L’autrice belga è una delle scrittrici più lette al mondo. Per lei, avere segreti è un diritto «fondamentale». E confessa di ossessionarsi moltissimo: «Spesso sono costretta a pormi dei freni, fare uno sforzo per bloccarmi». L’intervista
Pubblicato nel 2013, Barbablù è un romanzo di Amélie Nothomb, tra le scrittrici più lette al mondo, divenuto nel 2024 una graphic novel, pubblicata da Tunué e adattata da Camille Benyamina. La protagonista, Saturnine, cerca un alloggio a Parigi e quando, per una cifra irrisoria, trova la possibilità di abitare in un meraviglioso castello non se la fa scappare, pure se dovrà vivere con il proprietario. Don Elemirio è ricco, amante dell’arte e del buon cibo. La sua eccentricità non è un problema, finché la giovane non scopre che le otto donne che hanno avuto il suo posto, negli anni precedenti, sono scomparse.
Nothomb, perché ha dato ai colori un ruolo tanto importante nel romanzo?
Perché per me sono tra i più grandi piaceri della vita. Quando guardo un colore che mi piace mi sento sopraffatta da un sentimento vicino all’amore, e sono in pace.
Alle donne di cui racconta in Barbablù accosta un colore in base alla propria personalità e alla propria storia. Lei quale sarebbe?
Temo sarei il nero.
In effetti lo indossa spesso, il nero.
Perché i colori, per quanto possa suonare paradossale, considerato quel che le ho detto finora, non mi stanno bene. Li amo, vivo per i colori, ma mi piacciono soltanto quando a indossarli sono altre persone, o quando li vedo nel cibo, nell’alcol, nell’arte. Spesso, difatti, sogno di trasformarmi, di cambiare colore e diventare dello stesso dorato dello champagne che bevo.
Beve molto champagne?
Bevo quasi solo champagne.
Ha un colore preferito?
Oro.
Parliamo ora di don Elemirio, coprotagonista del racconto assieme a Saturnine. Da dove arriva questo personaggio tanto tragico?
Non è tragico, a mio avviso. Anzi. Quando ho letto Barbablù da bambina ho pensato, e subito, in effetti, fosse ingiusto che il ruolo dell’antieroe, del cattivo, fosse stato affidato a lui. Per me lui non aveva fatto niente di sbagliato, in principio, e il male commesso, in una certa misura, dipendeva solo dal mondo esterno: la sua era una risposta a qualcosa che non gli stava bene, che era sbagliato. Don Elemirio ha dei segreti, e pretende che la sua privacy, la sua intimità venga rispettata. Quando questo non succede, si adopera, in modo certamente sbagliato, orrendo, perché quei segreti rimangano tali.
Avere dei segreti è un diritto?
Ma certo! È fondamentale.
Don Elemirio non è uscito dalla propria casa, un castello meraviglioso, per più di vent’anni. Per lei sarebbe un incubo o un sogno?
Una parte di me le risponderebbe un incubo, una parte un sogno. Ho un appartamento a Parigi cui sono molto legata, mi piace tantissimo stare lì e ci sono volte in cui, sdraiata sul mio letto, a leggere Proust per l’ennesima volta e a bere champagne, mi domando perché mai dovrei uscire. Lì ho tutto ciò che mi serve. Lì sono felice.
Poi?
Poi esco.
Che relazione ha Don Elemirio con l’arte?
È un dandy. La sua vita è la sua arte. L’arte è il suo unico grande amore. La fotografia, la cucina, la pittura: tutto per lui è arte.
Lei, invece?
Amo la musica. Per me è l’arte migliore, la più completa e bella. Se sono una scrittrice è solo perché non ho alcun talento per la musica, ma cantare o suonare è quello che avrei voluto fare davvero.
La musica per lei è più importante della letteratura?
Decisamente.
Dell’ossessione cosa mi dice? Nel romanzo è centrale.
Don Elemirio si ossessiona moltissimo, è vero.
Lei?
Anch’io. Spesso sono costretta a pormi dei freni, fare uno sforzo per bloccarmi.
Un esempio?
Anni fa, per un certo, e lungo, periodo sono stata ossessionata dalle uova. Le mangiavo di continuo, in qualsiasi modo, in qualsiasi momento della giornata. Amo le uova, sono il mio cibo preferito. Ma ho dovuto smettere, mi stavo facendo del male.
Di nuovo su don Elemirio. Qual è la sua relazione con le donne?
È un grande amante – pure se eccessivo.
Lei prova attrazione nei suoi confronti, lo ammira.
Mi piace, sì. È un uomo malato, ha un problema, ma mi piace. Saturnine infatti alla fine se ne innamora, e capisco perché. Quell’uomo ha qualcosa.
Se ne sarebbe innamorata anche lei?
No, io vorrei essere lui.
Delle donne che se ne innamorano e che, per brevi periodi, abitano la villa assieme a lui, cosa mi dice?
Sono stupide. Don Elemirio dice loro che hanno a disposizione l’intero castello, possono girarlo liberamente, far ciò che vogliono. La sola eccezione è una stanza, una in particolare, in cui ordina loro di non entrare. E loro è lì che cercano, in tutti i modi, di accedere. È stupidità, no?
Non è arroganza?
No, per me è stupidità. Le donne del mio romanzo mi fanno venire in mente alcuni miei lettori e lettrici. Io ho pubblicato, nel corso degli anni, oltre trenta romanzi, più diversi racconti e drammi teatrali, ma quando faccio una presentazione e incontro i lettori non fanno altro che chiedermi quando verrà pubblicato il successivo.
Io, allora, chiedo loro se li abbiano letti tutti, i miei libri, e loro mi rispondono di no. Ecco, mi domando quindi perché vogliano ciò che non possono avere. Hanno oltre trenta romanzi tra cui girare, oltre trenta storie da leggere, ma vogliono quella che non c’è. Mi fa diventare matta!
Attrazione per il proibito, come la mela biblica per Adamo ed Eva?
Lo capirei fosse così, ma no: è banale stupidità.
Lei sarebbe entrata nella stanza che don Elemirio vuole resti chiusa?
No. Vivo con un uomo, e lui ha dei segreti sul suo computer e potrei facilmente scoprirli solo accendendolo, ma non l’ho mai fatto: quella è la sua isola segreta ed è giusto così.
Lei di segreti ne ha?
Certo. Tutti ne hanno.
Me ne dice uno?
(Ride, ndr) No.
Uno soltanto. Pure banale.
Facciamo così: mi dica un suo segreto e io gliene dirò uno mio.
Da bambino frequentavo un collegio di suore, ho fatto le scuole elementari lì, e per tutta la quinta, un paio di volte la settimana, poco prima dell’intervallo chiedevo di poter andar in bagno, uscivo dalla classe e rubavo un panino al prosciutto dalle cucine, che poi mangiavo di gran fretta nei corridoi.
Stupendo! Io da bambina, probabilmente alla stessa età, una mattina, andando a scuola, ho realizzato di non aver dei segreti. Tutti sanno tutto di me, ho pensato: insopportabile! Così lungo la strada ho preso una pietra e l’ho spostata, giusto di pochi metri. Ecco, nessuno lo sapeva: quello era il mio segreto. Che piacere! Il posto in cui celiamo i nostri segreti è per noi un posto prezioso.
Quando qualcosa diventa un segreto? Cosa rende un fatto o un accadimento o un pensiero qualcosa che crediamo debba essere nascosto agli altri?
È un moto istintivo, credo. Alcune cose sono troppo preziose per essere condivise, dette e altre sono troppo difficili, pensiamo che se le confessassimo non verremo compresi.
La maggior parte dei suoi segreti a quale di questi due gruppi appartiene?
Al primo. Amo avere dei segreti proprio perché sono piccoli fatti preziosi.
Tornando a Barbablù. Di Saturnine cosa mi dice?
Mi piace, la trovo intelligente.
Per me è pedante.
È una risposta alla pedanteria di don Elemirio.
Perché continua a tornare da lui?
All’inizio è curiosa, alla fine innamorata di lui. Spera sia innocente, vorrebbe fosse solo un uomo molto stravagante, ma quando scopre le sue colpe, scopre che, in realtà, la faccenda è più grave di quel che pensava.
Più che innamorati ero convinto fossero ossessionati l’uno dall’altra.
Oh no, sono molto innamorati, invece.
Lei ha mai avuto una relazione del genere? Tossica, intendo.
Sì, direi di sì.
Bella?
Nient’affatto. D’altra parte, la loro non è una bella relazione, no?
No, certo che no, però è divertente. Esaltante. La sua, Nothomb, lo era?
È stata difficile, più che altro.
Difficile ma divertente?
Difficile e basta.
Segreti e ossessioni. Questo libro è su queste cose. Se dovesse lasciar andare una di queste due cose, cosa sceglierebbe?
Impossibile rispondere. È come chiedermi se preferirei uccidere mio figlio o mia figlia, se li avessi.
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