Nei cantieri romani aperti per il giubileo, cronicamente in ritardo e non proprio indispensabili, sono venuti alla luce in Vaticano i resti della villa di Caligola e in Laterano quelli del patriarchio, residenza dei papi per oltre un millennio. Scoperte entrambe clamorose ma non inattese, sono state di fatto silenziate e possono essere considerate un nuovo episodio della lunghissima rivalità tra Laterano e Vaticano, i due maggiori poli papali nella città.

La notizia delle scoperte vaticane si è diffusa a metà giugno, quando durante gli scavi per l’estensione del sottopasso all’inizio di via della Conciliazione si sono ritrovati i resti di una grande lavanderia, con decorazioni e mosaici. Sospesi i lavori, è subito prevalsa la determinazione di non fermarli e di trasferire i reperti nel vicino museo di Castel Sant’Angelo per una futura loro esposizione. Ma gli archeologi hanno subito avvertito che bisognava aspettarsi altro.

E puntualmente, ripreso lo scavo, nei primi giorni di luglio è emerso un imponente porticato appartenente alla grande villa di Agrippina Maggiore sulle sponde del Tevere, ereditata dal figlio Caligola. Ma se la notizia della lavanderia è rimasta sui media solo un paio di giorni, quella del portico è durata ancora meno.

Nulla invece è stato scritto dei ritrovamenti avvistati durante gli scavi, superficiali, per la risistemazione dell’enorme piazza antistante la basilica lateranense: resti che certo appartengono alla grande residenza dei papi nei pressi di San Giovanni, la loro cattedrale. Negli stessi giorni delle scoperte vaticane, quella in Laterano non è arrivata sui giornali, ma almeno i lavori giubilari, molto meno invasivi di quelli nei pressi del Vaticano, sono stati temporaneamente sospesi.

«Camminiamo sulla storia e non ce ne accorgiamo; calpestiamo i secoli e non ce ne rendiamo conto» ricordava nel 2014 il cardinale Angelo Comastri, per un quindicennio arciprete di San Pietro, nella prefazione di un libro di Pietro Zander sulla necropoli vaticana. Ma già nel film Roma di Fellini una scena di straordinaria suggestione immaginava la scoperta, durante gli scavi per la metropolitana, di ambienti romani stillanti acqua e con affreschi dai colori perfettamente conservati. Che però svanivano a contatto con l’aria.

La storia della basilica 

La storia di Roma, e dunque quella del suo sottosuolo, è da quasi trenta secoli quella di un «organismo vivente». L’espressione è di Richard Krautheimer, che come pochi altri ha studiato e saputo raccontare la città trasformata dai papi. Evidenziando tra l’altro l’inevitabile rivalità tra il Laterano e il Vaticano, nata già nel IV secolo e prolungatasi fino allo spostamento in età umanistica della residenza papale presso San Pietro. Fino alla drastica riduzione del complesso lateranense e ai decisivi interventi in Vaticano disposti in soli cinque anni, tra il 1585 e il 1590, da Sisto V, uno dei pontefici ai quali Roma deve il suo assetto urbanistico.

Ma già da secoli il Laterano aveva perso la partita, determinata dall’afflusso dei pellegrini che veneravano la tomba dell’apostolo Pietro trascurando la cattedrale e la residenza papale. Anche se queste erano altrettanto cariche di storia e di simboli: risalivano infatti all’età di Costantino, che le aveva concesse al vescovo Milziade, e dalla metà dell’VIII secolo erano al centro del falso Constitutum, la celeberrima donazione poi deplorata da Dante.

Le prime proprietà riconosciute ufficialmente alla comunità romana precedono però di un secolo quella del Laterano. Sono le aree destinate alle sepolture, cioè le catacombe, a Roma prima fra tutte quella sulla via Appia che prenderà il nome da Callisto, intorno all’anno 200 preposto a questo cimitero dal vescovo Zefirino, al quale succederà dal 218.

Dopo questa «svolta callistiana», un secolo più tardi è l’imperatore Costantino, subito dopo la vittoria sul rivale Massenzio nell’autunno del 312, a dotare la chiesa di Roma di una grande proprietà, nella periferia sudorientale, dove a ridosso delle mura Aureliane vi erano alcune caserme: il Laterano, appunto. Qui sorge la cattedrale di Roma, la cui fondazione precede di poco quella della basilica sulla tomba di Pietro, in un’altra zona periferica al di là del Tevere, a occidente, ma fuori le mura.

Le scoperte

Nei pressi di San Giovanni in Laterano, la «madre di tutte le chiese», si trovavano i vasti ambienti della residenza e della curia pontificia, le cui tracce sono ora riaffiorate nella piazza per decenni riservata al concerto del primo maggio. Lontani dall’ormai ingombrante dominio degli imperatori bizantini, nel cuore del medioevo i papi vogliono infatti imitarli anche nei simboli del potere, e – se non per splendore – grazie alla durata millenaria il patriarchium lateranense finisce per competere con la residenza imperiale di Costantinopoli.

Ma il Laterano resta isolato dal resto della città e, dopo il trasferimento della sede papale ad Avignone, si avvia a una decadenza inesorabile. Fino al nuovo palazzo di Sisto V (l’attuale del Vicariato, molto più piccolo), mentre la basilica viene rinnovata tra il 1646 e il 1735. L’esatta ubicazione del palazzo medievale resta discussa, anche se sulla grande piazza – dove ora sono riaffiorati nuovi resti – si affaccia un mosaico dorato: è l’abside del triclinio voluto nel 798 da Leone III e poi sistemato accanto alla Scala santa, che ingloba la cappella del Sancta sanctorum.

Gli horti di Agrippina

A un tempo ancora più remoto portano i ritrovamenti nei pressi del Vaticano, sui quali è stata spenta l’attenzione. L’antefatto si svolge nell’agosto dell’anno 38 ad Alessandria d’Egitto. Qui ha luogo il primo pogrom di cui si abbia notizia: un avvenimento che anticipa le innumerevoli persecuzioni successive e durante il quale – dopo l’assalto alle case e alle sinagoghe dell’importante e odiata comunità giudaica – un gran numero di ebrei viene linciato e trucidato dalla folla con la connivenza del prefetto romano Flacco.

In seguito alla spaventosa tragedia cinque esponenti della comunità si recano nel 40 a Roma per sostenere davanti a Caligola la causa ebraica. A guidare l’ambasceria – fallita ma alla quale fa seguito la morte dell’imperatore, assassinato nel 41 da una congiura di palazzo – è Filone, lo straordinario «rabbino greco» commentatore delle Scritture che molto ha influenzato l’esegesi cristiana, un mistico imbevuto di filosofia.

Massimo rappresentante della letteratura giudaico-ellenistica, Filone di Alessandria ha lasciato il drammatico racconto dei fatti nelle due uniche opere storiche da lui composte, che sono state tradotte in italiano nel 1967 da Clara Kraus. Eccellente grecista, Kraus ha dedicato il suo studio alla memoria del padre Rodolfo «ucciso nel campo di sterminio di Minsk nel luglio del 1942», e ha poi curato per Bompiani (con Roberto Radice e Claudio Mazzarelli) quasi tutti gli scritti filoniani.

Eravamo «convinti di doverci presentare a un giudice da cui far riconoscere i nostri diritti», ma l’imperatore era «un nemico mortale», che «cercava di abbindolarci con i suoi sguardi amichevoli e le sue ancora più affabili parole», scriverà Filone. Nella descrizione il ricordo dell’esponente ebraico è vivido: in quell’occasione – poche settimane dopo, un secondo incontro sarà ben più drammatico – «ci ricevette nella zona piana in riva al Tevere; stava per l’appunto uscendo dai giardini lasciatigli in eredità dalla madre. Rispose al nostro saluto e agitò la mano destra in segno di benevolenza».

Lo scenario è quello che agli inizi di luglio si è aperto davanti agli occhi degli operai al lavoro per prolungare il sottopasso. Sono così venuti alla luce i resti monumentali di un portico appartenente agli horti di Agrippina Maggiore, nipote di Augusto e vedova del generale Germanico, che li aveva lasciati al figlio Caligola.

E inattesamente i volti di Agrippina e di Caligola, insieme a quello di Nerone, tra il 1433 e il 1445 saranno scolpiti dal Filarete nel bronzo della porta centrale della basilica vaticana. Qui infatti, tra celebrazione ed erudite memorie antiquarie, sono raffigurati il martirio di Pietro e di Paolo insieme al volto del loro persecutore e a quelli della dinastia giulio-claudia.

Che avverrà dei nuovi ritrovamenti? Un precedente sconforta: a poche centinaia di metri dall’ultima scoperta, nell’agosto 1999 – negli scavi alla vigilia del giubileo – alle falde del Gianicolo è venuta alla luce una domus, anch’essa parte della villa di Agrippina, riseppellita tra aspre polemiche per realizzare il grande parcheggio. Che in buona parte rimane inutilizzato.

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