- Inserita nella fascia di palinsesto dei Soliti Ignoti di Amadeus, la docufiction ha raccontato il percorso della squadra allenata da Roberto Mancini verso la fase finale del torneo che comincia stasera.
- Toni da trionfo raggiunto per un esito (la qualificazione a una fase finale) che fino a poco tempo fa sarebbe stato considerato minimo sindacale. Non di buon auspicio, vista la storia di una nazionale che ha dato il momento di sé nelle fasi di tensione massima.
- Si è assistito a un rischioso esercizio di ottimismo. Con Coverciano che “per la prima volta ha aperto le porte alle telecamere di una troupe televisiva”. In attesa di aprirle anche agli esattori dell’Imu.
La vita è sogno o i sogni aiutano a vivere meglio? Succede anche questo, nel tempo in cui lo storytelling impera e il calcio ha definitivamente ceduto gli argini alla netflixizzazione. Succede che vorresti occuparti di nazionale, parlare soltanto di cose di campo, e invece ti tocca fare i conti col malefico dilemma marzulliano. E verrebbe proprio da dire “speravo de mori’ prima”, ma meglio no perché allora davvero trionferebbe il principio “the fiction takes it all”. Sicché restiamo (e resistiamo) fuori dalla scena e dalla sceneggiatura. E soppesiamo l'effetto di questo Sogno Azzurro. Non quello che aiuterebbe a vivere meglio, ma quello che nelle serate precedenti l’avvio degli Europei ci è stato proposto da Rai Uno nella fascia post-Tg o pre-prima serata.
Ottimismo d’ufficio
Quattro puntate a riempire il vuoto lasciato da Amadeus e dai suoi soliti ignoti. Che in effetti, a pensarci bene, l'associazione torna pure. Perché negli anni più recenti la nazionale azzurra è stata oggetto di un crescente disamore. Una crisi di riconoscimento andata molto avanti, e che il mancato appuntamento mondiale di tre estati fa aveva rischiato di rendere irreversibile. Non proprio una nazionale figlia di N. N., ma insomma.
Per questo un’operazione di riconnessione sentimentale è parsa cosa saggia. Ma poi la differenza sta nei modi. Perché va bene il racconto speranzoso. Ma l’ottimismo andrebbe ben dosato.
E invece per le quattro serate che hanno preceduto il giorno della gara inaugurale degli Europei 2020+1 ci è stata proposta una docufiction sul cammino (esaltante) che ha portato la nazionale azzurra verso la fase finale della manifestazione extra-large: 24 finaliste su 55 rappresentative in lizza, comprese San Marino, Gibilterra, Andorra e Liechtenstein. Un esito che un tempo sarebbe stato catalogato alle voci “atto dovuto” o “minimo sindacale”. Ma si sa com'è: i tempi cambiano e nel mezzo c'è stata una mancata qualificazione alla fase finale dei Mondiali 2018 (Tavecchio & Ventura sempre sian lodati) che ha dato la misura di quanto accentuato fosse il declino del nostro calcio.
Dunque farsi piacere questo primo esito è stata cosa buona e giusta. E buono e giusto ancor di più è parso celebrarlo con quello che è stato presentato come il primo progetto della Direzione Sviluppo Nuovi Formati della Rai, in collaborazione con la Direzione Creativa. Risultato: quattro puntate da quasi tre quarti d'ora ciascuna. Patinate. Calligrafiche. Algide. Girate nel corso di un anno intero a Coverciano. Che per l'occasione “ha aperto per la prima volta le porte alle telecamere di una troupe televisiva”. E in attesa che le apra anche agli esattori dell'Imu è giusto chiedersi: serviva davvero un'operazione del genere?
Una questione di tensione
Il problema è che il virus da storytelling è più pernicioso del Covid. Non c’è cosa che non possa diventare “narrativa”, non c'è bipede parlante che non possa diventare “narratore”. E se poi c'è di mezzo una macchina naturalmente generatrice di emozioni qual è il calcio, ecco che la tentazione si fa irresistibile. E tuttavia, non sarebbe il caso di cominciare a metterci un limite? E infine: era proprio indispensabile che anche la Rai contribuisse a cotanta inflazione?
Tanto più che, eccesso dell'eccesso, fare quattro puntate su un tema per cui ne sarebbe bastata una è stato davvero allungare il brodo e sperare prendesse sapore col solo mescolamento. Meno è meglio, e talvolta niente il top. Soprattutto c'è che quelle quattro puntate sono parse raccontare un trionfo. E allora c'è da chiedersi: dov'è la vittoria? Perché va bene la qualificazione raggiunta con percorso netto (merito indiscutibile). E va altrettanto bene la rappresentazione dei ritrovati entusiasmi intorno alla nazionale (ma a patto di non esagerarne la portata). Però il meglio o il peggio devono ancora venire. Dunque sarebbe stato il caso di arrivare a questi Europei 2020+1 con qualche preoccupazione in più, giusto come da tradizione delle nazionali italiane che hanno raggiunto i risultati più alti o li hanno sfiorati.
Già, la tensione. Tema che nella quarta puntata di Sogno Azzurro ha generato un passaggio di comicità involontaria. È stato durante la carrellata delle interviste con gli ex commissari tecnici, quando Lippi ha spiegato che in nazionale di tensione ce n'è anche troppa e dunque bisogna gestire il gruppo col continuo ricorso all'atteggiamento scherzoso. Stacco. Scena successiva. Arrigo Sacchi. Fate bei sogni, dai.
© Riproduzione riservata