimi anche a chi abitualmente ascolta tutt’altri generi – e, specialmente, riposizionando in cima alle classifiche un sound e un’attitudine che sembravano spariti da anni dal mainstream musicale.
Trucco, nel suo pezzo, sostiene che probabilmente l’efficacia dell’operazione-Måneskin sia da rintracciare nell’aver bruciato sul tempo la critica: i quattro ventenni sono arrivati al grande pubblico senza dover essere “approvati” da consorterie di esperti o cose simili – replicando un po’ ciò che accadde pochi anni fa con fenomeni musicali dal discutibilissimo valore artistico (e in questo molto lontani dai Måneskin, per fortuna) ma dall’esorbitante consenso di massa, come Justin Bieber.
Forse è così: i rocker italiani propongono una musica troppo coinvolgente e troppo entusiasmante per non essere amata fino a travolgere (e stravolgere) un po’ chiunque, creando consenso nel bacino più imprevedibile e difficile da intaccare: quello del grande pubblico.
Rimodellare la tradizione
A ogni modo, cosa c’entra questo con la letteratura? Il ragionamento di chi spera in un fenomeno-Måneskin letterario è affascinante: ci vorrebbe un qualche libro capace di riportare in alto qualcosa che sembrava relegato al passato (come il rock) – un qualcosa di così bello ed entusiasmante che viene da pensare «Come fanno le nuove generazioni a perdersi qualcosa di così unico e formidabile?».
Insomma, una qualche autrice o autore in grado di stravolgere lo status quo letterario con un’opera che risponda ad almeno tre criteri:
- riaggancio a una tradizione subculturale che negli anni ha generato materiale artistico di ottima fattura, oltre a grandi capolavori;
- attualizzazione di quella tradizione, in uno schema comunicativo all’altezza dei tempi;
- trasversalità dell’offerta artistica, fuoriuscendo dalla settorializzazione o dalle nicchie dei fan.
Quindi: un libro che rimodelli una tradizione nota, che dica di oggi e che piaccia a tanti.
Il rock della letteratura
Se proviamo a ragionare prendendo per buone queste coordinate, però, è evidente che nella letteratura italiana di questi anni abbiamo già i nostri Måneskin – e se ne possono nominare almeno due: Zerocalcare e FumettiBrutti, al secolo Michele Rech e Josephine Yole Signorelli.
Due personalità artistiche capaci di bypassare ogni imprimatur critico (arrivato, poi, sì, ma con la fatica e il ritardo di chi proprio non può più ignorare certi fenomeni) grazie al consenso (e all’amore) popolare nato dal basso, dalla rete, dai social; entrambe figure che operano in quello che possiamo definire “il rock della letteratura”, cioè un certo tipo di fumetto, nato come espressione di subculture artistiche del secondo Novecento e che ha poi raggiunto gli emisferi culturali midcult; e infine entrambe esperienze letterarie innovative, apprezzate fino all’idolatria – complice anche un germe non argomentabile dato in dote sia a Rech che a Signorelli, cioè la pura e semplice genialità.
Come in televisione
A ben vedere, dunque, alla letteratura italiana circostante non manca un caso-Måneskin. Forse ciò di cui si avrebbe bisogno è qualcosa di diverso. Letteralmente “diverso”: le servirebbe un’invasione inaspettata (e traumatica) di temi e stili del tutto imprevisti.
Uno shock capace di provocare piacere condiviso, mettendo le persone che leggono (e la critica) di fronte a una sorta di fatto compiuto: esistono possibilità estetiche che non avreste immaginato, eccole qua – e vi piaceranno.
Un fenomeno, per continuare le analogie, assimilabile non tanto ai Måneskin o alla musica in generale, ma a qualcosa da rintracciare nell’altra macro-sfera dove si teorizzano i consumi culturali, cioè la televisione.
Un RuPaul della letteratura
Immaginiamo, ad esempio, un “RuPaul Drag Race” della letteratura. RuPaul è il portatore di un impeto artistico in grado di agganciare milioni di persone a un contesto che fino a pochi anni fa sembrava a dir poco liminare (nel caso dello showman statunitense è quello delle drag queen, ma ovviamente si presterebbe a un’infinità di declinazioni) ampliando i limiti delle possibilità comunicative ed estetiche verso margini insondati.
O – per rimanere in Italia e in una dimensione nettamente più circoscritta – basterebbe una sorta di “Una pezza di Lundini” della letteratura: un’opera destabilizzante per l’utilizzo estremo del capovolgimento semantico del medium d’appartenenza, che attacchi dall’interno con atti creativi originalissimi un sistema soltanto all’apparenza inossidabile – nel caso di Valerio Lundini è quello della tv generalista, un sistema che potrebbe essere accostato a quello dei grandi gruppi editoriali italiani. Servirebbe qualcosa che ritratti del tutto i confini del mezzo: che li faccia deflagrare.
Gli esempi
Ci sono stati eccome, negli ultimi decenni, libri che hanno tentato di superare o ribaltare le abitudini letterarie italiane (più o meno consapevolmente), a volte raggiungendo la superficie e il consenso quasi unanime (“alla Måneskin”, diremmo oggi).
Si pensi al mai inattuale Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli (Feltrinelli, 1980) fino ad arrivare agli anni Novanta dei Cannibali con gli eclatanti primi esperimenti – tra gli altri – di Isabella Santacroce e Aldo Nove. Oggi, in tal senso, assistiamo a preziosi tentativi orditi dalla media editoria: un esempio tra gli altri è Dalle rovine di Luciano Funetta (Tunué, 2015), che ha portato nella dozzina del Premio Strega 2016 una storia fondata su un asse tematico-stilistico tanto innovativo da suscitare ancora meraviglia e sbigottimento.
I libri che irrompono nella scena letteraria con una ruvidezza rockeggiante tutt’altro che ingenua non mancano. Se ne potrebbero nominare tanti, ma tra i più recenti spicca Nati nuovi (effequ, 2021) di Domitilla Pirro: un romanzo dove il genere (con tanto di apocalissi fantascientifiche) si immerge nel mondo iper-giovanile del gaming, instaurandosi come un testo godibilissimo per chiunque – dalla Gen Z in su.
Uno sconvolgimento
Si tratta di casi, certo, ma forse non del tutto isolati. Sono episodi editoriali che non possono certamente intervenire a gamba tesa in un meccanismo ampissimo e a dir poco complesso come quello dell’editoria (e della letteratura in toto), ma quello che importa è che ci segnalano che forse non è necessario cercare (di fare) i Måneskin della letteratura – quelli li abbiamo già, e andrebbero soltanto riconosciuti di più, se possibile.
Attualmente sembra necessaria, invece, la ricerca di prospettive e posture davvero (davvero!) inedite, ma anche concretamente popolari (senza snobbare mai più questo concetto), per offrire alla platea di persone che leggono uno sconvolgimento che forse, in letteratura, non si prova da troppo tempo. È possibile, oggi? E, soprattutto, l’editoria (tutta) sarebbe pronta a osare?
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